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Società non operative: rimborso IVA e diritto UE

Una società si è vista negare il rimborso IVA in quanto considerata ‘non operativa’ a causa del sequestro penale di un’area destinata alla sua attività. Una precedente sentenza tributaria aveva confermato un abuso del diritto. Tuttavia, una successiva sentenza penale ha assolto gli amministratori, facendo cadere l’accusa. La Corte di Cassazione, richiamando una pronuncia della Corte di Giustizia UE, ha accolto il ricorso. Ha stabilito che la normativa sulle società non operative va disapplicata se contrasta col diritto europeo e che il diniego del rimborso IVA è illegittimo se non è provata una frode o un abuso, il cui presupposto, in questo caso, era venuto meno con l’assoluzione penale.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Rimborso IVA per Società Non Operative: La Svolta della Cassazione

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, interviene nuovamente sulla disciplina delle società non operative, stabilendo principi fondamentali in materia di rimborso del credito IVA alla luce del diritto dell’Unione Europea. La decisione chiarisce che lo status di società ‘di comodo’ non può, da solo, giustificare il diniego del rimborso, a meno che l’amministrazione finanziaria non provi una concreta frode o un abuso del diritto.

I Fatti del Caso: Un Rimborso IVA Negato tra Sequestri e Assoluzioni

Una società a responsabilità limitata si era vista negare dall’Agenzia delle Entrate il rimborso di un credito IVA relativo all’anno d’imposta 2007. Il motivo del diniego era la presunta natura di ‘società non operativa’, poiché l’azienda non aveva conseguito i ricavi minimi previsti dalla legge. Tale situazione era dovuta a una causa di forza maggiore: l’area su cui la società avrebbe dovuto costruire la propria sede commerciale era stata sottoposta a sequestro penale.

La controversia si complicava a causa di una precedente sentenza di una Commissione Tributaria Provinciale che, giudicando su un’altra questione, aveva ritenuto sussistente un abuso del diritto da parte degli amministratori della società. Tale sentenza era divenuta definitiva. Tuttavia, in un successivo procedimento penale, gli stessi amministratori venivano assolti con formula piena, e l’area veniva dissequestrata. Nonostante l’assoluzione, la Commissione Tributaria Regionale, nel giudizio sul rimborso IVA, si riteneva vincolata dalla precedente sentenza tributaria, confermando il diniego.

La Disciplina delle Società Non Operative e l’Intervento della Corte di Giustizia UE

La normativa italiana sulle società non operative (art. 30 della legge n. 724/1994) prevede una presunzione legale: se una società non raggiunge un determinato volume di ricavi, calcolato in percentuale sul valore dei suoi beni patrimoniali, viene considerata ‘non operativa’ e subisce diverse penalizzazioni fiscali, tra cui l’impossibilità di ottenere il rimborso del credito IVA.

Questa normativa è stata oggetto di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), che si è pronunciata con la sentenza del 7 marzo 2024 (causa C-341/22). La CGUE ha stabilito che la direttiva IVA europea osta a una normativa nazionale che neghi il diritto alla detrazione (e quindi al rimborso) basandosi unicamente sul mancato raggiungimento di una soglia di ricavi predeterminata. Secondo i giudici europei, il diritto alla detrazione IVA è un principio fondamentale e può essere limitato solo in presenza di una comprovata frode o di un abuso, non potendo basarsi su presunzioni automatiche.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della società, cassando la sentenza impugnata. I giudici hanno seguito due filoni argomentativi principali.

In primo luogo, recependo i principi della CGUE, la Corte ha affermato che la normativa italiana sulle società non operative deve essere disapplicata nella parte in cui prevede la perdita automatica del diritto al rimborso IVA. La privazione di tale diritto è legittima solo se la situazione è riconducibile a una frode o a un abuso concretamente dimostrati dall’Amministrazione finanziaria.

In secondo luogo, la Cassazione ha smontato il ragionamento della corte d’appello sul ‘giudicato esterno’. Ha chiarito che la precedente sentenza tributaria, che aveva ravvisato un abuso del diritto, aveva perso la sua efficacia vincolante. Il suo presupposto – il coinvolgimento degli amministratori in attività illecite – era stato completamente smentito dalla successiva sentenza penale di assoluzione, passata in giudicato. L’assoluzione ha fatto venir meno la base stessa su cui poggiava la statuizione del giudice tributario, rendendola inapplicabile al nuovo giudizio.

Le Conclusioni

L’ordinanza rappresenta un punto fermo per la tutela dei contribuenti e allinea la giurisprudenza italiana ai principi europei di neutralità e proporzionalità dell’IVA. La Corte stabilisce che una società non può essere penalizzata con il diniego del rimborso IVA solo perché non ha prodotto ricavi a causa di eventi esterni e non imputabili, come un sequestro giudiziario. Il Fisco, se intende negare il rimborso, ha l’onere di provare l’esistenza di un disegno fraudolento o abusivo, non potendosi più basare sulla presunzione legale legata allo status di ‘società non operativa’.

Una società qualificata come ‘non operativa’ ha diritto al rimborso IVA?
Sì, secondo questa ordinanza, lo status di ‘società non operativa’ non è di per sé sufficiente a negare il diritto al rimborso del credito IVA. La normativa nazionale che prevede tale automatismo deve essere disapplicata perché in contrasto con i principi del diritto dell’Unione Europea.

Il diritto al rimborso IVA può essere negato in caso di abuso del diritto?
Sì, ma l’abuso o la frode devono essere concretamente provati dall’Amministrazione finanziaria. Non possono essere presunti semplicemente perché i ricavi della società sono inferiori a una soglia di legge, specialmente se il mancato conseguimento dei ricavi dipende da cause di forza maggiore.

Una sentenza penale di assoluzione può avere effetti su un precedente giudizio tributario?
Sì. Nel caso specifico, la Cassazione ha stabilito che la sentenza penale di assoluzione degli amministratori ha fatto venir meno il presupposto su cui si basava una precedente sentenza tributaria che aveva accertato un abuso del diritto. Di conseguenza, quella prima sentenza ha perso la sua efficacia vincolante nel nuovo giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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