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Società non operative: la prova contraria in giudizio

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26109/2025, chiarisce le modalità con cui una società, ritenuta ‘non operativa’ dall’Amministrazione Finanziaria, può difendersi. L’Agenzia aveva emesso un avviso di accertamento IRES e IRAP nei confronti di un’impresa immobiliare. La Corte Suprema ha stabilito che la società può fornire la prova di ‘situazioni oggettive’ che hanno impedito il raggiungimento dei ricavi minimi direttamente in sede di giudizio, senza aver necessariamente presentato un interpello disapplicativo preventivo. Tuttavia, ha cassato la decisione del giudice di merito perché la valutazione di tali prove deve essere rigorosa e non basata su generiche difficoltà o scelte imprenditoriali non profittevoli. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società non operative: la prova contraria si può dare anche in giudizio

La disciplina delle società non operative, o società di comodo, rappresenta uno strumento cruciale per l’Amministrazione Finanziaria nella lotta all’elusione fiscale. Tuttavia, la sua applicazione può risultare penalizzante per le imprese che, per ragioni oggettive e non per intento elusivo, non riescono a raggiungere le soglie di reddito previste dalla legge. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata sul tema, chiarendo i confini dell’onere della prova a carico del contribuente.

Il caso in esame: un accertamento per mancata operatività

Una società a responsabilità limitata, operante nel settore immobiliare, riceveva un avviso di accertamento per IRES e IRAP relativo all’anno d’imposta 2012. L’Amministrazione Finanziaria, dopo aver eseguito il cosiddetto ‘test di operatività’, aveva classificato l’impresa tra le società non operative, determinando un reddito minimo presunto e le conseguenti maggiori imposte.

La società impugnava l’atto, sostenendo di non aver potuto conseguire i ricavi attesi a causa di oggettive difficoltà, tra cui problematiche amministrative e autorizzative che avevano bloccato un importante progetto di sviluppo immobiliare. Mentre la Commissione Tributaria di primo grado dava ragione al Fisco, quella di secondo grado accoglieva l’appello della società. L’Agenzia ricorreva quindi in Cassazione.

La disciplina delle società non operative e l’onere della prova

La normativa sulle società non operative presume che un’impresa che non raggiunge un determinato livello di ricavi rispetto al valore del proprio patrimonio sia, in realtà, una ‘scatola vuota’ utilizzata per fini elusivi, come la semplice gestione di patrimoni personali. Per contrastare questo fenomeno, la legge impone a tali società di dichiarare un reddito minimo presunto, a prescindere dalle perdite effettive.

Il contribuente, tuttavia, può superare questa presunzione. La legge offre due vie principali:
1. L’interpello disapplicativo: una richiesta preventiva all’Amministrazione Finanziaria in cui si dimostra la sussistenza di ‘oggettive situazioni’ che hanno impedito di raggiungere la soglia di operatività.
2. La difesa in giudizio: fornire la prova contraria direttamente durante il contenzioso tributario, qualora si riceva un avviso di accertamento.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione, nel decidere il caso, ha ribadito un principio fondamentale: la mancata presentazione dell’interpello disapplicativo non preclude al contribuente la possibilità di difendersi in giudizio. Questa facoltà è garantita dai principi costituzionali di tutela giurisdizionale. Pertanto, il giudice tributario ha il pieno potere di valutare le prove fornite dalla società per dimostrare la sua effettiva operatività.

Tuttavia, la Corte ha specificato la natura di tale prova. Non è sufficiente addurre generiche difficoltà o dimostrare che un progetto imprenditoriale si è rivelato antieconomico. La prova deve riguardare ‘situazioni oggettive di carattere straordinario’, indipendenti dalla volontà dell’imprenditore, che hanno reso materialmente impossibile il conseguimento del reddito presunto in relazione alle effettive condizioni di mercato. Una semplice assenza di pianificazione aziendale o una ‘inettitudine produttiva’ non costituiscono cause di giustificazione valide.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la motivazione dei giudici di secondo grado fosse carente. Essi avevano accolto le ragioni della società basandosi su una perizia che attestava difficoltà amministrative e uno sforzo economico eccessivo del progetto. Secondo la Cassazione, questa analisi non era sufficientemente approfondita. Era necessario valutare se tali ostacoli fossero realmente ‘oggettivi’ e ‘impeditive’ nel senso richiesto dalla norma, e non il frutto di scelte imprenditoriali che si sono poi rivelate sbagliate.

Le conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria. La sentenza della Commissione Tributaria Regionale è stata cassata con rinvio. Il caso dovrà essere riesaminato da un’altra sezione dello stesso organo giudicante, che dovrà effettuare una nuova e più motivata valutazione delle prove, attenendosi ai rigorosi principi affermati dalla Cassazione. La decisione sottolinea che, sebbene la via giudiziale sia sempre aperta per le società non operative, l’onere probatorio a loro carico è particolarmente stringente e deve concentrarsi su elementi fattuali oggettivi e non meramente soggettivi o legati a valutazioni di convenienza economica.

Una società ritenuta ‘non operativa’ deve obbligatoriamente presentare un interpello disapplicativo per difendersi?
No, la Corte di Cassazione chiarisce che la mancata presentazione dell’interpello non impedisce al contribuente di fornire la prova contraria direttamente in sede di giudizio per dimostrare la sussistenza di cause oggettive che hanno impedito il raggiungimento dei ricavi minimi.

Che tipo di prova deve fornire un’impresa per non essere considerata una società di comodo?
L’impresa deve dimostrare l’esistenza di ‘situazioni oggettive di carattere straordinario’, indipendenti dalla sua volontà, che hanno reso impossibile il raggiungimento del reddito presunto. Non sono sufficienti difficoltà generiche, scelte imprenditoriali rivelatesi non profittevoli o una mancanza di pianificazione aziendale.

Per quale motivo la Cassazione ha annullato la decisione del giudice di merito?
La Cassazione ha ritenuto che il giudice di merito non avesse valutato in modo sufficientemente rigoroso le prove fornite dalla società. Aveva motivato la sua decisione sulla base di difficoltà amministrative e sull’onerosità economica di un progetto, senza però verificare se queste circostanze integrassero pienamente le ‘cause oggettive impeditive’ richieste dalla normativa per disapplicare la disciplina delle società non operative.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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