Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33437 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33437 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 34872 -20 19 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale in atti , dall’avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL);
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO, è domiciliata;
– controricorrente –
Oggetto: Tributi – rimborso IVA – società non operativa
avverso la sentenza n. 2292/10/2019 della Commissione tributaria regionale della SICILIA, Sezione staccata di MESSINA, depositata in data 12/04/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 23 ottobre 2024 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
In controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento con col quale l’Agenzia delle entrate richiedeva alla RAGIONE_SOCIALE la restituzione del rimborso del credito IVA precedentemente erogato alla predetta società con riferimento all’anno d’imposta 2008, sul presupposto che la stessa non fosse operativa, sicché non aveva diritto al rimborso ai sensi dell’art. 30, comma 4, della legge n. 724 del 1994, con la sentenza in epigrafe indicata la CTR accoglieva l’appello dell’amministrazione finanziaria avverso la sfavorevole sentenza di primo grado sostenendo che dagli atti risultava che « la società, pur essendo costituita nell’anno 1999, nell’anno 2008, esaminando il bilancio e la dichiarazione presentata, non risulta aver superato il test di operatività, previsto dall’art. 30 della legge 31/12/ 1994 n. 724», avendo emesso soltanto una fattura di 30.000,00 euro «per fitti attivi che sicuramente, non possono farsi rientrare fra i compiti istituzionali della società, per cui possa superarsi quanto stabilito dall’art. 37bis comma 8 del DPR n. 600/73».
Avverso tale statuizione la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui replica l ‘intimata con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ., 30, comma 4-bis, della legge 724 del 1994 e 37, comma 8, del d.P.R. n. 633 del 1972.
1.1. Sostiene che l’amministrazione finanziaria era venuta meno all’onere su di essa incombente di dimostrare la ricorrenza dei presupposti di una pratica abusiva e che i giudici di appello non aveva, dal canto suo, accertato l’esistenza di circostanze oggettive , addotte da essa società, che stavano a dimostrare l’impossibilità di conseguire le soglie di operatività.
Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., sostenendo che la CTR aveva omesso di esaminare le circostanze oggettive addotte da essa società contribuente, in particolare la documentazione attestante che l’unica attività imprenditoriale della società si era potuta avviare soltanto nel 2009.
Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
3.1. Sostiene che la CTR era incorsa «in un chiaro travisamento di un dato probatorio non equivoco ed insuscettibile di esserre interpretato in modo diverso, allorché, riferendosi genericamente al bilancio ed alla dichiarazione presentata, senza null’altro aggiungere sotto il profilo giustificativo ed argomentativo, assume apoditticamente come da questi non risulti che la società abbia superato il test di operatività», mentre «In realtà la verifica della operatività di cui ai righi da RF74 a RF81 Unico 2009 per il reddito 2008 risultava e risulta pienamente superato».
Le questioni che vengono in rilievo nel presente giudizio impongono alcune preliminari considerazioni.
La disciplina delle società non operative o ‘di comodo’, va rinvenuta nell’art. 30 della legge n. 724 del 1994, che «al comma 1, prevede una presunzione legale relativa, in base alla quale una società si considera “non operativa” se la somma di ricavi,
incrementi di rimanenze e altri proventi (esclusi quelli straordinari) imputati nel conto economico è inferiore a un ricavo presunto, calcolato applicando determinati coefficienti percentuali al valore degli “asset” patrimoniali intestati alla società (cd. “test di operatività dei ricavi”), senza che abbiano rilievo le intenzioni e il comportamento dei soci» (Cass., Sez. 5, ordinanza n. 9852 del 20/04/2018, Rv. 647962 – 01).
5.1. Alle società non operative di cui all’ art. 30, commi 1 e 2, della legge n. 724 del 1994 non è consentito ottenere il rimborso dell’eventuale eccedenza del credito IVA o la sua compensazione e tantomeno la sua cessione.
5.2. Il comma 4 del citato art. 30, infatti, nella prima parte prevede che «Per le società e gli enti non operativi, l’eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione presentata ai fini dell’imposta sul valore aggiunto non è ammessa al rimborso né può costituire oggetto di compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, o di cessione ai sensi dell’articolo 5, comma 4-ter, del decreto-legge 14 marzo 1988, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 1988, n. 154«.
