Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13867 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13867 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 17/05/2024
Società non operative
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5996/2014 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, in forza di procura in calce al ricorso, ed elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO RAGIONE_SOCIALE l’AVV_NOTAIO ;
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ed elettivamente domiciliata RAGIONE_SOCIALE la medesima in Roma alla INDIRIZZO;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia n. 138/10/13, pronunciata in data 14 marzo 2013 e pubblicata in data 10 ottobre 2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17 aprile 2024 dal consigliere dott. NOME COGNOME.
Rilevato che:
La società RAGIONE_SOCIALE con distinti ricorsi, riuniti davanti alla Commissione tributaria provinciale di RAGIONE_SOCIALE (CTP), impugnava due avvisi di accertamento, con cui era determinato un maggior reddito Ires e Irap anni 2006 e 2007, e con cui era qualificata come società non operativa ai sensi dell’art. 30 della l. 23/12/1994, n. 724.
La CTP accoglieva i ricorsi evidenziando che la società non aveva svolto attività per la mancata preventiva autorizzazione RAGIONE_SOCIALE opere da parte del Comune di Polignano a Mare.
L’RAGIONE_SOCIALE , Ufficio RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, proponeva appello, che era accolto dalla Commissione tributaria regionale della Puglia (CTR).
In particolare la RAGIONE_SOCIALE , in relazione all’anno 2006, preso atto che la società aveva presentato l’interpello previsto dall’art. 37 -bis , comma 8, d.P.R. n. 600 del 1973, richiamato dall’art. 30 l. n. 724 del 1994, che l’Ufficio l’aveva dichiarat o improcedibile perché privo di elementi conoscitivi adeguati, e che non era stata presentata altra istanza, evidenziava che le circostanziate doglianze sul punto, riportate nell’appello sono legittime e pertanto sono accolte ; per l’anno 2007, condivideva la tesi dell’ufficio secondo cui l’appellata non poteva avvalersi della disapplicazione RAGIONE_SOCIALE norme relative alle società non operative non avendo la stessa presentato nei termini di legge la obbligatoria istanza di interpello .
Contro tale sentenza propone ricorso la società, con tre motivi.
Con ordinanza pubblicata in data 19/10/2022 la Corte ha ordinato la rinnovazione della notificazione del ricorso all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (originariamente indirizzato all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE) , rinnovazione eseguita in data 16/12/2022.
Con successiva ordinanza, rilevata la sospensione dei termini per il deposito del controricorso, ai sensi dell’art. 1, comma 199, della l. n. 197 del 2022, ha rinviato la causa a nuovo ruolo.
L’RAGIONE_SOCIALE ha depositato controricorso.
Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 17 aprile 2024.
Considerato che:
La ricorrente propone tre motivi di ricorso.
I primi due motivi si riferiscono all’accertamento per l’annualità 2006, il terzo all’accertamento per l’annualità 2007.
Con il primo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 30 della l. 23 /12/ 1994, n. 724, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., lamentando che la disposizione in parola non preveda che, ove l’istanza di disapplicazione sia dichiarata inammissibile, essa possa considerarsi come non presentata.
Col secondo motivo deduce la nullità della sentenza per omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, primo comma , n. 5, cod. proc. civ., circa i motivi per i quali l’istanza dovesse considerarsi come non presentata.
Col terzo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 30, comma 4bis , della l. 23/12/1994, n. 724, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., laddove ha ritenuto che la mancata presentazione dell’interpello previsto dall’art. 37 -bis , ottavo comma, d.P.R. n. 600 del 1973, richiamato dall’art. 30 della l. n. 724 del 1994, precludesse la valutazione RAGIONE_SOCIALE situazioni oggettive che avevano reso
impossibile il conseguimento dei ricavi minimi, senza possibilità per il contribuente di provarne in giudizio la sussistenza.
Occorre premettere che l’originario ricorso era s tato notificato all’RAGIONE_SOCIALE lRAGIONE_SOCIALE mentre dalla sentenza emerge che l’ufficio, nel giudizio di merito, non fosse difeso da quest’ultima. Questa Corte, con ordinanza interlocutoria, dato atto che in casi siffatti la notificazione è nulla e non è sanata dalla costituzione dell’Ufficio, rimasto originariamente intimato (Cass., Sez. U., 29/10/2007, n. 22641; successivamente, di recente, Cass. 22/06/2021, n. 17700), ha ordinato pertanto rinnovarsi la notificazione all’Ag enzia RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, che si è costituita con controricorso.
