Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11470 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11470 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 01/05/2025
SOCIETA’
NON
OPERATIVE-INTERPELLO
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21817/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME in forza di procura a margine del ricorso ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato;
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. DELLA CAMPANIA n. 1317/2017, depositata in data 16/02/2017, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/02/2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La Commissione tributaria regionale della Campania accolse l’appello erariale proposto contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli che aveva accolto il ricorso della società RAGIONE_SOCIALE contro il provvedimento di diniego n. 69397/2014 emesso dalla Direzione regionale della Campania dell’Agenzia delle entrate reso sull’ist anza proposta dalla società, ai sensi dell’articolo 37bis , comma 8, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 di interpello disapplicativo, relativamente all ‘ annualità 2013, delle norme relative alle cosiddette società non operative di cui all’art. 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724.
In particolare, la CTR, dopo aver ritenuto ammissibile il ricorso contro il diniego di interpello disapplicativo, per quanto in questo giudizio rileva, accoglieva l’appello erariale, escludendo che ricorressero situazioni oggettive tali da impedire il raggiungimento della soglia di operatività e di conseguire il reddito minimo; premesso che nella fattispecie delineata dall’art. 30 citato l’onere della prova dell’esistenza di situazioni oggettive che abbiano impedito il raggiungimento dei risultati minimi è a carico del contribuente, evidenziava che nel caso di specie tale onere non era stato assolto adeguatamente; infatti, la società, cui la disciplina in questione era applicabile in quanto società in perdita per tre consecutivi periodi di imposta, ai sensi dell’art. 2 d.l. n. 138/2011, commi 36 -decies , 36undecies e 36duodecies , si era difesa deducendo che fosse impossibile lo svolgimento di una normale attività poiché la situazione urbanistica dei terreni non consentiva la loro commerciabilità e/o utilizzazione edificatoria mentre era invece incontestato che il Comune di Avellino avesse emesso il decreto di approvazione del Piano urbanistico
attuativo sin dal 26 gennaio 2010, quindi ben tre anni prima dell’annualità per cui era stata presentata l’ istanza di disapplicazione oggetto del presente giudizio; dalla documentazione versata in atti dall’Agenzia delle entrate risultava inoltre che la realizzazione del compendio immobiliare denominato RQOS era stata rimessa alla progettazione di società facenti capo sempre all’amministratore della stessa RAGIONE_SOCIALE, per cui eventuali inadempienze o ritardi nella progettazione non erano ascrivibili a fatti oggettivi esterni ma alla stessa società contribuente; infine evidenziava che non vi fosse alcuna prova documentale che la società avesse intrapreso nuove iniziative volte all’esecuzione delle opere asseritamente progettate.
Contro tale decisione propone ricorso per cassazione la società RAGIONE_SOCIALE sulla base di due motivi cui l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Per la trattazione del ricorso è stata fissata l’adunanza camerale del 06/02/2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso è affidato a due motivi.
Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., la società deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724; la ricorrente censura la statuizione della CTR laddove ha sostanzialmente ritenuto che l’impedimento oggettivo e assoluto legittimante la disapplicazione di cui all’art. 30 medesimo non sia possibile ogni qualvolta la situazione di inoperatività sia frutto di una scelta imprenditoriale mentre invece la giurisprudenza di legittimità ritiene che la nozione di impossibilità vada intesa in termini economici, con riferimento alle effettive condizioni di mercato; nel caso di specie la mera emanazione del decreto di approvazione del Piano urbanistico attuativo relativo al comparto RQ03 sin dal 26 gennaio 2010 non aveva posto la società
nelle condizioni economiche di investire le proprie risorse perché solo successivamente, e cioè il 15 novembre 2010, il Comune aveva approvato il piano urbanistico attuativo relativo all’altro comparto RQ08, con ciò attribuendo certezza alla potenzialità edificatoria del terreno di proprietà di Rinascita; soltanto dopo l’approvazione di entrambi i piani urbanistici attuativi, relativi ad entrambi i comparti, la ricorrente ha potuto sviluppare ed elaborare il progetto per il comparto RQ03 presentando il 31 luglio 2012 la progettazione esecutiva delle opere di urbanizzazione e solo il 19 marzo 2013 il Comune di Avellino aveva rilasciato l’autorizzazione alla esecuzione delle opere.
Con il secondo motivo del ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., la società deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione dalle parti; in particolare il giudice avrebbe totalmente obliterato il fatto storico per cui lo stesso Comune, dopo aver emesso il 26 gennaio 2010 il decreto di approvazione del Piano urbanistico attuativo relativo al comparto RQ03, citato dalla CTR, solo il 15 novembre 2010 aveva emesso l’ulteriore ed indispensabile decreto di approvazione del piano urbanistico attuativo relativo al contiguo comparto RQ08; l’omissione risulta decisiva in quanto, avuto riferimento a tale ultima data, la presentazione della complessa progettazione esecutiva delle opere di urbanizzazione, il 31 luglio 2012, era da considerarsi effettuata in tempo ragionevole in relazione alla importanza dell’intervento edilizio.
L’avviso di trattazione della causa in adunanza è stato correttamente inviato alla p.e.c. della società alla luce del mancato recapito all’indirizzo del difensore, non più inserito nel Reginde (Cass. 24/11/2009, n. 24681).
Il primo motivo è infondato.
Questa Corte ha ritenuto che in materia di società di comodo, i parametri previsti dall’art. 30 della legge n. 724 del 1994, nel testo
risultante dalle modifiche apportate dall’art. 35 del d.l. n. 223 del 2006, convertito nella legge n. 248 del 2006, sono fondati sulla correlazione tra il valore di determinati beni patrimoniali ed un livello minimo di ricavi e proventi, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società, spettando, poi, al contribuente fornire la prova contraria e dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive, specifiche ed indipendenti dalla sua volontà, che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto (Cass. 21/10/2015, n. 21358).
