Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33443 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33443 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25633 -20 20 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE C.F. P_IVA, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
LE DELIZIE DELL’NOME di NOME
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del controricorso, dall’avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL;
– controricorrente –
Oggetto: Tributi – rimborso IVA – società non operativa
avverso la sentenza n. 395/16/2020 della Commissione tributaria regionale della SICILIA, depositata in data 23/01/2020; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 23 ottobre 2024 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
In controversia relativa ad impugnazione di un diniego di rimborso del credito IVA che la società contribuente aveva richiesto con riferimento all’anno d’imposta 20 09 e che l’Agenzia delle entrate aveva negato sul presupposto che la predetta società contribuente versasse in situazione di non operatività, con la sentenza in epigrafe indicata la CTR rigettava l’appello proposto dall’ amministrazione finanziaria avverso la sfavorevole sentenza di primo grado sostenendo che la società «si trovava in una fase di operatività particolare, di avvio iniziale, e ha effettuato delle spese relative all”avviamento ed all’acquisto di macchine destinate al ciclo produttivo (in tal senso documentate), non risultano invece spese o acquisti per fini diversi da quelli societari imprenditoriali».
Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui replica l’intimata con controricorso e memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 30 della legge n. 724 del 1994, e 3, comma 45, della legge n. 662 del 1996, per avere la CTR erroneamente ritenuto che le circostanze addotte dalla società contribuente fossero idonee superare la presunzione legale di non operatività, essendo state erroneamente ritenute circostanze oggettive che non avevano reso possibile il conseguimento dello scopo sociale.
Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione
degli artt. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, 132, secondo comma, n. 4, e 112 cod. proc. civ., per essere la sentenza impugnata «frutto di un esame superficiale dell’appello dell’Ufficio».
La questione che viene in rilievo nel presente giudizio impone alcune preliminari considerazioni.
La disciplina delle società non operative o ‘di comodo’, va rinvenuta nell’art. 30 della legge n. 724 del 1994, che «al comma 1, prevede una presunzione legale relativa, in base alla quale una società si considera “non operativa” se la somma di ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi (esclusi quelli straordinari) imputati nel conto economico è inferiore a un ricavo presunto, calcolato applicando determinati coefficienti percentuali al valore degli “asset” patrimoniali intestati alla società (cd. “test di operatività dei ricavi”), senza che abbiano rilievo le intenzioni e il comportamento dei soci» (Cass., Sez. 5, ordinanza n. 9852 del 20/04/2018, Rv. 647962 – 01).
4.1. Alle società non operative di cui all’ art. 30, commi 1 e 2, della legge n. 724 del 1994 non è consentito ottenere il rimborso dell’eventuale eccedenza del credito IVA o la sua compensazione e tantomeno la sua cessione.
4.2. Il comma 4 del citato art. 30, infatti, nella prima parte prevede che «Per le società e gli enti non operativi, l’eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione presentata ai fini dell’imposta sul valore aggiunto non è ammessa al rimborso né può costituire oggetto di compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, o di cessione ai sensi dell’articolo 5, comma 4-ter, del decreto-legge 14 marzo 1988, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 1988, n. 154«.
4.3. Nella seconda parte tale disposizione prevede anche il divieto, a determinate condizioni, di riporto dell’eccedenza di
credito a scomputo nelle dichiarazioni IVA dei periodi di imposta successivi al verificarsi dell’eccedenza.
4.4. Tale disposizione così recita: «Qualora per tre periodi di imposta consecutivi la società o l’ente non operativo non effettui operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto non inferiore all’importo che risulta dalla applicazione delle percentuali di cui al comma 1, l’eccedenza di credito non è ulteriormente riportabile a scomputo dell’IVA a debito relativa ai periodi di imposta successivi».
Sulla disciplina delle società non operative e, in particolare sulla compatibilità della stessa con la direttiva 2006/112 e i principi generali della neutralità dell’IVA e di proporzionalità della limitazione del diritto alla detrazione dell’IVA, si è pronunciata la Corte di giustizia dell’unione europea a seguito di rinvio pregiudiziale operato da questa Corte con ordinanza interlocutoria n. 16091 del 2022.
