Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33439 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33439 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 36916-2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, per procura speciale in calce alla comparsa di costituzione di nuovo difensore del 24/03/2023 , dall’avv. NOME COGNOME (pecEMAIL ed elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio legale dell’avv. NOME COGNOME (pecEMAIL;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE C.F. P_IVA, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura
Oggetto: Tributi – rimborso IVA – società non operativa
Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3636/04/2019 della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA, Sezione staccata di SALERNO, depositata in data 30/04/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 23 ottobre 2024 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
1. In controversia relativa ad impugnazione di un diniego di rimborso del credito IVA che la RAGIONE_SOCIALE aveva avanzato con riferimento all’anno d’imposta 2007 e che l’Agenzia delle entrate aveva rigettato sul presupposto che la predetta società contribuente n on fosse operativa stante l’intervenuto sequestro penale dell’area P.I.P. del Comune di Pagani nel quale era ricompreso il lotto alla medesima assegnato per la realizzazione di un immobile da adibire a sede dell’attività commerciale, con la sentenza in epigrafe indicata la CTR accoglieva l’appello proposto dall’Ufficio avverso la sfavorevole sentenza di primo grado sostenendo che, seppure il sequestro disposto dall’Autorità giudiziaria penale era «oggettivamente, a prescindere dalla riconducibilità sogg ettiva della condotta oggetto dell’impugnazione, situazione tale da giustificare il mancato conseguimento dei ricavi e del reddito nella misura minima prevista», ciononostante doveva estendersi al caso di specie il giudicato formatosi nel giudizio vertente tra le stesse parti ed avente ad oggetto l’impugnazione dell’atto di diniego di disapplicazione della norma antielusiva di cui all’art. 30, comma 4 bis, della legge n. 724 del 1994, conclusosi con la sentenza della CTP di Salerno, n. 487 del 22/04/2013, che aveva negato il diritto di quest’ultima al «riconoscimento della ipotesi di
disapplicazione delle norme antielusive». Statuizione divenuta definitiva non essendo stata impugnata dalla società contribuente.
Avverso la sentenza d’appello la RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo cui replicava l’intimata con controricorso e memoria.
Con ordinanza interlocutoria n. 19781 del 2023 questa Corte disponeva il rinvio della causa a nuovo ruolo in attesa della pronuncia della Corte di giustizia europea sulla questione oggetto di rinvio pregiudiziale disposta da questa Corte con ordinanza n. 16091 del 2022 in materia di società non operative. Pronuncia intervenuta in data 7 marzo 2024 con sentenza resa in causa C341/22, RAGIONE_SOCIALE
Fissata, quindi, nuova udienza di trattazione in camera di consiglio, la società ricorrente ha depositato ulteriore memoria.
Considerato che:
Con il motivo di ricorso viene dedotta , ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. nonché dell’art. 30 della legge n. 724 del 1994, per avere la CTR ritenuto vincolante il giudicato di cui alla sentenza della CTP di Salerno n. 487 del 22/04/2013, atteso che la statuizione in essa affermata, di coinvolgimento degli amministratori della RAGIONE_SOCIALE nell’attività antigiuridica sfociata nel sequestro penale dell’area su cui realizzare l’immobile da adibire a sede dell’attività commerciale, era stata successivamente smentita dalla sentenza pronunciata dal Tribunale penale di Nocera Inferiore, n. 577/2013 depositata in data 17.04.2014 e passata in giudicato, di assoluzione dei predetti amministratori per insussistenza dei fatti contestati con conseguente dissequestro della predetta area.
La ricorrente sostiene che il giudicato formatosi sull’istanza di disapplicazione (sentenza della CTP di Salerno n. 487 del
22/04/2013 che aveva ravvisato in capo agli amministratori della società contribuente un comportamento antigiuridico in concorso con gli amministratori pubblici, tale da configurare un abuso del diritto che escludeva il richiesto riconoscimento di disapplicazione delle norme antielusive), che i giudici di appello avevano ritenuto vincolante nel presente giudizio di impugnazione del diniego di rimborso, deve ritenersi superato dalla sentenza penale di assoluzione per insussistenza dei fatti contestati emessa con efficacia di giudicato nei confronti degli amministratori della società contribuente.
