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Società non operative: la Cassazione sui ricavi bassi

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7006/2024, ha stabilito che una società non è automaticamente considerata ‘non operativa’ se non supera il test dei ricavi minimi. Se l’insufficiente redditività è dovuta a ‘situazioni oggettive’, come la fase di avvio (start-up) di un’attività economica reale, la disciplina penalizzante per le società non operative può essere disapplicata. Il caso riguardava una società che aveva affittato un ramo d’azienda destinato alla ristorazione, i cui ricavi iniziali erano bassi a causa delle difficoltà di avviamento dell’affittuaria. La Corte ha ritenuto tale circostanza una valida giustificazione, rigettando il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società non operative: la fase di start-up giustifica i ricavi bassi

La disciplina delle società non operative, o ‘di comodo’, è uno strumento con cui il Fisco contrasta l’uso elusivo dello schema societario. Tuttavia, cosa accade quando una società genuina non raggiunge i ricavi minimi a causa di difficoltà iniziali? Con l’ordinanza n. 7006/2024, la Corte di Cassazione ha chiarito che la fase di avvio di un’attività costituisce una valida giustificazione, proteggendo le iniziative imprenditoriali reali da un’applicazione troppo rigida della normativa.

I fatti del caso: la società vitivinicola e il ristorante in affitto

Una nota azienda vitivinicola aveva costituito una società controllata per gestire un’attività di ristorazione. Anziché gestirla direttamente, la società aveva deciso di affittare il ramo d’azienda a un’altra impresa specializzata nel settore, guidata da uno chef di fama. Il canone d’affitto era stato correlato in percentuale al fatturato mensile del ristorante.

Nei primi anni di attività, il ristorante ha incontrato le tipiche difficoltà di avviamento (fase di start-up), generando un fatturato modesto. Di conseguenza, il canone d’affitto percepito dalla società proprietaria è risultato molto basso, al di sotto delle soglie minime previste dal ‘test di operatività’.

Per questo motivo, l’Agenzia delle Entrate ha qualificato la società come ‘non operativa’ per l’anno fiscale in questione, emettendo un avviso di accertamento per maggiori imposte.

La controversia legale e la presunzione di non operatività

La questione centrale ruotava attorno all’interpretazione dell’articolo 30 della legge n. 724/1994. Secondo l’Amministrazione finanziaria, il mancato superamento del test dei ricavi era sufficiente per applicare il regime fiscale penalizzante. La scelta di affittare l’azienda e di legare il canone a un fatturato incerto era vista come una libera scelta imprenditoriale che non poteva giustificare l’insufficiente redditività.

La società contribuente, invece, sosteneva che la sua non era un’attività di mero godimento di beni, ma un’iniziativa economica reale. La bassa redditività non derivava da inattività, ma da una ‘situazione oggettiva’: la fase di avvio del ristorante gestito dall’affittuaria. Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano dato ragione alla società, annullando l’accertamento.

L’analisi delle società non operative secondo la Cassazione

Investita del ricorso dell’Agenzia delle Entrate, la Corte di Cassazione ha confermato le decisioni dei giudici di merito, rigettando le pretese del Fisco. I giudici supremi hanno ribadito che la normativa sulle società non operative mira a colpire gli abusi, cioè l’uso di società-schermo per gestire patrimoni personali eludendo le tasse.

Il mancato superamento del test di operatività non determina una condanna automatica, ma fa scattare una ‘presunzione legale relativa’. Ciò significa che spetta alla società dimostrare di essere operativa, provando l’esistenza di ‘situazioni oggettive’ che hanno impedito il raggiungimento dei ricavi minimi.

Le motivazioni

La Corte ha ritenuto che la situazione descritta rientrasse pienamente in questo ambito. La scelta di affidare il ramo d’azienda a un operatore specializzato, coinvolgendo uno chef rinomato, non era una decisione antieconomica, bensì una legittima strategia imprenditoriale finalizzata a un investimento di lungo periodo e a evitare commistioni con l’attività vitivinicola principale. L’obiettivo era creare valore, non godere passivamente di un bene.

La fase di start-up dell’attività di ristorazione è stata riconosciuta come la causa diretta e ‘oggettiva’ dei bassi ricavi. La stessa prassi dell’Agenzia delle Entrate (circolare n. 5/E del 2007) ammette che le società in fase di avvio possono rientrare tra i casi di disapplicazione della disciplina. Il fatto che, superata la fase iniziale, l’attività abbia poi generato ricavi significativi ha ulteriormente confermato la genuinità dell’operazione commerciale.

Le conclusioni

Questa pronuncia rafforza un principio fondamentale: la normativa sulle società non operative deve essere applicata con discernimento, distinguendo le strutture di comodo dalle imprese reali che affrontano le normali sfide del mercato, come una fase di avvio. Un’impresa che investe e opera in una prospettiva di crescita a lungo termine, anche se temporaneamente non redditizia, non può essere assimilata a una ‘scatola vuota’ creata per fini elusivi. La prova dell’effettiva imprenditorialità e delle circostanze oggettive che hanno limitato i ricavi è la chiave per superare la presunzione del Fisco.

Una società con ricavi inferiori alle soglie di legge è sempre considerata ‘non operativa’?
No. Il mancato superamento delle soglie previste dal test di operatività crea solo una presunzione legale ‘relativa’ di non operatività. La società può superare tale presunzione fornendo la prova contraria, ovvero dimostrando che esistono ‘situazioni oggettive’ che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi minimi.

La fase di avvio (start-up) di un’attività può giustificare il mancato raggiungimento dei ricavi minimi?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che la fase di avvio di un’attività economica è una ‘situazione oggettiva’ che giustifica la disapplicazione della disciplina sulle società non operative, in quanto le difficoltà iniziali possono oggettivamente impedire il raggiungimento delle soglie di ricavo presunte dalla legge.

Una scelta imprenditoriale, come affittare un ramo d’azienda, può essere considerata una ‘situazione oggettiva’ per evitare la qualifica di società di comodo?
Sì, a condizione che sia una scelta strategica e non palesemente antieconomica. Nel caso esaminato, la Corte ha ritenuto che affidare la gestione di un ristorante a una società specializzata fosse una legittima scelta imprenditoriale finalizzata al successo a lungo termine dell’investimento e non un’attività di mero godimento di beni. Pertanto, le conseguenze di tale scelta (bassi ricavi iniziali) sono state considerate parte di una valida dinamica di mercato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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