5.1. Con la sentenza 7 marzo 2024 in causa C-341/22, (RAGIONE_SOCIALE), la Corte unionale ha affermato che l’art. 9, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che esso non può condurre a negare la qualità di soggetto passivo dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) al soggetto che, nel corso di un determinato periodo d’imposta, effettui operazioni rilevanti ai fini dell’IVA il cui valore economico non raggiunge la soglia fissata da una normativa nazionale, la quale soglia corrisponde ai ricavi che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui tale persona dispone; ancora, che l’art. 167 della direttiva 2006/112 nonché i principi di neutralità dell’IVA e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale in forza della quale il soggetto passivo è
privato del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte, a causa dell’importo, considerato insufficiente, delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA effettuate da tale soggetto passivo a valle .
5.2. Richiamando quanto affermato recentemente da Cass. 11 settembre 2024, n. 24442, «la Corte unionale ritiene, in sostanza, che la qualità di soggetto passivo non sia subordinata alla condizione che una persona effettui operazioni rilevanti ai fini dell’IVA il cui valore economico superi una soglia di reddito previamente fissata, la quale corrisponde ai ricavi che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui tale persona dispone; ciò che rileva al riguardo è esclusivamente il fatto che detta persona eserciti effettivamente un’attività economica; inoltre, la Corte di Giustizia ha ritenuto il richiamato art. 30 contrario all’art. 167 della direttiva IVA nella parte in cui prevede la perdita del credito IVA “in quanto nessuna disposizione della direttiva IVA subordina il diritto a detrazione al requisito che l’importo delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA, effettuate a valle da un soggetto passivo nel corso di un determinato periodo, raggiunga una certa soglia”; va ricordato che secondo costante giurisprudenza del Giudice del Lussemburgo, il diritto dei soggetti passivi di detrarre dall’IVA di cui sono debitori l’IVA dovuta o assolta a monte per i beni acquistati e per i servizi ricevuti costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA. Tale diritto, in presenza di tutte le condizioni previste, costituisce, quindi, parte integrante del meccanismo dell’IVA e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni a meno che non sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che esso sia stato invocato in un contesto di frode o evasione; – in proposito è da evidenziare che, sebbene gli Stati membri, ai sensi dell’art. 273 della direttiva IVA, possano adottare misure di contrasto per assicurare l’esatta riscossione dell’IVA, tali misure non devono eccedere quanto necessario per
conseguire tali obiettivi e non possono essere utilizzate in maniera tale da mettere in discussione il diritto alla detrazione dell’IVA. Nel caso di specie, la Corte dell’Unione ha ritenuto che il criterio della soglia dei ricavi, individuato dall’art. 30 in argomento, non si basi su una valutazione della realtà effettiva delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA effettuate nel corso di un determinato periodo d’imposta, ma solo sulla valutazione del loro volume. Tale criterio, quindi, non appare idoneo a dimostrare che il diritto alla detrazione dell’IVA sia stato invocato in modo fraudolento o abusivo».
5.3. La citata ordinanza di questa Corte ha quindi pronunciato il seguente principio di diritto: «In materia di società non operative, alla stregua della pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE, sent. 7 marzo 2024 in causa C-341/22, RAGIONE_SOCIALE), l’art. 9, par. 1, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, va interpretato nel senso che esso non può condurre a negare la qualità di soggetto passivo IVA al soggetto che, nel corso di un determinato periodo d’imposta, effettui operazioni rilevanti ai fini di tale imposta il cui valore economico non raggiunga la soglia fissata da una normativa nazionale, che corrisponda ai ricavi che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui tale soggetto dispone, in quanto nessuna disposizione della direttiva subordina il diritto a detrazione al requisito che l’importo delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA, effettuate a valle da un soggetto passivo nel corso di un determinato periodo, raggiunga una certa soglia. Pertanto, ciò che rileva ai sensi dell’art. 30 della legge n. 724 del 1994 è esclusivamente il fatto che detto soggetto, in un determinato periodo d’imposta, abbia esercitato effettivamente un’attività economica, ponendosi detta disposizione in contrasto con l’art. 167 della direttiva IVA nella parte in cui, invece, prevede la perdita del
diritto a detrazione al mancato raggiungimento di determinate soglie di ricavi».
