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Società non operative: la Cassazione e l’impatto UE

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24352/2024, interviene sulla disciplina delle società non operative. Il caso riguarda una società che aveva richiesto la disapplicazione del regime fiscale penalizzante, vedendosi negare l’istanza dall’Agenzia delle Entrate. La Corte, pur respingendo i motivi su competenza e termini, accoglie il ricorso sul merito. Sulla base di una recente pronuncia della Corte di Giustizia UE, stabilisce che la presunzione legale di non operatività, basata solo sul mancato raggiungimento di ricavi minimi, è incompatibile con i principi europei di neutralità dell’IVA e proporzionalità. L’amministrazione finanziaria non può negare il diritto alla detrazione IVA senza prima dimostrare un’effettiva condotta fraudolenta o abusiva da parte del contribuente.

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Pubblicato il 17 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società non operative: la Cassazione recepisce il diritto UE

La disciplina delle società non operative, o società di comodo, è da tempo al centro di un acceso dibattito giuridico. Con la recente sentenza n. 24352 del 10 settembre 2024, la Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale, allineando l’interpretazione della normativa interna ai principi del diritto dell’Unione Europea, in particolare in materia di IVA. La decisione, che nasce dal ricorso di una società contro un diniego di disapplicazione, ridefinisce i poteri dell’Amministrazione Finanziaria e rafforza le tutele per i contribuenti.

I Fatti del Caso

Una società operante nel settore della lavorazione del vetro presentava un’istanza di interpello per ottenere la disapplicazione della disciplina sulle società non operative per l’anno d’imposta 2010. La società sosteneva che il mancato raggiungimento dei ricavi minimi previsti dalla legge era dovuto a cause oggettive e indipendenti dalla sua volontà, come la crisi del settore e la mancata approvazione di una revisione di un progetto da parte di un ente finanziatore pubblico.

L’Agenzia delle Entrate, tramite la sua Direzione Regionale, dichiarava l’istanza inammissibile per mancanza del requisito della preventività, essendo stata presentata a ridosso della scadenza per la dichiarazione dei redditi. La società impugnava tale provvedimento, e sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale le davano ragione.

L’Agenzia delle Entrate ricorreva quindi in Cassazione, sollevando diverse questioni, tra cui l’incompetenza territoriale del giudice di primo grado, la tardività dell’interpello e, soprattutto, l’errata valutazione nel merito delle cause giustificative addotte dalla società.

Le Questioni Giuridiche Affrontate

La Corte di Cassazione ha esaminato cinque motivi di ricorso, che possono essere sintetizzati in tre aree principali:

1. Questioni procedurali: Riguardavano la competenza territoriale del giudice tributario e la tempestività dell’istanza di interpello.
2. Impugnabilità dell’atto: Si discuteva se il provvedimento di inammissibilità dell’istanza fosse un atto autonomamente impugnabile.
3. Questione di merito: Il punto cruciale verteva sulla legittimità della presunzione di non operatività e sulla sua compatibilità con i principi del diritto dell’Unione Europea.

La Decisione della Corte di Cassazione sulle società non operative

La Suprema Corte ha respinto i motivi procedurali ma ha accolto quello di merito, cassando con rinvio la sentenza impugnata. La decisione si fonda in modo determinante su una pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Competenza Territoriale e Altri Motivi Respinti

La Corte ha chiarito che, in caso di impugnazione di un diniego di disapplicazione, la competenza territoriale spetta alla Corte di Giustizia Tributaria nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio provinciale competente per l’accertamento, e non quello regionale che ha emesso l’atto. Ha inoltre stabilito che l’istanza era tempestiva, poiché presentata prima della scadenza della dichiarazione, e che il diniego è un atto pienamente impugnabile in quanto definisce una pretesa tributaria.

