Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4157 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 4157 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/02/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 5386/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG. NAPOLI n. 8785/2021 depositata il 20/12/2021.
Udita la relazione svolta all’udienza pubblica del 06/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Sentito l’avv. dello Stato NOME COGNOME per la ricorrente.
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha impugnato, innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Napoli, il provvedimento con cui l’Ufficio negava il rimborso dell’IVA richiesto dalla contribuente relativamente all’anno di imposta 2018, in considerazione della non operatività della predetta società.
L’adita CTP di Napoli, con sentenza n. 1886/2021, ha accolto il ricorso.
L’Agenzia delle entrate ha proposto appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Campania, la quale, con sentenza n. 8785/10/2021, depositata il 20/12/2021, ha rigettato il gravame ritenendo -per quanto in questa sede ancora rileva -(a) inammissibile, per violazione del divieto di nova in appello, l’eccezione formulata dalla difesa erariale relativa alla legittimità dell’operato dell’Ufficio e del diniego del rimborso del credito IVA, siccome fondato nel rigetto dell’interpello disapplicativo della disciplina antielusiva relativa alle società non operative proposto dalla contribuente e definito con sentenza 11991/2019 della CTP di Napoli che aveva dichiarato inammissibile il ricorso della società e (b) dimostrata, nel merito, l’impossibilità di conseguire i ricavi minimi a causa di circostanze ed eventi oggettivi ed esterni (in specie, la pendenza di un giudizio avente ad oggetto l’avveramento della condizione sospensiva afferente al trasferimento dei terreni su cui la società avrebbe dovuto realizzare le costruzioni da alienare poi a terzi).
Avverso tale decisione l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo.
Si è costituita con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE che ha depositato memoria.
Con ordinanza interlocutoria n. 24847/2023 si è disposta la trattazione della causa in udienza pubblica.
7.Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo si deduce « Violazione e falsa applicazione dell’art. 30 comma 4 bis e 4 ter della L. 724/94 e dell’art. 2697 cc in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. » per avere la CTR erroneamente ritenuto dimostrata la ricorrenza, nella specie, di « oggettive situazioni tali da impedire il raggiungimento di un reddito minimo presunto » da parte della società laddove, al contrario, l’inoperatività della contribuente era legata, secondo la ricorrente, « a scelte imprenditoriali del tutto personali, avendo la società scelto di attendere gli esiti di un lungo contenzioso, che si è protratto per diversi anni, tenendo una gestione…del tutto lontana da ogni logica imprenditoriale, accettando…di formulare un unico investimento per realizzare l’oggetto social…Subordinando l’efficacia del contratto di permuta al verificarsi della condizione sospensiva, la società ha scelto di attendere, senza operatività, alcuni anni in una situazione di stallo ».
Va osservato che con la sentenza 7 marzo 2024, RAGIONE_SOCIALE, in causa C -341/22, ha stabilito che « l’articolo 167 della direttiva 2006/112 nonché i principi di neutralità dell’IVA e di proporzionalità … ostano a una normativa nazionale in forza della quale il soggetto passivo è privato del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte, a causa dell’importo, considerato insufficiente, delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA effettuate da tale soggetto passivo a valle », come quella prevista dal citato art. 30 della l. n. 724/1994.
Invero, la Corte di giustizia ha affermato: 1) «l’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva IVA deve essere interpretato nel senso che esso non può condurre a negare la qualità di soggetto passivo IVA al soggetto che, nel corso di un determinato periodo d’imposta, effettui operazioni rilevanti ai fini dell’IVA il cui valore economico non raggiunge la soglia fissata da una normativa nazionale, la quale soglia corrisponde ai ricavi che possono ragionevolmente
attendersi dalle attività patrimoniali di cui tale persona dispone » (par. 25) posto che per determinare la qualità di soggetto passivo rileva « esclusivamente il fatto che detta persona eserciti effettivamente un’attività economica e …..sfrutti un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità » (par. 23); 2) « nessuna disposizione della direttiva IVA subordina il diritto a detrazione al requisito che l’importo delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA, effettuate a valle da un soggetto passivo nel corso di un determinato periodo, raggiunga una certa soglia» e, anzi, al contrario, «il diritto alla detrazione dell’IVA è garantito, purché ricorrano le condizioni richieste … indipendentemente dai risultati delle attività economiche del soggetto passivo interessato » (par. 31), fatta salva l’ipotesi in cui ricorra una frode o un abuso del diritto (come delineati dai par. da 33 a 36 della sentenza); 3) l’art. 30 della l. n. 724/1994 assolve alla funzione di disincentivare le evasioni e, a tal fine, si basa sulla presunzione per cui, quando l’importo delle operazioni effettuate a valle da una società in un determinato periodo d’imposta non raggiunge una soglia (calcolata applicando i criteri previsti dalla norma), la società non è operativa salvo che essa « non riesca a dimostrare che elementi oggettivi giustificano l’impossibilità di raggiungere la soglia » (par. 38), da cui l’impossibilità di esercitare il diritto di detrazione; 4) tuttavia, tale presunzione, si fonda « su un criterio, quello di una soglia di ricavi, che è estraneo a quelli richiesti ai fini della dimostrazione di un’evasione o di un abuso » poiché prescinde da una valutazione « della realtà effettiva delle operazioni rilevanti ai fini IVA » ed è ancorata solo al parametro della « valutazione del volume » degli affari (par. 39), sicché essa « eccede quanto necessario per conseguire l’obiettivo di prevenire le evasioni e gli abusi » (par. 42).
Ne deriva che il diritto di detrazione va riconosciuto se: a) nel corso del periodo d’imposta controverso, in relazione al quale l’autorità tributaria ha reputato la società non operativa, la stessa
abbia effettivamente esercitato un’attività economica (indipendentemente dallo scopo o dai risultati), intesa come comprensiva di ogni attività di produzione, commercializzazione o prestazione di servizi, per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità; b) la società medesima abbia impiegato i beni e servizi acquistati per le sue operazioni soggette ad imposta, e ciò indipendentemente dai risultati delle attività economiche; c) le operazioni non si inseriscano in una frode (connotata anche soggettivamente secondo il consolidato principio per cui la parte sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare ad una evasione) o non integrino, ai fini unionali, un abuso, inteso anche, come si esprime la sentenza della CGUE (v. par. 33 -36), quale ‘realizzazione di una costruzione artificiosa’. (v. Cass. n. 24416 del 2024; v. anche Cass. n. 24442 del 2024).
In questo caso, poiché il rigetto del rimborso IVA è stato fondato soltanto sul mancato superamento del test di operatività e lo stesso ricorso si limita a colpire quella parte della motivazione che ha ritenuto giustificato da ‘situazioni oggettive’ il mancato superamento di quel dato numerico, il ricorso deve essere disatteso alla luce dello ius superveniens determinato dalla citata pronunzia che ha statuito la non compatibilità con il diritto unionale della normativa invocata dalla ricorrente.
Le spese devono essere compensate.
p.q.m.
rigetta il ricorso; spese compensate.
Così deciso in Roma, il 06/11/2024.