I motivi devono essere esaminati alla luce di consolidati arresti di questa Corte.
La disciplina delineata dall’art. 30 della l. n. 724 del 1994 mira a disincentivare la costituzione di società «di comodo», ovvero il ricorso all’utilizzo RAGIONE_SOCIALE schema societario per il raggiungimento di scopi eterogenei rispetto alla normale dinamica degli enti collettivi commerciali, come quello, proprio RAGIONE_SOCIALE società c.d. di mero godimento, dell’amministrazione dei patrimoni personali dei soci con risparmio fiscale ( ex multis , Cass. 13/05/2015, n. 21358; Cass. 28/09/2017, n. 26728).
Il disfavore dell’ordinamento per tale incoerente impiego del modulo societario -ricavabile, oltre che dalla disciplina fiscale antielusiva, dal più RAGIONE_SOCIALE divieto, desumibile dall’art. 2248 cod. civ., di regolare la comunione dei diritti reali con le norme in materia societaria – trova spiegazione nella distonia tra l’interesse che la società di mero godimento è diretta a soddisfare e lo scopo produttivo al quale il contratto di società è preordinato.
La finalità di deterrenza è perseguita attraverso la fissazione di standard minimi di ricavi e proventi, correlati al valore di determinati beni aziendali, il cui mancato raggiungimento costituisce indice sintomatico del carattere non operativo della società (Cass. 24/02/2020, n. 4850).
La presunzione legale di inoperatività si fonda sulla massima di esperienza per la quale non vi è, di norma, effettività di impresa senza una continuità minima nei ricavi (Cass. 10/03/2017, n. 6195, in motivazione) ed ha carattere relativo. In particolare, secondo il primo comma dell’art. 30 della l. n. 724 del 1994, una società si considera non operativa se la somma di ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi (esclusi quelli straordinari) imputati nel conto economico è inferiore a un ricavo presunto, calcolato, attraverso il c.d. test di operatività, applicando determinati coefficienti percentuali al valore degli asset patrimoniali intestati alla società.
Tale presunzione può, tuttavia, essere vinta mediante la dimostrazione, il cui onere grava sul contribuente, di situazioni oggettive -ossia non dipendenti da una scelta consapevole dell’imprenditore – che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito determinato secondo i predetti parametri.
Il carattere relativo della presunzione era espressamente sancito nella versione dell’art. 30 risultante dall’intervento modificativo operato dall’art. 4 del d.l. 11/03/1997, n. 50, convertito, con modifiche, dalla l. 9/05/1997, n. 122, il quale ha, appunto, disposto che, ai sensi dell’art. 30, comma 1, prima parte, della l. n. 724 del 1994, le società ivi indicate «si considerano, salva la prova contraria, non operative se l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi RAGIONE_SOCIALE rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico, ove prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano ».
Tale formulazione, compreso il riferimento alla prova contraria, non è variata all’esito della modifica apportata dall’art. 35, comma 15, d.l. 4/07/2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla l. 4/08/2006, n. 248, ed applicabile ai periodi di imposta in corso al 4 luglio 2006, il quale ha, tuttavia, inserito, nell’art. 30 in esame, il comma 4bis , che disciplina l’interpello disapplicativo, prevedendo che « in presenza di oggettive situazioni di carattere straordinario che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del detto articolo», «la società interessata può richiedere la disapplicazione RAGIONE_SOCIALE relative disposizioni antielusive, ai sensi del D.P.R. 600 del 1973, art. 37bis , comma 8» (lo stesso art. 37bis è stato invero successivamente abrogato dall’art. 1, comma 2, d.lgs. 5/08/2015, n. 128, ma le disposizioni che lo richiamano devono intendersi comunque riferite all’interpello di cui all’art. 10bis l. 27/07/2000, n. 212).
Successivamente, con l’art. 1, comma 109, della l. 27/12/2006, n. 296, il legislatore è nuovamente intervenuto sull’art. 30 della l. n. 724 del 1994, sopprimendo, nella prima parte del primo comma, il riferimento alla prova contraria ed eliminando, nel comma 4bis , la specificazione del «carattere straordinario» originariamente riferita alle «oggettive situazioni» che abbiano reso impossibile il conseguimento dei ricavi e degli ulteriori indicatori previsti dalla norma.