5.3. Nella seconda parte tale disposizione prevede anche il divieto, a determinate condizioni, di riporto dell’eccedenza di credito a scomputo nelle dichiarazioni IVA dei periodi di imposta successivi al verificarsi dell’eccedenza.
5.4. Tale disposizione così recita: «Qualora per tre periodi di imposta consecutivi la società o l’ente non operativo non effettui operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto non inferiore all’importo che risulta dalla applicazione delle percentuali di cui al comma 1, l’eccedenza di credito non è ulteriormente riportabile a scomputo dell’IVA a debito relativa ai periodi di imposta successivi».
6. Sulla disciplina delle società non operative e, in particolare sulla compatibilità della stessa con la direttiva 2006/112 e i principi generali della neutralità dell’IVA e di proporzionalità della limitazione del diritto alla detrazione dell’IVA, si è pronunciata la Corte di giustizia dell’unione europea a seguito di rinvio pregiudiziale operato da questa Corte con ordinanza interlocutoria n. 16091 del 2022.
6.1. Con la sentenza 7 marzo 2024 in causa C-341/22, (RAGIONE_SOCIALE), la Corte unionale ha affermato che l’art. 9, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che esso non può condurre a negare la qualità di soggetto passivo dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) al soggetto che, nel corso di un determinato periodo d’imposta, effettui operazioni rilev anti ai fini dell’IVA il cui valore economico non raggiunge la soglia fissata da una normativa nazionale, la quale soglia corrisponde ai ricavi che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui tale persona dispone; ancora, che l’ar t. 167 della direttiva 2006/112 nonché i principi di neutralità dell’IVA e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale in forza della quale il soggetto passivo è privato del diritto alla detrazione dell ‘IVA assolta a monte, a causa dell’importo, considerato insufficiente, delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA effettuate da tale soggetto passivo a valle .
6.2. Richiamando quanto affermato recentemente da Cass. 11 settembre 2024, n. 24442 (non massimata), «la Corte unionale ritiene, in sostanza, che la qualità di soggetto passivo non sia subordinata alla condizione che una persona effettui operazioni rilevanti ai fini dell’IVA il cui valore economico superi una soglia di reddito previamente fissata, la quale corrisponde ai ricavi che
possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui tale persona dispone; ciò che rileva al riguardo è esclusivamente il fatto che detta persona eserciti effettivamente un’attività economica; inoltre, la Corte di Giustizia ha ritenuto il richiamato art. 30 contrario all’art. 167 della direttiva IVA nella parte in cui prevede la perdita del credito IVA “in quanto nessuna disposizione della direttiva IVA subordina il diritto a detrazione al requisito che l’importo delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA, effettuate a valle da un soggetto passivo nel corso di un determinato periodo, raggiunga una certa soglia”; va ricordato che secondo costante giurisprudenza del Giudice del Lussemburgo, il diritto dei soggetti passivi di detrarre dall’IVA di cui sono debitori l’IVA dovuta o assolta a monte per i beni acquistati e per i servizi ricevuti costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA. Tale diritto, in presenza di tutte le condizioni previste, costituisce, quindi, parte integrante del meccanismo dell’IVA e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni a meno che non sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che esso sia stato invocato in un contesto di frode o evasione; – in proposito è da evidenziare che, sebbene gli Stati membri, ai sensi dell’art. 273 della direttiva IVA, possano adottare misure di contrasto per assicurare l’esatta riscossione dell’IVA, tali misure non devono eccedere quanto necessario per conseguire tali obiettivi e non possono essere utilizzate in maniera tale da mettere in discussione il diritto alla detrazione dell’IVA. Nel caso di specie, la Corte dell’Unione ha ritenuto che il criterio della soglia dei ricavi, individuato dall’art. 30 in argomento, non si basi su una valutazione della realtà effettiva delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA effettuate nel corso di un determinato periodo d’imposta, ma solo sulla valutazione del loro volume. Tale criterio, quindi, non appare idoneo a dimostrare che il diritto alla detrazione dell’IVA sia stato invocato in modo fraudolento o abusivo».
