Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 28202 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5   Num. 28202  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 14297/2021, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rapp.te pro tempore NOME COGNOME,  rappresentata  e  difesa,  per  procura  allegata  al  ricorso, dagli  Avv.ti  NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliata presso quest’ultimo in ROMA, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
– resistente –
RAGIONE_SOCIALE – RISCOSSIONE
– intimata –
avverso la sentenza n. 703/5/2020 della Commissione tributaria regionale del Piemonte, depositata il 19 novembre 2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26 settembre 2025 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Rilevato che:
1. Avendo riportato perdite per i periodi d’imposta dal 2010 al 2012, e al fine di disapplicare, nei suoi propri confronti, il regime RAGIONE_SOCIALE cd. società non operative di cui all’art. 30 della l. n. 724/1994, RAGIONE_SOCIALE presentò all’amministrazione finanziaria apposito interpello ai sensi del comma 4bis (nei termini consentiti dalla disciplina vigente), volto a dimostrare la sussistenza di situazioni oggettive che avevano reso impossibile il conseguimento di ricavi, incrementi di rimanenze e proventi, nonché di reddito.
Poiché l’Ufficio aveva disatteso con provvedimento non autonomamente impugnabile -tale interpello, sul rilievo della mancata produzione dei documenti necessari, la società compilò la propria dichiarazione dei redditi 2013 indicando nel Quadro RN relativo all’Ires un importo pari al reddito minimo presunto in base ai criteri stabiliti dal citato art. 30 , omettendo di versare l’imposta ; ciò al fine di far emettere dall’ Amministrazione un atto impositivo che essa avrebbe potuto impugnare onde far valere le ragioni che consentivano la non applicabilità della disciplina RAGIONE_SOCIALE società non operative.
In  effetti,  con  procedura  di  liquidazione  ex  art.  36bis del d.P.R. n. 600/1973, l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE notificò alla società una cartella di pagamento relativa all’imposta non versata, che questa impugnò innanzi alla C.T.P. di Cuneo, estendendo il contraddittorio anche  all’Agente  per  la  riscossione  onde  far  va lere  alcuni  vizi intrinseci della cartella stessa.
Il giudice adìto accolse il ricorso.
 Il  successivo  appello  dell’RAGIONE_SOCIALE fu  accolto con la sentenza indicata in epigrafe.
I giudici regionali ritennero che la società non avrebbe dovuto esporre il proprio imponibile; indicandolo, invece, essa aveva legittimat o l’emissione della cartella , e tale comportamento rendeva superfluo l’esame di tutte le considerazioni poi svolte in giudizio dalla società circa la sussistenza di valide ragioni per disapplicare la disciplina relativa alle società cd. non operative, in quanto «il conteggio sviluppato nel quadro RN determina un risultato che è cogente, al quale, per legge, il contribuente deve adeguarsi anche nell’ipotesi in cui si versi in una situazione di perdita sistematica».
NOME ha impugnato la sentenza d’appello con ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da successiva memoria.
L’agente  per  la  riscossione  non  ha  svolto  difese,  mentre l’RAGIONE_SOCIALE  ha  depositato  atto  di  costituzione  con  il quale ha chiesto di partecipare all’udienza di discussione.
Considerato che:
Il primo motivo denunzia violazione dell’art. 30 della l. n. 724/1994, in combinato disposto con l’art. 2, comma 36 -decies , del d.l. n. 138/2011.
La ricorrente osserva in premessa che tale ultima disposizione assoggetta le società che presentino perdite per tre anni consecutivi al regime di non operatività, riconoscendo tuttavia la possibilità che sia dimostrata l’esistenza di situazioni oggettive che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, e ribadisce che quest’ultimo era il solo fine del suo comportamento, non essendo consentita l’impugnazione del diniego di disapplicazione precedentemente ricevuto.
Ciò posto, e a confutazione della decisione  impugnata, sostiene:
-che l’art. 30, comma 4 -bis , della l. n. 724/1994 non prevede alcuna limitazione temporale alla possibilità per il contribuente di contestare l’applicabilità del regime RAGIONE_SOCIALE società non operative;
-che  il  ‘comportamento  alternativo  doveroso’  prospettato dalla RAGIONE_SOCIALE, secondo la quale essa avrebbe dovuto omettere la compilazione del Quadro RS, avrebbe integrato una condotta di infedele dichiarazione;
che, come riconosciuto dagli stessi giudici regionali nella parte in fatto della sentenza impugnata, tale comportamento era stato da lei posto in essere per far fronte a un’anomalia di sistema che solo successivamente era stata corretta mediante l’introd uzione, a far data dal 2016, del comma 4ter del ridetto art. 30, a mente del quale le società che hanno presentato interpello disapplicativo possono darne comunicazione nel Modello Unico, comunicazione fino ad allora invece impedita dai sistemi informatici preposti per la dichiarazione, che nel frangente generavano un «errore bloccante».
Il secondo motivo di ricorso deduce la nullità della sentenza per motivazione apparente o contraddittoria.
 I  due  motivi  appaiono  connessi  e  possono  quindi  essere scrutinati congiuntamente.
3.1. Non è fondata la denunzia di nullità della sentenza.
Gli argomenti dei giudici d’appello , come si desume anche dal riassunto operato nell’esposizione in fatto della vicenda processuale,  attingono  il  cd.  minimo  costituzionale  ex  art.  111 Cost. e consentono di individuare le ragioni della decisione anche con riguardo ai profili evidenziati dalla ricorrente.
Del resto, le considerazioni svolte dalla contribuente nell’illustrazione del primo motivo di ricorso evidenziano la piena intelligibilità dell’ iter logico seguito dalla sentenza impugnata.
