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Società non operative: quando è legittimo il diniego?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18578/2024, ha stabilito che la prolungata inattività di una società, anche se originata da un diniego di autorizzazione amministrativa, può configurarsi come una scelta imprenditoriale soggettiva e non come una causa oggettiva che giustifichi la disapplicazione della disciplina sulle società non operative. Sebbene il diniego all’interpello sia un atto impugnabile, la sua legittimità dipende da una rigorosa prova di circostanze che rendono impossibile il conseguimento di ricavi, distinguendo il normale rischio d’impresa da eventi straordinari.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società non operative: il diniego di autorizzazione non sempre giustifica l’inattività

L’ordinanza n. 18578/2024 della Corte di Cassazione offre un’importante analisi sulla disciplina delle società non operative, chiarendo quando l’impossibilità di generare ricavi possa essere considerata una scelta imprenditoriale anziché una causa oggettiva. La decisione sottolinea come la prolungata inattività di un’azienda, anche a fronte di ostacoli amministrativi, possa non essere sufficiente a ottenere la disapplicazione delle norme fiscali penalizzanti previste per le cosiddette ‘società di comodo’.

I Fatti di Causa

Una società a responsabilità limitata aveva acquistato un grande immobile in stato di abbandono con l’obiettivo di trasformarlo in una struttura assistenziale. Dopo aver ottenuto un parere favorevole iniziale dall’ASL locale, la società si vedeva negare l’autorizzazione definitiva dalla Regione per la saturazione dei posti disponibili nel settore. A seguito di questo diniego, l’azienda si trovava nell’impossibilità di avviare l’attività programmata e, al contempo, non riusciva a locare o vendere l’immobile.

Di fronte a questa situazione di stallo, la società presentava un interpello all’Agenzia delle Entrate per chiedere la disapplicazione della normativa sulle società non operative per l’anno d’imposta 2010, adducendo una situazione oggettiva di impossibilità a produrre reddito. L’Agenzia respingeva l’istanza, dando il via a un contenzioso che, dopo due gradi di giudizio favorevoli al contribuente, giungeva in Cassazione.

L’Impugnabilità del Diniego di Interpello

Uno dei punti centrali del ricorso dell’Agenzia delle Entrate riguardava la presunta inammissibilità dell’impugnazione del diniego di interpello, in quanto non rientrante nell’elenco tassativo degli atti impugnabili previsto dalla legge. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha rigettato questa tesi, confermando un orientamento consolidato. Secondo i giudici, anche un atto non formalmente elencato può essere impugnato se manifesta in modo chiaro e definito una pretesa tributaria, ledendo così l’interesse del contribuente a veder definita la propria posizione giuridica. Il diniego all’interpello rientra a pieno titolo in questa categoria.

La Disciplina delle società non operative e le Scelte Imprenditoriali

Il cuore della decisione si concentra sul secondo motivo di ricorso, accolto dalla Corte. L’Agenzia contestava che la situazione della società potesse essere qualificata come ‘oggettiva e straordinaria’. La Cassazione ha concordato, evidenziando che la normativa sulle società non operative mira a contrastare l’uso di schermi societari per finalità elusive, tassando forfettariamente quelle entità che non dimostrano un’operatività economica effettiva.

La prova contraria, che spetta al contribuente, deve dimostrare l’esistenza di circostanze oggettive, indipendenti dalla sua volontà, che hanno impedito il raggiungimento dei ricavi minimi. Secondo la Corte, il mancato ottenimento di un’autorizzazione amministrativa, pur essendo un ostacolo, rientra nel normale rischio d’impresa. La scelta di mantenere in vita per anni una società inattiva, senza prospettive concrete di avviare un’attività, si trasforma da conseguenza di un evento esterno a una scelta imprenditoriale soggettiva.

Le motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione distinguendo nettamente tra un impedimento oggettivo e una scelta soggettiva. Il protrarsi per ‘anni e lustri’ dell’inattività, dopo il diniego iniziale, non può più essere considerato una circostanza oggettiva che esime la società dalla disciplina penalizzante. La legge non intende punire le scelte imprenditoriali sfortunate, ma disincentivare la permanenza in vita di organismi societari privi di una reale funzione economica, che potrebbero trasformarsi in meri centri di imputazione di costi a danno della collettività. Pertanto, il giudice di merito avrebbe dovuto valutare se la conservazione della società, in assenza di qualsiasi prospettiva futura, fosse ancora giustificabile come conseguenza di una causa oggettiva o se non fosse piuttosto il risultato di una decisione dell’imprenditore. La Corte ha quindi cassato la sentenza impugnata, rinviando la causa al giudice di secondo grado per una nuova valutazione basata su questi principi.

Conclusioni

L’ordinanza rappresenta un monito per gli imprenditori: la disciplina sulle società non operative richiede una prova rigorosa per essere disapplicata. Un ostacolo iniziale, come un diniego di autorizzazione, non costituisce una giustificazione a tempo indeterminato. Se l’inattività si protrae a lungo senza che l’imprenditore adotti misure concrete per modificare la situazione o liquidare la società, il Fisco può legittimamente considerare tale stato come una scelta volontaria e applicare le relative norme fiscali. La decisione ribadisce che il rischio d’impresa, inclusi gli ostacoli burocratici, è un elemento intrinseco dell’attività economica e non può essere invocato indefinitamente per eludere gli obblighi tributari.

Il diniego dell’Agenzia delle Entrate a un interpello per la disapplicazione della normativa sulle società non operative è un atto che può essere impugnato davanti al giudice tributario?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, anche se non è espressamente elencato dalla legge tra gli atti impugnabili, il diniego è un provvedimento che manifesta una pretesa tributaria ben definita. Pertanto, il contribuente ha l’interesse immediato a contestarlo in giudizio per chiarire la propria posizione fiscale.

Il mancato ottenimento di un’autorizzazione amministrativa è sufficiente a dimostrare l’esistenza di una ‘situazione oggettiva’ che impedisce di produrre ricavi?
Non necessariamente. La Corte chiarisce che il mancato conseguimento di autorizzazioni rientra nel normale rischio d’impresa. Sebbene possa essere un impedimento iniziale, non costituisce di per sé una causa oggettiva e straordinaria che giustifica l’inattività per un periodo di tempo prolungato.

Qual è la differenza tra una ‘causa oggettiva’ di inattività e una ‘scelta imprenditoriale soggettiva’ secondo la Corte?
Una ‘causa oggettiva’ è un evento straordinario, specifico e indipendente dalla volontà dell’imprenditore, che rende impossibile il conseguimento di ricavi. Una ‘scelta imprenditoriale soggettiva’, invece, si configura quando, a fronte di un ostacolo, l’imprenditore decide di mantenere la società in uno stato di inattività per anni, senza intraprendere azioni per superare l’impasse o per liquidare l’azienda. Questa seconda situazione non giustifica la disapplicazione delle norme sulle società non operative.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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