Il mancato superamento della «soglia di operatività» indotta da tali parametri costituisce presunzione legale della natura non operativa della società contribuente e comporta l’applicazione della disciplina antielusiva. Alla presunzione legale di non operatività sancita dal primo comma dell’art. 30 il legislatore correla una seconda presunzione di reddito minimo (art. 30, commi 3 e 3bis ), in ossequio al principio economico dell’inerenza dei costi (Cass. 20/04/2018, n. 9852; Cass. 28/05/2020, n. 10102).
In ordine alla questione che si pone, se la presentazione dell’interpello ai sensi dell’art. 30, comma 4bis , l. n. 724 del 1994 sia l’unica ammissibile quando la società intenda far valere la disapplicazione della normativa antielusiva sicchè, laddove non richiesta, non può più essere attivata la tutela giurisdizionale, questa Corte ha già dato risposta negativa in plurimi arresti.
Infatti, anche nel caso in cui il contribuente scelga di non presentare l’istanza di interpello, anche in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), vale il principio per cui la prova della sussistenza del diritto alla disapplicazione della normativa antielusiva può essere fornita anche al di fuori della procedura prevista dalla combinazione dell’art. 30, comma 4bis , l. n. 724 del 1994 e dell’art. 37bis d.P.R. 600 del 1973 e dunque anche in sede processuale (cfr . Cass. 24/02/2021, n. 4946; Cass. 15/10/2021, n. 28251; Cass. 15/03/2019, n. 7402; Cass. 12/05/2012, n. 17010; Cass., n. 18807 del 2017). Anche con riguardo al recupero IVA questa Corte ha ribadito tali principi, affermando che la società ritenuta non operativa può esercitare il diritto alla detrazione ed ottenere il conseguente rimborso dell’eccedenza di IVA detraibile anche se non abbia esercitato l’interpello disapplicativo all’uopo previsto (cfr. Cass. 28/07/2017, n. 18807; Cass. 27/03/2015, n. 6200).
Alla luce di tali principi, occorre concludere che:
è inammissibile il primo motivo, in quanto la CTR non ha ritenuto il ricorso sul punto inammissibile per incompletezza dell’istanza; occorre infatti evidenziare che la considerazione censurata, attribuita ai giudici d’appello, secondo cui l’istanza di disapplicazione va considerata come non presentata anche ai fini della dichiarazione di inammissibilità del ricorso presentato dalla società contro l’eventuale avviso di accertamento, contenuta a pagina 4, in realtà è la mera
trascrizione della motivazione del provvedimento di rigetto dell’istanza di disapplicazione; tale motivazione non è però condivisa dalla CTR che espressamente la confuta alla fine della pagina 4, in realtà decidendo nel merito della fondatezza o meno della richiesta, condividendo le circostanziate doglianze dell’ufficio sul punto ;
il secondo motivo , proposto ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. è inammissibile poiché non indica il fatto storico di cui sarebbe stato omesso l’esame e censura un’affermazione in diritto (sopra riportata e che, come visto, non è quella fondante la decisione); anche riqualificato in termini di denuncia di motivazione apparente, cui in effetti tende, con riferimento alla nullità della decisione (Cass., Sez. U., 24/07/2013, n. 17931), esso è inammissibile, poichè il ricorso, sul punto, è del tutto privo di specificità in quanto le doglianze di merito non sono mai compiutamente esposte né localizzate (solo a pagina 6/7 sono meramente abbozzate RAGIONE_SOCIALE questioni relative al merito, facendo riferimento alle controdeduzioni d’appello );
è fondato il terzo motivo di ricorso, in quanto la CTR, per l’annualità 2007, ha espressamente affermato, in contrasto con quanto sopra evidenziato , il carattere ineludibile dell’adempimento del previo interpello con la conseguente necessaria applicazione automatica del reddito minimo negando la possibilità della società di dar prova in giudizio dei relativi presupposti.
Di conseguenza il ricorso va accolto nel suo terzo motivo, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, cui si demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il terzo motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia
tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 17 aprile 2024.