L’Impatto della Sentenza della Corte di Giustizia UE

Il cuore della sentenza risiede nel recepimento dei principi espressi dalla Corte di Giustizia UE nel caso C-341/22. I giudici europei hanno dichiarato che la normativa italiana sulle società non operative è incompatibile con la direttiva IVA laddove la presunzione di non operatività, basata unicamente su una soglia di ricavi, conduca a negare il diritto alla detrazione dell’IVA.

Secondo la CGUE, una tale presunzione:
Eccede quanto necessario per prevenire l’evasione e l’abuso.
– Si basa su un criterio (il volume dei ricavi) che è estraneo alla dimostrazione di un’effettiva evasione.
Viola i principi di neutralità dell’IVA e di proporzionalità.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha spiegato che, alla luce del diritto europeo, l’approccio del giudice di merito è stato errato. Non avrebbe dovuto limitarsi a valutare se le giustificazioni fornite dalla società (crisi di settore, ecc.) fossero sufficienti a superare la presunzione legale italiana. Invece, il suo compito primario era un altro: valutare, con un accertamento in fatto, la realtà effettiva delle operazioni economiche svolte dalla società.

Il giudice deve prima verificare se la società svolge un’«attività economica» oggettiva, indipendentemente dai suoi risultati. Solo se, sulla base di principi oggettivi, si ravvisa una natura “non operativa” che configuri un’invocazione fraudolenta o abusiva del diritto alla detrazione IVA, allora si può procedere a negare tale diritto. La presunzione basata sui ricavi minimi non è di per sé sufficiente a dimostrare l’abuso.

In altre parole, l’onere della prova si sposta: non è più il contribuente a dover superare una presunzione quasi automatica, ma è l’Amministrazione a dover dimostrare che, al di là del mancato raggiungimento dei ricavi, vi è una situazione di abuso o frode. Le cause oggettive di difficoltà economica diventano rilevanti solo in un secondo momento, per giustificare il mancato svolgimento dell’attività economica, ma il primo passo è accertare se un’attività economica esista o meno.

Conclusioni

Questa sentenza segna un punto di svolta fondamentale nella gestione del contenzioso relativo alle società non operative. La presunzione legale prevista dall’art. 30 della Legge n. 724/1994 viene significativamente depotenziata, almeno per quanto riguarda l’IVA. Per l’Amministrazione Finanziaria non sarà più sufficiente contestare il mancato superamento del “test di operatività” per negare la detrazione dell’imposta. Sarà invece necessario condurre un’analisi sostanziale e dimostrare, con elementi concreti, che l’attività della società è fittizia e finalizzata a un abuso del sistema fiscale. Per i contribuenti, si apre uno spazio di difesa più ampio, fondato sulla realtà economica della propria impresa e sui principi fondamentali del diritto europeo.

Qual è il giudice competente per impugnare un diniego di disapplicazione emesso dalla Direzione Regionale?
La competenza territoriale appartiene alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio provinciale dell’Agenzia delle Entrate responsabile per l’accertamento fiscale del contribuente, e non quella dove ha sede la Direzione Regionale che ha emesso l’atto di diniego.

Un interpello disapplicativo presentato poco prima della scadenza della dichiarazione dei redditi è considerato valido?
Sì. Secondo la Corte, un interpello è preventivo e quindi valido se presentato prima della scadenza del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi. La legge non impone un termine minimo di novanta giorni prima della scadenza, come invece sostenuto dall’Agenzia delle Entrate sulla base di una circolare.

La normativa italiana sulle società non operative è compatibile con il diritto dell’Unione Europea in materia di IVA?
No. La Corte di Cassazione, richiamando una sentenza della Corte di Giustizia UE, ha stabilito che la presunzione legale di non operatività, basata esclusivamente sul mancato raggiungimento di una soglia minima di ricavi, è incompatibile con i principi di neutralità dell’IVA e di proporzionalità. Non può quindi essere utilizzata per negare automaticamente il diritto alla detrazione dell’IVA senza una prova concreta di comportamento fraudolento o abusivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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