5.4. In pratica, come correttamente si è affermato in Cass. 11 settembre 2024, n. 24416, alla luce dei principi espressi dalla Corte di giustizia unionale, « l’art. 30 l. n. 724 del 1994 va disapplicato, non potendosi derivare la privazione del diritto di detrazione in mera dipendenza dell’entità delle operazioni realizzate dalla contribuente ma solo ove la situazione sia riconducibile ad una frode o ad un abuso».
Quindi, in tutti i casi sopra evidenziati, se non è ravvisabile una frode o un abuso messo in atto dal soggetto passivo , a quello non può essere negato il diritto alla detrazione, alla compensazione, alla cessione dell’eccedenza di credito IVA e al rimborso ricorrendone, però, i presupposti.
6.1. Sul punto, in Cass. 11 settembre 2024, n. 24416 si è condivisibilmente affermato che «il diritto di detrazione», ma anche gli altri sopra enunciati, «va riconosciuto se:
nel corso del periodo d’imposta controverso, in relazione al quale l’autorità tributaria ha reputato la società non operativa, la stessa abbia effettivamente esercitato un’attività economica (indipendentemente dallo scopo o dai risultati), intesa come comprensiva di ogni attività di produzione, commercializzazione o prestazione di servizi, per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità;
la società medesima abbia impiegato i beni e servizi acquistati per le sue operazioni soggette ad imposta, e ciò indipendentemente dai risultati delle attività economiche;
le operazioni non si inseriscano in una frode (connotata anche soggettivamente secondo il consolidato principio per cui la parte sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare ad una evasione) o non integrino, ai fini unionali, un abuso, inteso anche, come si esprime la sentenza della CGUE (v. par. 33-36), quale ‘realizzazione di una costruzione artificiosa’.
6.2. Con riguardo ai punti a) e b), inoltre, va sottolineato che la detrazione dell’imposta può spettare anche in assenza di operazioni attive, ossia con riguardo alle attività di carattere preparatorio, purché esse siano finalizzate alla costituzione delle condizioni d’inizio effettivo dell’attività tipica (v. Cass. n. 25635 del 31/08/2022; Cass. n. 23994 del 03/10/2018).
6.3. D’altro canto, è noto che «ai fini dell’accertamento del diritto alla detrazione (o al rimborso), deve aversi riguardo all’intenzione del soggetto passivo d’imposta di utilizzare un bene o un servizio a fini aziendali, confermata da elementi obiettivi che consentano di ritenere l’acquisto inerente all’effettivo esercizio dell’attività d’impresa. Tale verifica non si esaurisce nella astratta correlazione del bene/servizio all’oggetto sociale, ma deve trovare fondamento in specifici “elementi obiettivi” che consentano di ritenere l’acquisto prodromico all’esercizio effettivo dell’attività di impresa» (Cass. n. 25986 del 10/12/2014, Rv. 633567 – 01); si è quindi precisato che «in tema di iva, ai fini della detraibilità dell’imposta assolta sugli acquisti di beni e sulle operazioni passive, occorre accertarne l’effettiva inerenza rispetto alle finalità imprenditoriali, senza che sia tuttavia richiesto il concreto svolgimento dell’attività di impresa, potendo la detrazione dell’imposta spettare anche in assenza di operazioni attive, con
riguardo alle attività di carattere preparatorio, purché il bene o il servizio acquisito, anche se non immediatamente inserito nel ciclo produttivo, sia necessario all’organizzazione dell’impresa ovvero funzionale all’iniziativa economica programmata in vista della successiva attuazione e il mancato utilizzo sia determinato da cause indipendenti dalla volontà del contribuente, sia pure assunte in un’accezione ampia (Cass. civ., 9 settembre 2022, n. 26689; Cass. civ., 17 marzo 2021, n. 7440)» (Cass. n. 15570 del 1° giugno 2023, non massimata; in termini anche Cass. n. 5559 del 26/02/2019 e n. 3396 del 12/02/2020 in materia di detrazione nelle operazioni relative ad immobili a destinazione abitativa);
Per quanto riguarda specificamente il diritto al rimborso, ne va accertata la spettanza al soggetto passivo secondo le disciplina sua propria, ovvero nel rispetto delle condizioni previste dall’artt. 30 del d.P.R. n. 633 del 1972 e della giurisprudenza nazionale ed unionale.