6.3. La citata ordinanza di questa Corte ha quindi pronunciato il seguente principio di diritto: «In materia di società non operative, alla stregua della pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE, sent. 7 marzo 2024 in causa C-341/22, RAGIONE_SOCIALE), l’art. 9, par. 1, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, va interpretato nel senso che esso non può condurre a negare la qualità di soggetto passivo IVA al soggetto che, nel corso di un determinato periodo d’imposta, effettui operazioni rilevanti ai fini di tale imposta il cui valore economico non raggiunga la soglia fissata da una normativa nazionale, che corrisponda ai ricavi che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui tale soggetto dispone, in quanto nessuna disposizione della direttiva subordina il diritto a detrazione al requisito che l’importo delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA, effettuate a valle da un soggetto passivo nel corso di un determinato periodo, raggiunga una certa soglia. Pertanto, ciò che rileva ai sensi dell’art. 30 della legge n. 724 del 1994 è esclusivamente il fatto che detto soggetto, in un determinato periodo d’imposta, abbia esercitato effettivamente un’attività economica, ponendosi detta disposizione in contrasto con l’art. 167 della direttiva IVA nella parte in cui, invece, prevede la perdita del diritto a detrazione al mancato raggiungimento di determinate soglie di ricavi».
6.4. In pratica, come correttamente si è affermato in Cass. 11 settembre 2024, n. 24416 (non massimata), alla luce dei principi espressi dalla Corte di giustizia unionale, « l’art. 30 l. n. 724 del 1994 va disapplicato, non potendosi derivare la privazione del diritto di detrazione in mera dipendenza dell’entità delle operazioni realizzate dalla contribuente ma solo ove la situazione sia riconducibile ad una frode o ad un abuso».
Va precisato, al riguardo, che l’ accertamento della frode o dell’ abuso messo in atto dal soggetto passivo non è precluso dalla mancanza di originaria contestazione, «posto che la ricorrenza degli indici contemplati dall’art. 30 l. n. 724/1994 era idonea a fondare (sia pure illegittimamente) una presunzione in sé esaustiva dell’inconsistenza dell’attività economica perché apparente, in frode od artificiosa» (Cass. n. 24416 del 2024, cit.), e che il diritto alla detrazione, alla compensazione, alla cession e dell’eccedenza di credito IVA e al rimborso può essere concesso ricorrendone, però, tutti i presupposti
7.1. Sul punto, in Cass. n. 24416 del 2024, citata, si è condivisibilmente affermato che «il diritto di detrazione», ma anche gli altri sopra enunciati, «va riconosciuto se:
nel corso del periodo d’imposta controverso, in relazione al quale l’autorità tributaria ha reputato la società non operativa, la stessa abbia effettivamente esercitato un’attività economica (indipendentemente dallo scopo o dai risultati), intesa come comprensiva di ogni attività di produzione, commercializzazione o prestazione di servizi, per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità;
la società medesima abbia impiegato i beni e servizi acquistati per le sue operazioni soggette ad imposta, e ciò indipendentemente dai risultati delle attività economiche;
le operazioni non si inseriscano in una frode (connotata anche soggettivamente secondo il consolidato principio per cui la parte sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare ad una evasione) o non integrino, ai fini unionali, un abuso, inteso anche, come si esprime la sentenza della CGUE (v. par. 33-36), quale ‘realizzazione di una costruzione artificiosa’.
7.2. Con riguardo ai punti a) e b), inoltre, va sottolineato che la detrazione dell’imposta può spettare anche in assenza di
operazioni attive, ossia con riguardo alle attività di carattere preparatorio, purché esse siano finalizzate alla costituzione delle condizioni d’inizio effettivo dell’attività tipica (v. Cass. n. 25635 del 31/08/2022; Cass. n. 23994 del 03/10/2018).
Per quanto riguarda specificamente il diritto al rimborso, ne va accertata la spettanza al soggetto passivo secondo le disciplina sua propria, ovvero nel rispetto delle condizioni previste dall’artt. 30 del d.P.R. n. 633 del 1972 e della giurisprudenza nazionale ed unionale.
