Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34366 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 34366 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 24/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 113/2017 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOMEricorrente-
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato (NUMERO_DOCUMENTO), che la rappresenta e difende
-resistente- avverso Sentenza delle Commissione Tributaria Regionale della Puglia n. 1179/2016 depositata l’11/05/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La RAGIONE_SOCIALE ricorreva avverso l’avviso di accertamento n. TVS030400645/2012), con il quale l’Agenzia delle EntrateDirezione Provinciale di Barletta-Andria-Trani, in applicazione della disciplina prevista per le società non operative, ha rettificato il reddito dichiarato dalla società ai fini Ires per l’anno di imposta 2008 fino alla concorrenza di quello minimo determinato in base all’art. 30, co. 3, L. n. 724/1994 e, quindi, in euro 53.746,00.
La predetta società aveva presentato istanza di interpello ai sensi dell’art. 37 bis, co. 8, DPR n. 600/1973, ma non aveva ottenuto la richiesta disapplicazione delle disposizioni antielusive relative alle società di comodo.
La CTP di Bari non apprezzava le ragioni della società.
Proponeva appello la contribuente, ribadendo le censure mosse in primo grado, e segnatamente lamentando: i) la violazione dell’art. 42, co. 1, D.P.R. n. 600/73 per omessa allegazione di provvedimento avente data certa e numero di protocollazione, con il quale il direttore dell’Ufficio impositore ha delegato il sottoscrittore dell’avviso di accertamento; ii) la violazione dell’art. 41 D.P.R. n. 600/73, avendo omesso, il predetto Ufficio, di determinare i redditi fondiari esclusivamente in base alle risultanze catastali; iii) violazione dell’art. 30, co. 4 bis, L. n. 724/1994, avendo omesso l’appellata Agenzia di considerare le circostanze oggettive rappresentate dalla società contribuente che, non dipendendo dalla sua volontà, le hanno impedito il raggiungimento del reddito minimo (diniego di autorizzazioni; iscrizione di ipoteche; terreni da lottizzare soggetti a numerosi vincoli paesaggistici e idrogeologici).
Con la sentenza indicata in epigrafe, la CTR della Puglia rigettava l’appello, confermando la decisione di primo grado.
Avverso la predetta sentenza ricorre, con quattro motivi, la società RAGIONE_SOCIALE
L’Agenzia delle entrate ha depositato foglio di costituzione al fine della eventuale partecipazione alla udienza di discussione.
La ricorrente, infine, ha depositato memoria difensiva ex art. 380.1-bis c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la società contribuente lamenta la «Violazione ed errata applicazione della norma di cui all’art. 42, co. 1, d.p.r. n.600/73».
Il motivo è in parte inammissibile, e in parte infondato.
1.2. La società contribuente, oltre a non indicare espressamente, nella rubrica del motivo, lo specifico vizio denunciato, propone le proprie critiche mescolando profili di impugnazione diversi (nullità della sentenza, violazione di legge, vizio di motivazione), deducendo contestualmente che «nel provvedimento del Giudice, vi sono delle argomentazioni del tutto inidonee a cogliere la ratio decidendi che non consentono l’identificazione dell’iter logico seguito dalla C.T.R. per giungere alla conclusione finale del dispositivo», che il «Giudice d’Appello ha, di converso, invertito il principio sancito dalla Suprema Corte in merito all’onere della prova, sostenendo che dovesse incombere sul contribuente, che contesta il potere di firma di sottoscrizione degli atti impositivi, l’onere di provare la fondatezza della relativa contestazione e, quindi, del relativo motivo di impugnazione», ed infine che «nel caso de quo l’Ufficio ha prodotto soltanto un ordine di servizio generico, nel quale è contenuto il potere di sottoscrivere gli atti nel cui novero è compreso quello dell’odierna ricorrente, confermando di fatto l’inesistenza di apposita delega scritta avente data certa. Ma tale produzione non può certamente essere sufficiente, atteso che “l’avviso di accertamento non può essere sottoscritto da chicchessia; la legge dice che a firmare l’atto debba essere il “capo dell’ufficio” o “altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato”».
Si richiede in tal modo a questa Corte regolatrice di selezionare le critiche, qualificarle, e quindi valutarne la fondatezza, il che non è evidentemente consentito.