Il motivo è fondato e va accolto.
Pare opportuno premettere che la disciplina delle società non operative o ‘di comodo’, va rinvenuta nell’art. 30 della legge n. 724 del 1994, che «al comma 1, prevede una presunzione legale relativa, in base alla quale una società si considera “non operativa” se la somma di ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi (esclusi quelli straordinari) imputati nel conto economico è inferiore a un ricavo presunto, calcolato applicando determinati coefficienti percentuali al valore degli “asset” patrimoniali intestati alla società (cd. “test di operatività dei ricavi”), senza che abbiano rilievo le intenzioni e il comportamento dei soci» (Cass., Sez. 5, ordinanza n. 9852 del 20/04/2018, Rv. 647962 – 01).
4.1. Alle società non operative di cui all’art. 30, commi 1 e 2, della legge n. 724 del 1994 non è consentito ottenere il rimborso dell’eventuale eccedenza del credito IVA o la sua compensazione e tantomeno la sua cessione.
4.2. Sulla disciplina delle società non operative e, in particolare sulla compatibilità della stessa con la direttiva 2006/112 e i principi generali della neutralità dell’IVA e di proporzionalità della limitazione del diritto alla detrazione dell’IVA, si è pronunciata la Corte di giustizia dell’unione europea a seguito di rinvio
pregiudiziale operato da questa Corte con ordinanza interlocutoria n. 16091 del 2022.
4.3. Con la sentenza 7 marzo 2024 in causa C-341/22, (RAGIONE_SOCIALE), la Corte unionale ha affermato che l’art. 9, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che esso non può condurre a negare la qualità di soggetto passivo dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) al soggetto che, nel corso di un determinato periodo d’imposta, effettui operazioni rilev anti ai fini dell’IVA il cui valore economico non raggiunge la soglia fissata da una normativa nazionale, la quale soglia corrisponde ai ricavi che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui tale persona dispone; ancora, che l’ar t. 167 della direttiva 2006/112 nonché i principi di neutralità dell’IVA e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale in forza della quale il soggetto passivo è privato del diritto alla detrazione dell ‘IVA assolta a monte, a causa dell’importo, considerato insufficiente, delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA effettuate da tale soggetto passivo a valle.
4.4. Richiamando quanto affermato recentemente da Cass. 11 settembre 2024, n. 24442, «la Corte unionale ritiene, in sostanza, che la qualità di soggetto passivo non sia subordinata alla condizione che una persona effettui operazioni rilevanti ai fini dell’IVA il cui valore economico superi una soglia di reddito previamente fissata, la quale corrisponde ai ricavi che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui tale persona dispone; ciò che rileva al riguardo è esclusivamente il fatto che detta persona eserciti effettivamente un’attività economica; inoltre, la Corte di Giustizia ha ritenuto il richiamato art. 30 contrario all’art. 167 della direttiva IVA nella parte in cui prevede la
perdita del credito IVA “in quanto nessuna disposizione della direttiva IVA subordina il diritto a detrazione al requisito che l’importo delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA, effettuate a valle da un soggetto passivo nel corso di un determinato periodo, raggiunga una certa soglia”; va ricordato che secondo costante giurisprudenza del Giudice del Lussemburgo, il diritto dei soggetti passivi di detrarre dall’IVA di cui sono debitori l’IVA dovuta o assolta a monte per i beni acquistati e per i servizi ricevuti costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA. Tale diritto, in presenza di tutte le condizioni previste, costituisce, quindi, parte integrante del meccanismo dell’IVA e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni a meno che non sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che esso sia stato invocato in un contesto di frode o evasione; – in proposito è da evidenziare che, sebbene gli Stati membri, ai sensi dell’art. 273 della direttiva IVA, possano adottare misure di contrasto per assicurare l’esatta riscossione dell’IVA, tali misure non devono eccedere quanto necessario per conseguire tali obiettivi e non possono essere utilizzate in maniera tale da mettere in discussione il diritto alla detrazione dell’IVA. Nel caso di specie, la Corte dell’Unione ha ritenuto che il criterio della soglia dei ricavi, individuato dall’art. 30 in argomento, non si basi su una valutazione della realtà effettiva delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA effettuate nel corso di un determinato periodo d’imposta, ma solo sulla valutazione del loro volume. Tale criterio, quindi, non appare idoneo a dimostrare che il diritto alla detrazione dell’IVA sia stato invocato in modo fraudolento o abusivo».
