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Società non operative: interpello non è obbligatorio

Una società, qualificata come ‘non operativa’ dall’Agenzia delle Entrate, ha visto accolto il proprio ricorso. La Corte di Cassazione ha stabilito che la presentazione dell’istanza di interpello disapplicativo è una facoltà e non un obbligo. Il contribuente può quindi dimostrare direttamente in sede processuale le ragioni oggettive che hanno impedito il raggiungimento dei ricavi minimi, superando così la presunzione di non operatività.

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Pubblicato il 14 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società non operative: la Cassazione conferma che l’interpello è una facoltà, non un obbligo

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale per la difesa delle società non operative: la procedura di interpello disapplicativo non è una condizione indispensabile per poter dimostrare in giudizio la propria operatività. Questa decisione rafforza la tutela giurisdizionale del contribuente, chiarendo che la prova contraria alla presunzione del Fisco può essere fornita direttamente in sede processuale.

I Fatti del Caso: La Contestazione Fiscale

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a una società a responsabilità limitata. L’Ufficio, applicando la disciplina delle cosiddette “società di comodo” (art. 30 della Legge 724/1994), aveva determinato un reddito presuntivo per l’anno d’imposta 2006, ritenendo che la società non avesse superato i test di operatività previsti dalla legge. Di conseguenza, venivano accertate maggiori imposte e irrogate pesanti sanzioni.

La società impugnava l’atto impositivo, ma il ricorso veniva respinto in primo grado dalla Commissione Tributaria Provinciale. Successivamente, la Commissione Tributaria Regionale, in sede di appello, accoglieva le ragioni della contribuente, annullando l’accertamento. Contro questa decisione, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione, sostenendo che la società, non avendo preventivamente attivato la procedura di interpello disapplicativo, non avrebbe potuto dimostrare in sede giudiziale l’esistenza di situazioni oggettive che le avevano impedito di conseguire i ricavi minimi.

La Questione Giuridica: Interpello Obbligatorio o Facoltativo?

Il cuore della controversia verteva sull’interpretazione del ruolo dell’interpello disapplicativo. Secondo la tesi dell’Amministrazione Finanziaria, questa procedura amministrativa rappresentava l’unico strumento a disposizione del contribuente per ottenere la disapplicazione della normativa sulle società di comodo. La sua omissione, quindi, avrebbe precluso qualsiasi successiva contestazione in tribunale.

La Corte di Cassazione è stata chiamata a decidere se l’interpello costituisca una condizione di procedibilità, ovvero un passaggio obbligato prima di poter adire le vie legali, oppure una mera facoltà, che lascia al contribuente la libertà di scegliere se avvalersene o difendersi direttamente in giudizio.

Le motivazioni della Corte di Cassazione: la tutela del contribuente

La Suprema Corte ha respinto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, qualificando la tesi dell’obbligatorietà dell’interpello come infondata. Gli Ermellini hanno chiarito che l’interpello disapplicativo non ha natura di condizione di procedibilità né limita la tutela giurisdizionale del contribuente. Imporre tale procedura come obbligatoria comporterebbe una violazione dei principi costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 della Costituzione) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 della Costituzione).

La Corte ha precisato che il contribuente ha sempre la facoltà di superare la presunzione legale di “non operatività” dimostrando in giudizio la sussistenza di circostanze oggettive e non imputabili che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi minimi. Pertanto, la società può:
1. Discostarsi dalla risposta negativa eventualmente ricevuta in sede di interpello, senza doverla necessariamente impugnare.
2. Impugnare direttamente l’atto impositivo (come l’avviso di accertamento) e fornire in quella sede la prova delle condizioni oggettive che giustificano la disapplicazione della norma antielusiva.

In sostanza, il processo tributario rimane la sede principale in cui il contribuente può esercitare pienamente il proprio diritto di difesa, senza preclusioni derivanti dal mancato esperimento di una procedura amministrativa preventiva.

Le conclusioni: Implicazioni Pratiche per le società non operative

La decisione in commento consolida un orientamento giurisprudenziale favorevole al contribuente. Le società non operative o che rischiano di essere classificate come tali hanno la certezza di poter difendere le proprie ragioni direttamente davanti al giudice tributario. Questo significa che, anche in assenza di un’istanza di interpello, è possibile fornire la prova di situazioni straordinarie (come crisi di settore, difficoltà di mercato o altri eventi oggettivi) che hanno impedito di raggiungere i parametri di legge.

Questa pronuncia rappresenta una garanzia fondamentale, poiché evita di appesantire il contribuente con oneri procedurali che potrebbero limitarne il diritto alla difesa. La scelta di attivare l’interpello resta una strategia a disposizione della società, ma la sua omissione non può e non deve compromettere la possibilità di ottenere giustizia in tribunale.

Una società è obbligata a presentare l’istanza di interpello per non essere considerata ‘non operativa’?
No, la presentazione dell’istanza di interpello disapplicativo è una mera facoltà e non un obbligo per la società contribuente. La sua omissione non preclude la possibilità di difendersi in giudizio.

Cosa può fare una società se riceve un avviso di accertamento basato sulla disciplina delle società non operative?
La società può impugnare l’avviso di accertamento davanti alla competente commissione tributaria e, in quella sede, dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive e straordinarie che le hanno impedito di raggiungere i ricavi minimi previsti dalla legge, superando così la presunzione di non operatività.

La mancata presentazione dell’interpello impedisce al giudice di valutare le prove fornite dalla società?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il giudice ha il pieno potere di valutare tutte le prove fornite dal contribuente in sede processuale per dimostrare la sussistenza delle condizioni per la disapplicazione della norma antielusiva, senza alcuna preclusione derivante dal mancato ricorso all’interpello.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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