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Società non operative: rimborso IVA sempre dovuto

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4157/2025, ha stabilito che la normativa italiana sulle società non operative è incompatibile con il diritto dell’Unione Europea. Di conseguenza, non è possibile negare il rimborso del credito IVA a una società solo perché i suoi ricavi sono inferiori a una soglia minima presunta dalla legge. La decisione si basa su un recente pronunciamento della Corte di Giustizia UE, che ha riaffermato il principio di neutralità dell’IVA, svincolando il diritto alla detrazione dal raggiungimento di specifici risultati economici, salvo i casi di frode o abuso.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società non operative e Diritto al Rimborso IVA: La Svolta della Cassazione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha segnato un punto di svolta decisivo nella disciplina delle cosiddette società non operative (o società di comodo), affermando un principio fondamentale: il diritto al rimborso dell’IVA non può essere negato basandosi unicamente sul mancato raggiungimento di soglie di ricavi predeterminate dalla legge nazionale. Questa pronuncia si allinea pienamente al diritto dell’Unione Europea, modificando radicalmente l’approccio dell’amministrazione finanziaria.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla richiesta di rimborso di un credito IVA da parte di una società di costruzioni per l’anno d’imposta 2018. L’Agenzia delle Entrate aveva negato il rimborso, sostenendo che la società fosse “non operativa” ai sensi della normativa nazionale, in quanto non aveva prodotto ricavi sufficienti.

La società si era difesa evidenziando che la sua inattività era dovuta a cause di forza maggiore: un lungo contenzioso legale bloccava il trasferimento dei terreni su cui avrebbe dovuto edificare. Questa situazione oggettiva, a suo dire, rendeva impossibile il raggiungimento del reddito minimo presunto. Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano dato ragione alla società, riconoscendo l’esistenza di circostanze oggettive che giustificavano la mancata operatività.

La Questione Giuridica: Il Conflitto tra Normativa Italiana e Diritto UE sulle Società non operative

L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso in Cassazione, insistendo sulla tesi che l’inattività della società derivasse da scelte imprenditoriali e non da impedimenti oggettivi. Tuttavia, la Corte Suprema ha spostato il focus della questione su un piano diverso e più elevato: la compatibilità della stessa normativa italiana sulle società non operative con i principi fondamentali del sistema IVA europeo.

La legge italiana (art. 30 della L. 724/1994) presume che una società sia “di comodo” se i suoi ricavi sono inferiori a una certa soglia, calcolata in percentuale sul valore dei suoi asset. Questa presunzione comporta pesanti conseguenze fiscali, tra cui la perdita del diritto alla detrazione o al rimborso del credito IVA. La Corte di Cassazione ha però dovuto tenere conto di una fondamentale sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (causa C-341/22), intervenuta nel corso del giudizio.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, non entrando nel merito della prova delle “cause oggettive”, ma dichiarando l’inapplicabilità della normativa nazionale perché in contrasto con il diritto unionale. Le motivazioni si fondano sui seguenti punti chiave:

1. Principio di Neutralità dell’IVA: La direttiva IVA europea garantisce il diritto alla detrazione come principio cardine del sistema. Questo diritto sorge quando un soggetto passivo (un’impresa) acquista beni o servizi per la propria attività economica, indipendentemente dal successo o dai risultati economici di tale attività.

2. Irrilevanza della Soglia di Ricavi: La Corte di Giustizia UE ha chiarito che nessuna disposizione della direttiva IVA subordina il diritto alla detrazione al raggiungimento di una determinata soglia di ricavi. Basare una presunzione di inattività fiscale solo su un criterio quantitativo, come il volume d’affari, è contrario al diritto europeo.

3. Presunzione sproporzionata: La presunzione stabilita dalla legge italiana eccede quanto necessario per combattere l’evasione e l’abuso. Essa prescinde da una valutazione della “realtà effettiva delle operazioni” e si ancora a un parametro puramente formale (il volume degli affari), che è estraneo alla logica del sistema IVA.

4. Onere della Prova: Per negare il diritto alla detrazione, l’amministrazione finanziaria deve provare l’esistenza di una frode o di un abuso del diritto (es. una “costruzione artificiosa” creata al solo scopo di ottenere vantaggi fiscali), non potendosi limitare a contestare il mancato superamento del test di operatività.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha stabilito che il diritto al rimborso del credito IVA deve essere riconosciuto se la società dimostra di aver effettivamente esercitato un’attività economica, anche se in fase preparatoria o temporaneamente infruttuosa, e se le operazioni non si inseriscono in un contesto fraudolento o abusivo. Il semplice fatto di essere classificata come “non operativa” secondo i parametri della legge italiana non è più sufficiente a giustificare il diniego del rimborso.

Questa sentenza rappresenta una vittoria per il principio di neutralità dell’IVA e offre maggiore certezza giuridica alle imprese, specialmente a quelle in fase di start-up o che attraversano periodi di difficoltà operativa dovuti a fattori esterni.

Una società con ricavi inferiori a una soglia legale può essere considerata automaticamente ‘non operativa’ ai fini del rimborso IVA?
No. La Corte di Cassazione, applicando una sentenza della Corte di Giustizia UE, ha stabilito che la normativa nazionale che crea questa presunzione automatica è incompatibile con il diritto europeo e non può essere usata per negare il rimborso IVA.

È possibile negare il diritto alla detrazione o al rimborso dell’IVA a un’impresa solo perché non ha raggiunto un certo volume d’affari?
No. Il diritto alla detrazione dell’IVA è un principio fondamentale garantito se l’impresa è un soggetto passivo IVA e ha acquistato beni e servizi per la sua attività economica. Questo diritto esiste indipendentemente dai risultati economici, a meno che l’amministrazione finanziaria non provi l’esistenza di una frode o di un abuso.

Cosa deve dimostrare un’impresa per ottenere il rimborso IVA se viene contestata come ‘non operativa’?
L’impresa deve dimostrare di aver effettivamente esercitato un’attività economica (produzione, commercio, prestazione di servizi) finalizzata a generare introiti con carattere di stabilità, e che i beni e servizi acquistati sono stati impiegati per le sue operazioni soggette a imposta. Non è più necessario provare l’esistenza di ‘oggettive situazioni’ che hanno impedito di raggiungere la soglia di ricavi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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