4.5. La citata ordinanza di questa Corte ha quindi pronunciato il seguente principio di diritto: «In materia di società non operative, alla stregua della pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE, sent. 7 marzo 2024 in causa C-341/22, RAGIONE_SOCIALE), l’art. 9, par. 1, della direttiva
2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, va interpretato nel senso che esso non può condurre a negare la qualità di soggetto passivo IVA al soggetto che, nel corso di un determinato periodo d’imposta, effettui operazioni rilevanti ai fini di tale i mposta il cui valore economico non raggiunga la soglia fissata da una normativa nazionale, che corrisponda ai ricavi che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui tale soggetto dispone, in quanto nessuna disposizione della direttiva subordina il diritto a detrazione al requisito che l’importo delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA, effettuate a valle da un soggetto passivo nel corso di un determinato periodo, raggiunga una certa soglia. Pertanto, ciò che rileva ai sensi dell ‘art. 30 della legge n. 724 del 1994 è esclusivamente il fatto che detto soggetto, in un determinato periodo d’imposta, abbia esercitato effettivamente un’attività economica, ponendosi detta disposizione in contrasto con l’art. 167 della direttiva IVA nella parte in cui, invece, prevede la perdita del diritto a detrazione al mancato raggiungimento di determinate soglie di ricavi».
4.6. In pratica, come correttamente si è affermato in Cass. 11 settembre 2024, n. 24416, alla luce dei principi espressi dalla Corte di giustizia unionale, «l’art. 30 l. n. 724 del 1994 va disapplicato, non potendosi derivare la privazione del diritto di detrazione in mera dipendenza dell’entità delle operazioni realizzate dalla contribuente ma solo ove la situazione sia riconducibile ad una frode o ad un abuso».
Orbene, nel caso di specie la CTR ha attribuito efficacia di giudicato esterno alla sentenza della CTP di Salerno (n. 487 del 2013) che, nel giudizio di impugnazione del diniego di disapplicazione della norma antielusiva di cui all’art. 30 della legge 724/1994, aveva ravvisato la sussistenza proprio di un’ipotesi di abuso del diritto commesso dagli amministratori della società
perché coinvolti, in concorso con amministratori pubblici, in una vicenda dai risvolti penali che aveva condotto al sequestro dell’area su cui avrebbe dovuto realizzare l’immobile da adibire a sede della propria attività. Non ha, però, considerato la CTR che tale sequestro era stato successivamente revocato per effetto della sopravvenuta sentenza penale del Tribunale di Salerno di assoluzione degli amministratori della società ricorrente, depositata già in primo grado con l’attestazione di passaggio in giudicato. Sentenza che faceva venir meno l’assunto posto a base della statuizione del giudice tributario che proprio per tale ragione perdeva quella valenza di giudicato attribuitagli dalla sentenza qui impugnata.
Ne consegue che, in accoglimento del motivo di ricorso, la sentenza va cassata e la causa rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania perché rivaluti la vicenda alla luce delle suesposte considerazioni e provveda, altresì, alla regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 23 ottobre 2024