In particolare, la C.T.R., pur riconoscendo la possibile sussistenza di ragioni oggettive atte a giustificare la disapplicazione del regime RAGIONE_SOCIALE società non operative al trattamento  fiscale  della  contribuente,  ha  poi  ritenuto  legittimo l’operato  dell’Uffi cio, in  guisa  di  ‘comportamento vincolato’ alla scelta della prima di indicare il proprio reddito imponibile nell’apposito quadro del Modello unico.
3.2. Queste stesse considerazioni designano, per converso, la fondatezza del primo motivo.
Riconoscendo alla società contribuente la possibilità di illustrare le proprie  condizioni,  patrimoniali  e  di  reddito,  in un’ottica disapplicativa del regime di non operatività, la C.T.R. ha errato nel non consentire che la relativa dimostrazione fosse resa in giudizio.
3.3. Invero, l’eventuale determinazione di non avviare la procedura di interpello non può precludere al contribuente la possibilità di provare -nel giudizio di opposizione all’avviso di accertamento volto a recuperare a tassazione il maggior reddito stabilito ex lege -la sussistenza RAGIONE_SOCIALE obiettive situazioni che legittimano la disapplicazione della normativa antielusiva; e ciò in quanto tale ultima possibilità risponde al l’ esigenza di dare piena attuazione al principio di capacità contributiva (del quale la stessa disciplina antielusiva è espressione), alla cui tutela deve orientarsi il diritto di difesa del contribuente attraverso la garanzia offerta dal contraddittorio e dalla necessità di motivare adeguatamente l’esistenza della condotta elusiva oggetto di pretesa impositiva (cfr. Cass. n. 9852/2018; v. anche Cass. n. 4946/2021).
Non vi è, pertanto, ragione per escludere tale possibilità laddove il contribuente abbia infruttuosamente avviato la procedura di interpello disapplicativo; e ciò vieppiù ove si consideri che il relativo diniego non costituisce atto impugnabile, ma funge unicamente da presupposto per l’avvio del procedimento di verifica, nell’ambito del quale l’interessato è ammesso a dimostrare, in via preventiva, l’inesistenza della sua finalità elusiva, pur ricorrendo gli indici indicati nell’art. 30, comma 1, della legge n. 724 del 1994.
Il quadro di tali considerazioni, peraltro, non muta con riguardo al fatto che, nel caso di specie, l’amministrazione ha esercitato la propria potestà impositiva con l’emissione di cartella di pagamento in seguito a controllo automatizzato ex art. 36bis d.P.R. n. 600/1973, anziché mediante avviso di accertamento. Trattandosi, infatti, del primo ed unico atto col quale la pretesa fiscale è comunicata al contribuente, tale cartella è impugnabile, ex art. 19 del d.lgs. n. 546/1992, anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva (cfr. Cass., sez. U, n. 18298/2021; conf. Cass. n. 23183/2024).
3.4.  Né,  contrariamente  a  quanto  opinato  dalla  C.T.R.,  tale dimostrazione sarebbe preclusa dal fatto che la contribuente ha dichiarato l’ammontare del proprio imponibile (seppur, significativamente, in misura corrispondente al minimo presunto dalla disciplina RAGIONE_SOCIALE società di comodo).
Per un verso, infatti, i giudici d’appello hanno ritenuto che da tale condotta deriverebbe una sorta di automatismo accertativo che non consente alcun sindacato in giudizio, mentre, com’è noto, il  giudice  tributario  non  si  limita  a  scrutinare  l’atto  imposi tivo oggetto di censura, ma il rapporto ad esso sottostante.
Per altro verso, poi, va condiviso il rilievo della contribuente secondo  cui  la  condotta  posta  in  essere  era  in  certa  misura necessitata dall’esistenza di un’anomalia di sistema, successivamente  emendata  dal  legislatore,  giacché,  secondo  la disciplina vige nte all’epoca, non vi era spazio per il rilievo, in sede di dichiarazione dei redditi, dell’avvio del procedimento di verifica finalizzato alla disapplicazione della normativa antielusiva.
Il ricorso va dunque accolto in relazione al primo motivo, disatteso il restante.
La sentenza impugnata è cassata con rinvio al giudice a quo il quale provvederà al riesame della vicenda conformandosi al seguente principio di diritto: ‘ In tema di società di comodo, ove una società si sia determinata a non avviare la procedura di interpello disapplicativo ex art. 30, comma 4bis , della l. n. 724/1994 (nel testo vigente all’epoca dei fatti) , non può intendersi così preclusa, alla stessa, la possibilità di provare, nel giudizio di opposizione all ‘atto impositivo con il quale l’amministrazione finanziaria recupera a tassazione il maggior reddito stabilito ex lege , la sussistenza RAGIONE_SOCIALE «oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito», rilevante ai fini dell’ inoperatività della presunzione.
Tale possibilità non è impedita dal fatto che l’atto impositivo sia stato emesso in seguito a dichiarazione redatta dallo stesso contribuente, con esposizione di un reddito pari al minimo presunto in base alla disciplina antielusiva in questione; stante, infatti, la non impugnabilità del diniego di interpello, tale modalità operativa costituisce lo strumento con il quale il contribuente può accedere alla garanzia del contraddittorio in relazione al suo onere di dimostrare l’insussistenza di condotte elusive’ .
Il  giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso in relazione al primo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte anche per le spese.
Così  deciso  in  Roma,  nella  camera  di  consiglio  della  Corte Suprema di cassazione, il 26 settembre 2025.
La Presidente NOME COGNOME