7.1. Al riguardo, va ricordato:
che « incombe sul contribuente, il quale invochi il riconoscimento di un credito d’imposta, l’onere di provare i fatti costitutivi dell’esistenza del credito, e, a tal fine, non è sufficiente l’esposizione della pretesa nella dichiarazione, poiché il credito fiscale non nasce da questa, ma dal meccanismo fisiologico di applicazione del tributo » (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 18427 del 26/10/2012; nello stesso senso, Cass., sez. 6-5, n. 26937 del 2017; Sez. 5, n. 27580 del 30/10/2018; Cass. n. 5288 del 28/02/2024, non massimata);
che la richiesta di rimborso dev’essere presentata nel rispetto del termine decadenziale biennale ex art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, che decorre dal giorno in cui si è verificato il presupposto del rimborso, ossia dal giorno in cui è stato effettuato il pagamento che dà diritto alla restituzione del versato (cfr., ex
multis, Cass. n. 11652 dell’ 11/05/2017, Rv. 644123 -01; Cass. n. 34429 dell’ 11/12/2023, Rv. 670444 -01);
che, ove si tratti di richiesta di rimborso relativa all’eccedenza d’imposta risultata alla cessazione dell’attività, la fattispecie è regolata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2, e la richiesta è soggetta al termine di prescrizione ordinario decennale, non a quello biennale di cui al d.lgs. n. 546 del 1992, art. 21, applicabile in via sussidiaria e residuale, solo in mancanza di disposizioni specifiche; e ciò in quanto l’attività non prosegue, sicché non sarebbe possibile portare l’eccedenza in detrazione l’anno successivo (Cass. n. 32424 del 2019 e la giurisprudenza ivi richiamata). Si è correttamente osservato, al riguardo (cfr. Cass. n. 9941 del 2015), che «siffatta soluzione ermeneutica è del resto coerente con il diritto eurounitario, poiché, se è vero che gli Stati membri adottano le misure necessarie ad assicurare l’osservanza degli obblighi di dichiarazione e di pagamento, l’esatta riscossione dell’imposta e la prevenzione di frodi, tuttavia è pur vero che tali misure non possono eccedere gli obiettivi sopra indicati (v. Corte di giustizia, 11 dicembre 2014, in causa C-590/14, Idexx; 8 maggio 2008, in causa C- 95/07 e C-96/07, RAGIONE_SOCIALE; 27 settembre 2007, in causa C- 146/05, Coilee), essendo il diritto al ristoro dell’Iva versata “a monte” basilare nel sistema comunitario, in forza del principio di neutralità (cfr. Corte di giustizia, 22 dicembre 2010, in causa C- 438/09, Dankowski, p.to 34, con riguardo al caso di cessazione d’attività; 18 dicembre 1997, in cause riunite C-286/94, C-340/95, C- 401/95, C-47/96, Molenheide e altri)» (Cass. n. 20691 del 17/07/2023);
Inoltre, va ricordato che «l ‘Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione, che non derivi dalla sottostima dell’imposta dovuta, anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento
o per la rettifica dell’imponibile e dell’imposta dovuta, senza che abbia adottato alcun provvedimento » (Cass., Sez. U, sentenza n. 21766 del 29/07/2021; conf. Cass. n. 5288 del 28/02/2024).
Orbene, al l’applicazione dei suddetti principi al la fattispecie consegue il rigetto dei motivi di ricorso in quanto la sentenza impugnata si pone in linea con essi.
Invero, la sentenza d’appello, con motivazione chiara, esaustiva e logicamente correlata all’oggetto del gravame devoluto, tanto da rendere manifestamente infondata la censura ad essa mossa dalla ricorrente con il secondo motivo, ha affermato che la società contribuente «si trovava in una fase di operatività particolare, di avvio iniziale, e ha effettuato delle spese relative all’avviamento ed all’acquisto di macchine destinate al ciclo produttivo (in tal senso documentate), non risultano invece spese o acquisti per fini diversi da quelli societari imprenditoriali». E la ricorrente non ha neppure contestato dette circostanze di fatto, essendosi invece limitata a sostenere che le stesse non fossero idonee ad integrare quelle situazioni oggettive e straordinarie di non operatività della società che consentisse di vincere la presunzione di cui all’art. 30 della legge 724 del 1994.
Le spese processuali vanno compensate per essere stata la causa decisa sulla base di recentissime pronunce giurisprudenziali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e compensa le spese processuali.
Così deciso in Roma il 23 ottobre 2024