8.1. Al riguardo, va ricordato:
che « incombe sul contribuente, il quale invochi il riconoscimento di un credito d’imposta, l’onere di provare i fatti costitutivi dell’esistenza del credito, e, a tal fine, non è sufficiente l’esposizione della pretesa nella dichiarazione, poiché il credito fiscale non nasce da questa, ma dal meccanismo fisiologico di applicazione del tributo » (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 18427 del 26/10/2012; nello stesso senso, Cass., sez. 6-5, n. 26937 del 2017; Sez. 5, n. 27580 del 30/10/2018; Cass. n. 5288 del 28/02/2024, non massimata);
che la richiesta di rimborso dev’essere presentata nel rispetto del termine decadenziale biennale ex art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, che decorre dal giorno in cui si è verificato il presupposto del rimborso, ossia dal giorno in cui è stato effettuato il pagamento che dà diritto alla restituzione del versato (cfr., ex multis, Cass. n. 11652 dell’ 11/05/2017, Rv. 644123 -01; Cass. n. 34429 dell’ 11/12/2023, Rv. 670444 -01);
ove si tratti di richiesta di rimborso relativa all’eccedenza d’imposta risultata alla cessazione dell’attività, la fattispecie è regolata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2, e la richiesta è soggetta al termine di prescrizione ordinario decennale, non a quello biennale di cui al d.lgs. n. 546 del 1992, art. 21, applicabile
in via sussidiaria e residuale, solo in mancanza di disposizioni specifiche; e ciò in quanto l’attività non prosegue, sicché non sarebbe possibile portare l’eccedenza in detrazione l’anno successivo (Cass. n. 32424 del 2019 e la giurisprudenza ivi richiamata). Si è correttamente osservato, al riguardo (cfr. Cass. n. 9941 del 2015), che «siffatta soluzione ermeneutica è del resto coerente con il diritto eurounitario, poiché, se è vero che gli Stati membri adottano le misure necessarie ad assicurare l’osservanza degli obblighi di dichiarazione e di pagamento, l’esatta riscossione dell’imposta e la prevenzione di frodi, tuttavia è pur vero che tali misure non possono eccedere gli obiettivi sopra indicati (v. Corte di giustizia, 11 dicembre 2014, in causa C-590/14, Idexx; 8 maggio 2008, in causa C- 95/07 e C-96/07, RAGIONE_SOCIALE; 27 settembre 2007, in causa C- 146/05, Coilee), essendo il diritto al ristoro dell’Iva versata “a monte” basilare nel sistema comunitario, in forza del principio di neutralità (cfr. Corte di giustizia, 22 dicembre 2010, in causa C- 438/09, Dankowski, p.to 34, con riguardo al caso di cessazione d’attività; 18 dicembre 1997, in cause riunite C-286/94, C-340/95, C- 401/95, C-47/96, Molenheide e altri)» (Cass. n. 20691 del 17/07/2023);
8.2. Va, altresì, ricordato che «l ‘Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione, che non derivi dalla sottostima dell’imposta dovuta, anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento o per la rettifica dell’imponibile e dell’imposta dovuta, senza che abbia adottato alcun provvedimento » (Cass., Sez. U, sentenza n. 21766 del 29/07/2021; conf. Cass. n. 5288 del 28/02/2024).
Orbene, l’applicazione dei suddetti principi al caso di specie comporta l’accoglimento de l primo motivo di ricorso in quanto la
pronuncia d’appello si pone in netto contrasto con essi. Gli altri motivi restano assorbiti.
10. Alla cassazione della sentenza impugnata consegue il rinvio della causa al giudice d’appello affinché effettui le necessarie verifiche e valutazioni di fatto al fine di accertare la spettanza o meno del rimborso richiesto dalla società contribuente alla stregua dei principi sopra enunciati (in particolare ai paragrafi 6.3, 6.4, 8, 8.1 -lett. c) e 8.2). Il giudice del rinvio provvederà anche alla regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 23 ottobre 2024