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Società non operative: prova delle cause oggettive

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una società che chiedeva la disapplicazione della disciplina sulle società non operative. Secondo la Corte, la semplice revoca di un contributo non è sufficiente a dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive che hanno impedito di produrre ricavi, se l’azienda non prova che tali inadempimenti non le siano imputabili.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società non operative: quando la revoca di un contributo non basta

L’ordinanza n. 18500/2024 della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sulla disciplina delle società non operative. La pronuncia chiarisce quali prove una società debba fornire per ottenere la disapplicazione del regime fiscale penalizzante, specialmente quando l’inattività deriva dalla revoca di un finanziamento pubblico. Vediamo nel dettaglio il caso e le conclusioni dei giudici.

I fatti di causa: un progetto imprenditoriale interrotto

Una società a responsabilità limitata aveva presentato un interpello all’Agenzia delle Entrate per chiedere la disapplicazione della normativa antielusiva prevista per le società non operative. La società sosteneva di trovarsi in una situazione di inattività forzata, causata dalla revoca di un finanziamento pubblico che le avrebbe permesso di avviare il proprio progetto imprenditoriale.

Inizialmente, la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) aveva dato ragione alla società, riconoscendo che la revoca del contributo costituiva un legittimo impedimento all’avvio dell’attività. Tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale (CTR), in appello, aveva ribaltato la decisione, accogliendo le ragioni dell’Amministrazione Finanziaria.

La CTR aveva evidenziato che il Ministero dello Sviluppo Economico aveva avviato l’iter di revoca del contributo a causa di specifici inadempimenti della società: la mancata ultimazione degli investimenti, la mancata assunzione di dipendenti, il mancato avvio dell’attività e irregolarità amministrative. Di fronte a queste contestazioni, la società si era limitata a sostenere che la mancata realizzazione del progetto dipendesse dalla revoca stessa, senza però dimostrare che gli inadempimenti contestati non le fossero imputabili.

La questione davanti alla Cassazione: onere della prova

La società ha quindi presentato ricorso in Cassazione, lamentando principalmente due vizi: un’omessa motivazione su un punto decisivo e la violazione di legge. Sostanzialmente, la ricorrente riteneva che i giudici di merito non avessero correttamente valutato le circostanze oggettive che avevano reso impossibile il conseguimento dei ricavi.

Le motivazioni: la prova nelle società non operative

La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i motivi di ricorso inammissibili, confermando la decisione della CTR. I giudici hanno chiarito un principio fondamentale: per ottenere la disapplicazione della disciplina delle società non operative, non è sufficiente allegare una circostanza come la revoca di un finanziamento. È onere del contribuente dimostrare che tale circostanza integri una ‘situazione oggettiva’ che ha reso impossibile il conseguimento di ricavi.

Nel caso specifico, la società non ha provato che gli inadempimenti che hanno portato alla revoca del contributo (mancato completamento degli investimenti, mancata assunzione, etc.) non fossero a lei imputabili. La Cassazione ha sottolineato che l’accertamento di questi fatti è un compito del giudice di merito e non può essere oggetto di una nuova valutazione in sede di legittimità. Il ricorso della società, secondo la Corte, mirava a una ‘più appagante ricostruzione di fatto’, un’operazione preclusa nel giudizio di Cassazione, che è limitato al controllo della corretta applicazione della legge.

Conclusioni: cosa insegna questa ordinanza

L’ordinanza ribadisce un principio cruciale per le società non operative: la prova per la disapplicazione della normativa antielusiva deve essere rigorosa. Non basta invocare un evento esterno (come la revoca di un finanziamento) per giustificare l’inattività. La società deve dimostrare, con prove concrete, che le cause dell’inattività non dipendono da proprie mancanze o scelte gestionali. L’onere della prova ricade interamente sul contribuente, che deve essere in grado di provare l’esistenza di ‘oggettive situazioni’ che hanno reso impossibile il raggiungimento della soglia di ricavi minimi previsti dalla legge.

È sufficiente la revoca di un finanziamento per giustificare la disapplicazione delle norme sulle società non operative?
No. Secondo l’ordinanza, la revoca di un contributo, di per sé, non integra automaticamente la fattispecie delle ‘oggettive situazioni’ che rendono impossibile il conseguimento di ricavi. È necessario che la società dimostri che le cause della revoca non siano a lei imputabili.

Cosa deve dimostrare una società per ottenere la disapplicazione della disciplina delle società non operative?
La società deve comprovare che l’impossibilità di conseguire ricavi derivi da situazioni oggettive a lei non imputabili. Deve dimostrare, ad esempio, che gli inadempimenti contestati dall’ente erogatore del finanziamento non sussistessero o non fossero dovuti a una sua colpa.

Può la Corte di Cassazione riesaminare i fatti accertati dal giudice di merito?
No. La Corte di Cassazione ha il compito di verificare la corretta applicazione delle norme di diritto (sindacato di legittimità), ma non può compiere un nuovo accertamento dei fatti di causa. I tentativi di ottenere una ‘differente e più appagante ricostruzione di fatto’ vengono dichiarati inammissibili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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