1.3. La censura di violazione dell’art. 42 del DPR n. 600/1973, da ultimo evidenziato, enucleabile dal corpo del motivo formulato in termini di denuncia di violazione di legge, è comunque infondata, dovendosi tuttavia procedere alla correzione della motivazione della sentenza impugnata, laddove la CTR ha fondato, erroneamente, il
proprio convincimento sulla affermata presunzione di legittimità dell’atto tributario.
1.4. Tanto chiarito, è acquisito il fatto che la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ex art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 ha natura di delega di firma – e non di funzioni -poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa (Cass. Sez. 5, n. 11013 del 19/04/2019; Cass. Sez. 6 – 5, n. 28850 del 08/11/2019; Cass. Sez. 5, n. 5826 del 27/02/2023).
Questa Corte inoltre ha più volte affermato che è irrilevante la mancata indicazione del nominativo del soggetto delegato come pure la durata della delega, essendo adeguata l’indicazione della qualifica rivestita (Cass. n. 8814/19; Cass. 11013/2019; Cass. n. 19190/2019; Cass. n. 2221/2021). Ciò che è importante è che, in caso di contestazione, l’Amministrazione è tenuta per un principio di vicinanza della prova a dimostrare la sussistenza della delega, potendo produrla anche nel secondo grado di giudizio perché la questione non attiene alla legittimazione processuale (Cass. n. 19190/2019; Cass. n. 5200/2018; Cass. 15781/2017).
1.5. La sentenza impugnata è dunque rispettosa dei sopra richiamati principi di diritto, laddove accerta l’assolvimento in capo all’Amministrazione della produzione in giudizio della delega. La CTR ha inoltre rilevato che il sottoscrittore dell’atto risultava titolare della funzione di ‘Capo Team Accertamenti’ che lo
legittimava a sottoscrivere l’atto, e la richiesta di un nuovo sindacato su tali circostanze fattuali, esaminate dai giudici d’appello, non è consentito in questa sede.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la «Violazione ed errata applicazione della norma di cui all’art. 41, d.p.r. n. 600/73». Il motivo è in parte infondato, e per il resto inammissibile.
2.1. Afferma la ricorrente che la CTR non avrebbe tenuto in debito conto il tenore letterale della norma invocata, secondo il quale, in caso di dichiarazione omessa, vi sarebbe l’obbligo per l’Ufficio di determinare i redditi fondiari esclusivamente su base catastale. La censura è infondata.
2.2. Hanno correttamente rilevato i giudici di merito che i terreni di proprietà di società commerciali (immobiliari di costruzione e/o compravendita, le quali li acquistano nella prospettiva della successiva edificazione, lottizzazione o cessione a terzi) si considerano alla stregua di una merce e non, quindi, come produttivi di reddito fondiario, sicché, ai finii dell’accertamento del relativo reddito, non sono applicabili le norme di determinazione catastale. La censura manifesta inoltre profili di inammissibilità, non essendo stato indicato il contenuto dell’avviso di accertamento, del quale si eccepisce la nullità per vizio di motivazione in merito alla questione sollevata.
2.3. Con ulteriore censura, la ricorrente lamenta che l’Agenzia abbia erroneamente preso in considerazione, al fine del calcolo del test di operatività di cui all’art. 30 cit., i beni immobili, pur avendoli qualificati come beni merce, e quindi come rimanenze contabili.
2.4. A tale riguardo, questa Corte ha effettivamente affermato che gli immobili iscritti in magazzino (cd. immobili merce), non essendo compresi tra gli asset indicati nel comma 1 dell’articolo 30, non rientrano nel test di operatività, ma ciò a condizione che la classificazione fra gli immobili merce sia improntata a corretti principi contabili (in tal senso, Circolare dell’Agenzia delle entrate
n. 25/E del 4 maggio 2007, paragrafo 3.2.2.). Pertanto, in sede di verifica dello stato di operatività della società, ai sensi del citato art. 30 della legge n. 724 del 1994, i beni immobili assumono, dunque, rilevanza solo se iscritti in bilancio fra le immobilizzazioni materiali, in quanto utilizzati come strumenti di produzione o destinati all’investimento durevole, dovendosi comunque includere nel test di operatività gli immobili che, sebbene iscritti fra le rimanenze, risultino oggetto di locazione a terzi da lungo tempo.
