Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31757 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31757 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/12/2024
Avv. Acc. IRES 2006
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22420/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. SICILIA -SEZIONE DISTACCATA DI CATANIA n. 1313/06/2017, depositata in data 6 aprile 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 settembre 2024 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate direzione provinciale di Catania notificava alla società RAGIONE_SOCIALE l’avviso di accertamento n. CODICE_FISCALE con il quale accertava per l’anno d’imposta 2006 un reddito presuntivo di € 260.716,00, con maggiore IRES di € 85.824,00 e sanzioni per € 171.648,00, non avendo ravvisato i presupposti per l’applicazione della disciplina di cui all’art. 30 Legge 23 dicembre 1994, n. 724 relativa alle cc.dd. società non operative.
Avverso l’avviso proponeva ricorso la società contribuente dinanzi alla RAGIONE_SOCIALE di Catania; si costituiva in giudizio anche l’ufficio, contestando i motivi di ricorso e chiedendo la conferma del relativo operato.
La C.t.p., con sentenza n. 145/04/2012, rigettava integralmente il ricorso della contribuente.
Contro tale decisione proponeva appello la contribuente dinanzi la C.t.r. della Sicilia; si costituiva anche l’Agenzia delle Entrate, chiedendo la conferma di quanto statuito in primo grado.
Con sentenza n. 1313/06/2017, depositata in data 6 aprile 2017, la C.t.r. adita accoglieva l’appello della contribuente, compensando tra le parti le spese di lite.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Sicilia, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo e la società contribuente ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 13 settembre 2024.
Considerato che:
Con l’unico motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione/falsa applicazione dell’art. 30 della Legge n. 724/1994 e art. 11, comma primo, Legge 27 luglio 2000, n. 212 anche in combinato disposto con art. 8 D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156 ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. non ha rilevato come la presentazione dell’istanza di interpello
disapplicativo fosse il solo rimedio utilizzabile per dimostrare le obiettive situazioni che hanno determinato l’impossibilità di conseguire l’ammontare minimo di ricavi, di incrementi delle rimanenze e di proventi, nonché del reddito, mentre dimostrazione non poteva più aversi nella successiva sede processuale.
Il motivo di ricorso proposto è infondato.
2.1. L’istituto dell’interpello disapplicativo, ex art. 37 -bis , comma 8, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, consente la disapplicazione delle norme antielusive correttive o impeditive di detrazioni, deduzioni o crediti di imposta quando si dimostri che nella fattispecie concreta non si sarebbero potuti realizzare gli effetti antielusivi impediti dalla relativa disposizione.
2.2. Nel caso di specie si fa riferimento all’utilizzo dell’istituto dell’interpello disapplicativo all’interno della disciplina delle società ‘di comodo’, altrimenti dette ‘non operative’, disciplina per mezzo della quale si è inteso disincentivare il fenomeno dell’uso improprio dello strumento societario, utilizzato come involucro per raggiungere scopi, anche di risparmio fiscale, diversi da quelli previsti dal legislatore per tale istituto (Cass. n. 21358/2015).
In particolare, l’art. 30, comma 4 -bis , L. n. 724/1994, nella formulazione applicabile ratione temporis , prevede che: «in presenza di oggettive situazioni di carattere straordinario che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4 , la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi dell’articolo 37 bis , comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973».
2.3. Ora, con riguardo al quesito sotteso al presente ricorso, cioè se l’interpello disapplicativo implichi sempre e comunque la necessità della sua attivazione, a pena di sostanziale decadenza dalla possibilità di ottenere la disapplicazione della norma antielusiva, e, ove omesso, inibisca di conseguenza al giudice di valutare da sé la sussistenza, in concreto, dei presupposti per la disapplicazione stessa, questa Corte ha avuto modo di precisare che: «tale interpello disapplicativo non presenta, ad avviso di questo Collegio, natura di una condizione di procedibilità e di limitazione della tutela giurisdizionale del contribuente, né ha comportato l’elisione della facoltà, per quest’ultimo, di superare la presunzione legale di ‘non operatività’ (sancita dal primo comma della disposizione in esame) mediante la dimostrazione in giudizio di circostanze oggettive e non imputabili che abbiano reso impossibile il conseguimento di ricavi in misura pari alle soglie determinata ai sensi dell’art. 30; infatti, i principi costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.) non impediscono al contribuente sia di discostarsi dalla risposta negativa all’interpello resa dalla Amministrazione, senza doverla necessariamente impugnare, per evitarne la cristallizzazione, potendo comunque impugnare gli atti successivi di applicazione delle disposizioni antielusive, sia di esperire la piena tutela in sede giurisdizionale nei confronti dell’atto tipico impositivo che gli venga successivamente notificato, dimostrando in tale sede, senza preclusioni di sorta, la sussistenza delle condizioni per fruire della disapplicazione della norma antielusiva (cfr. Cass., ord., 24 febbraio 2021, n. 4946; Cass., ord., 28 maggio 2020, n. 10158)» (Cass. n. 28251/2021; nello stesso senso Cass. n. 5953/2021).
2.4. Dunque, deve ritenersi corretta la decisione della C.t.r. laddove, alla stregua di tali principi, ha affermato come la presentazione dell’istanza di interpello disapplicativo
rappresentasse mera facoltà e non obbligo per la società contribuente, ben potendo la stessa ottenere nella successiva fase giudiziale il riconoscimento da parte del giudice della sussistenza dei requisiti per la non applicazione della disciplina prevista per le società di comodo.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale, non si applica l’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 6.000,00, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15 % oltre ad IVA e c.p.a. come per legge.
Così deciso in Roma il 13 settembre 2024.