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Società non operative: quando si applicano le norme?

Una società immobiliare, classificata come non operativa, ha contestato tale status adducendo come causa oggettiva i ritardi nelle procedure urbanistiche. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che una prolungata inattività, in assenza di ostacoli esterni chiari e insormontabili, viene considerata una scelta imprenditoriale e non una giustificazione valida per disapplicare la disciplina fiscale sulle società non operative.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società non operative: l’inattività prolungata è una scelta imprenditoriale?

La disciplina delle società non operative, o società di comodo, è uno strumento fondamentale per il Fisco per contrastare l’uso di veicoli societari con finalità elusive. Tuttavia, esistono situazioni in cui una società non raggiunge le soglie di redditività minime per cause oggettive e non per una volontà di eludere le imposte. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito i confini tra impedimento oggettivo e scelta imprenditoriale, specialmente nel settore immobiliare, spesso legato a lungaggini burocratiche.

I fatti del caso

Una società a responsabilità limitata, operante nel settore immobiliare, si è vista negare dall’Agenzia delle Entrate la richiesta di disapplicazione della normativa sulle società non operative per l’anno d’imposta 2013. La società sosteneva di trovarsi in una situazione di inattività forzata a causa di impedimenti oggettivi: la situazione urbanistica dei terreni di sua proprietà non ne consentiva la commercializzazione o l’utilizzo edificatorio. In particolare, l’azienda faceva riferimento alle tempistiche necessarie per l’approvazione dei piani urbanistici attuativi da parte del Comune.

La Commissione Tributaria Regionale, riformando la decisione di primo grado, ha dato ragione all’Agenzia delle Entrate. I giudici di secondo grado hanno ritenuto che la società non avesse fornito una prova adeguata dell’esistenza di situazioni oggettive che le avessero impedito di raggiungere i risultati minimi di redditività. Anzi, hanno evidenziato il notevole lasso di tempo trascorso tra l’approvazione del primo piano urbanistico (gennaio 2010) e la presentazione del progetto esecutivo, sottolineando come la progettazione fosse stata affidata a società riconducibili allo stesso amministratore, rendendo i ritardi un fatto interno all’azienda piuttosto che un impedimento esterno.

La questione giuridica: valutazione delle cause di inattività

La controversia è giunta dinanzi alla Corte di Cassazione, con la società ricorrente che ha sollevato due motivi principali. In primo luogo, ha lamentato la violazione dell’art. 30 della legge n. 724/1994, sostenendo che l’impossibilità di operare dovesse essere intesa in termini economici, considerando le reali condizioni di mercato, e non come un’impossibilità assoluta. In secondo luogo, ha denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo: l’approvazione di un secondo piano urbanistico, relativo a un comparto contiguo, avvenuta solo nel novembre 2010, che a suo dire era indispensabile per dare certezza all’intero investimento e procedere con la progettazione esecutiva.

Le motivazioni sulle società non operative della Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato entrambi i motivi, confermando la decisione della Commissione Tributaria Regionale e fornendo importanti chiarimenti sull’onere della prova in capo alle società non operative.

La prova rigorosa delle cause oggettive

I giudici hanno ribadito un principio consolidato: spetta al contribuente dimostrare l’esistenza di ‘situazioni oggettive, specifiche ed indipendenti dalla sua volontà’ che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività. Questa prova deve essere intesa non in termini assoluti, ma economici, tenendo conto delle effettive condizioni di mercato.

Tuttavia, la Corte ha specificato che il protrarsi per anni dell’inattività di un’impresa può risolversi in una ‘scelta soggettiva dell’imprenditore’, e non essere quindi riconducibile a una circostanza oggettiva. La normativa sulle società di comodo mira proprio a disincentivare la permanenza in vita di entità societarie che non svolgono un’effettiva attività d’impresa. Nel caso di specie, il lungo intervallo tra l’approvazione del piano urbanistico e l’avvio della progettazione è stato considerato un indicatore di una scelta gestionale, non di un impedimento esterno. Il fatto che la progettazione fosse stata affidata a società ‘sorelle’ ha ulteriormente rafforzato la tesi che eventuali ritardi fossero ascrivibili alla sfera di controllo della contribuente stessa.

L’irrilevanza del fatto non decisivo

Anche il secondo motivo di ricorso, relativo all’omesso esame dell’approvazione del secondo piano urbanistico, è stato respinto. La Corte ha sottolineato che, per viziare la motivazione di una sentenza, un fatto omesso deve essere ‘decisivo’. In questo caso, la società ricorrente non ha spiegato in modo convincente perché l’approvazione del piano per il secondo comparto fosse un presupposto indispensabile e bloccante per avviare la progettazione del primo, il cui piano era stato approvato quasi un anno prima. Mancando la dimostrazione della decisività di tale circostanza, la censura è stata ritenuta infondata.

Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida l’orientamento della giurisprudenza in materia di società non operative. La decisione ribadisce che, per ottenere la disapplicazione della normativa, non è sufficiente addurre difficoltà generiche o ritardi burocratici. Il contribuente deve fornire una prova puntuale e rigorosa di impedimenti oggettivi, esterni alla sua sfera di controllo, che abbiano reso economicamente impossibile il conseguimento dei ricavi minimi. Una prolungata inerzia, anche a fronte di un contesto complesso, rischia di essere interpretata come una scelta imprenditoriale, con tutte le conseguenze fiscali che ne derivano. Per le società immobiliari, ciò significa dover documentare in modo ineccepibile ogni fase dei processi autorizzativi e dimostrare di aver agito con la dovuta diligenza per superare gli ostacoli incontrati.

Che tipo di prova deve fornire una società per evitare di essere classificata come non operativa?
La società deve dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive, specifiche, straordinarie e indipendenti dalla sua volontà, che le abbiano impedito di raggiungere le soglie minime di ricavi e reddito. La prova deve essere valutata in termini economici, considerando le effettive condizioni di mercato.

Un lungo ritardo nell’avvio di un’attività, dovuto a procedure urbanistiche, è sempre considerato un impedimento oggettivo?
No. Secondo la Corte, un ritardo prolungato può essere interpretato come una scelta imprenditoriale soggettiva, specialmente se la società non dimostra di aver intrapreso tutte le iniziative possibili per superare gli ostacoli. Il lasso temporale tra l’ottenimento delle autorizzazioni e l’avvio effettivo dell’attività è un elemento chiave di valutazione.

L’inattività di una società può essere considerata una scelta imprenditoriale anche in presenza di difficoltà esterne?
Sì. La Corte chiarisce che la normativa sulle società di comodo ha lo scopo di disincentivare l’esistenza di società inattive. Pertanto, anche se esistono difficoltà esterne, se la gestione aziendale mostra una totale assenza di pianificazione o una ‘inettitudine produttiva’, il giudice può ritenere che l’inoperatività derivi da scelte di merito dell’imprenditore e non da cause di forza maggiore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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