2.5. Rilevandosi che, come si desume dal tenore del ricorso (v. p. 10) è la stessa società contribuente ad affermare che gli immobili in questione consisterebbero in terreni agricoli concessi in locazione, si osserva che, comunque, la censura è inammissibile, non trovandosi nella sentenza impugnata traccia alcuna della questione prospettata, né avendo la ricorrente allegato in quale specifico atto del giudizio di merito essa sia stata dedotta.
Giova richiamare il condiviso indirizzo di questa Corte secondo cui ‘ In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio ‘ (Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 15430 del 2018; Cass. 23675 del 2013).
Con il terzo strumento di impugnazione, la società denuncia la «Violazione ed errata applicazione della norma di cui all’art.30, co.
4 bis, l. n.724/1994», assumendo di avere ampiamente documentato nel ricorso introduttivo la presenza delle circostanze
oggettive che impediscono il raggiungimento del reddito minimo, estranee alla volontà della ricorrente (diniego di autorizzazioni, iscrizione ipoteche, terreni da lottizzare e soggetti a numerosi vincoli paesaggistici e idrologici).
3.1. Il motivo è inammissibile.
La contribuente infatti censura, sostanzialmente, l’accertamento in fatto e la valutazione probatoria effettuata dalla CTR in merito alla insussistenza delle condizioni per ritenere la società non operativa nell’anno oggetto di accertamento, lamentando che i giudici di primo e secondo grado, in maniera del tutto sbrigativa, abbiano ritenuto che nel caso di specie manchino le circostanze oggettive che non hanno consentito di conseguire l’ammontare minimo dei ricavi.
Trattasi di valutazioni in mero fatto, peraltro basate su una doppia decisione, sul punto, conforme (in primo e secondo grado), ragion per cui il ricorso appare inammissibile, anche ai sensi dell’art. 348 -ter, quarto e quinto comma, cod. proc. civ.
3.2. È comunque opportuno rilevare che il richiamo operato dalla ricorrente ai principi dettati dalla sentenza della Corte di giustizia UE 7 marzo 2024 nella causa C-341/22 non è conferente, afferendo detta pronuncia alla differente questione, qui non rilevante, del diritto alla detrazione dell’Iva assolta, a monte, da parte delle società non operative.
Con il quarto motivo di ricorso, rubricato «Violazione ed errata applicazione della norma di cui all’art. 30, co. 3, legge n.724/94», ed anch’esso privo di richiamo al vizio di legittimità denunciato, la contribuente lamenta «omessa pronuncia (…) su punti decisivi della controversia», ed in particolare: i) sulla circostanza che la disciplina delle società non operative non andasse applicata in quanto i redditi degli immobili andavano determinati su base fondiaria ex art. 41 DPR n. 600/1973 e ii) che nella determinazione del reddito minimo non si è tenuto conto, nel calcolo dei ricavi medi, di quelli
dell’anno 2006, prendendo per errore quelli dell’anno 2009, così come voci di bilancio si è considerato l’anno 2009 anziché l’anno 2006, oltre ad aver inserito tra i titoli e crediti negli anni 2007 e 2008 i crediti tributari che non vanno considerati nel test di non operatività.
4.1. La doglianza, con riguardo al primo profilo, è inammissibile, essendosi i giudici di appello pronunciati espressamente su detta questione, con rigetto della tesi del ricorrente.
4.2. Anche con riferimento al secondo profilo di censura il motivo è inammissibile, dovendosi ribadire che l’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012 n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli art. 366, 1 comma, n. 6, e 369, 2 comma, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività», fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio denunciato qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. ex multis, Sez. un. 22/9/2014 n. 19881, Sez. un. 7/4/2014 n.8053; Cass. n. 27415 del 29/10/2018; di recente v. Cass. n. 9664/2023). Nel caso di specie la ricorrente non ha adempiuto a tale onere di allegazione, essendosi limitata a richiamare
genericamente le «deduzioni di carattere giuridico formulate nel presente giudizio».
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Non si procede alla liquidazione delle spese in assenza di attività difensiva dell’Amministrazione.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 28/11/2024.