L’onere della prova contraria deve essere inteso «non in termini assoluti quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni di mercato» (Cass. 20/06/2018 n. 16204; Cass. 12/02/2019, n. 4019; Cass. 05/04/12/2019, n. 31626; Cass. 01/02/2019, n. 3063; Cass. 28/05/2020, n. 10158).
Inoltre, non si è mancato di rilevare che in tema di società di comodo, non sussistono le oggettive situazioni di carattere straordinario, che rendono impossibile il superamento del test di operatività, ex art. 30, comma 4bis , della l. n. 724 del 1994, nella versione all’epoca vigente, nell’ipotesi di totale assenza di pianificazione aziendale da parte degli organi gestori della società o di completa «inettitudine produttiva», gravando sull’imprenditore, anche collettivo, -ai sensi dell’art. 2086, secondo comma, c.c., come modificato dall’art. 375 c.c.i., in coerenza con l’art. 41 Cost. – l’obbligo di predisporre i mezzi di produzione nella prospettiva del raggiungimento del lucro obiettivo e della continuità aziendale.
Sicché in tal caso, il sindacato del giudice non coinvolge le scelte di merito dell’imprenditore, attenendo alla verifica del corretto adempimento degli obblighi degli amministratori e dei sindaci, con riduzione dell’operatività della business judgement rule , sempre valutabile, sotto il profilo tributario, per condotte platealmente
antieconomiche (Cass. 23/11/2021, n. 36365); e si è anche avuto modo di ribadire, recentemente, che in tema di società non operative, il contribuente può superare la presunzione relativa di non operatività di cui all’art. 30 della l. n. 724 del 1994, dando prova dell’esistenza di situazioni oggettive, indipendenti dalla sua volontà, di carattere straordinario e da valutarsi in relazione alle effettive condizioni del mercato; l’affermazione, da parte del giudice di merito, dell’idoneità o meno dei fatti accertati, ove incontroversi, ad integrare siffatta ipotesi può essere oggetto di sindacato in sede di legittimità, per vizio cd. di sussunzione, riconducibile al paradigma di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. (Cass. 16/05/2023, n. 13328).
Deve peraltro chiarirsi, in considerazione dell’epoca in cui l’interpello è stato proposto (201 3) che, in materia di interpello disapplicativo, l’art. 1, comma 109, lett. h, della legge n. 296 del 2006 ha modificato, con decorrenza dal l’ 1/01/ 2007, la formula dell’art. 30 , comma 4bis , della legge n. 724 del 1994 che, nella formula applicabile prevede, nella parte di interesse, «4bis . In presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi … la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive … ». Pertanto, non risulta richiesto che l’istante provi la ricorrenza di «oggettive situazioni di carattere straordinario» che abbiano impedito il conseguimento dei ricavi, ma è comunque richiesta la dimostrazione della ricorrenza di circostanze oggettive.
Merita in proposito di essere ricordato come questa Corte regolatrice abbia già evidenziato che il protrarsi per anni dell’inattività di una impresa ben possa – almeno potenzialmente – risolversi in una scelta soggettiva dell’imprenditore, e non essere per ciò riconducibile ad una circostanza oggettiva (Cass. 16/05/2023, n. 13336).
La normativa sulle società di comodo intende disincentivare la permanenza in vita di organismi societari che non siano in condizione
di svolgere attività d’impresa, al fine di evitare che possano trasformarsi in centri di imputazione di costi che ricadrebbero sulla collettività.
Tutto ciò premesso, nel caso di specie la CTR ha fatto corretta applicazione di tali principi e dato una congrua motivazione della insussistenza delle ragioni obiettive, evidenziando il lasso temporale decorso tra la data dell’approvazione del PUA da parte del Comune di Avellino e l’anno dell’interpello disapplicativo, e specificando altresì che la progettazione delle opere era affidata a società facenti capo alla stessa proprietà della RAGIONE_SOCIALE (circostanze in fatto neanche contestate), e quindi eventuali ritardi o inadempienze non potevano ritenersi ascrivibili a fatti oggettivi esterni ma alla stessa società contribuente.
4. Il secondo motivo è infondato.
La deduzione del vizio motivazionale di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ. deve avere ad oggetto l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, inteso nel senso di circostanza fattuale o preciso accadimento in senso storico naturalistico (Cass. 06/09/2019, n. 22397; Cass. 03/10/2018, n. 24035; Cass. 08/09/2016, n. 17761; Cass., Sez. U., 23/03/2015, n. 5745; Cass. 08/10/2014, n. 21152; Cass. 04/04/2014, n. 7983; Cass. 05/03/2014, n. 5133), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia e postula la sua concreta e specifica indicazione, anche in relazione alla sede processuale ove sia stata dedotta.
Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso,
il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U., 7/04/2014, n. 8053).
Ora, nel caso di specie, risulta del tutto non esplicitato il motivo per cui l’approvazione in data 10 novembre 2010 del PUA per l’altro comparto edificatorio, RQ08, al quale peraltro, secondo quanto dedotto dallo stesso ricorrente, non pare riferirsi il successivo progetto esecutivo, fosse circostanza decisiva nel caso in questione, rispetto al ritenuto ritardo con cui si era dato luogo alla progettazione delle opere per l’altro comparto.
Concludendo, il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore d ell’ Agenzia delle entrate, spese che liquida in euro 3.200,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 06/02/2025.
Il Presidente
NOME COGNOME