Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3294 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3294 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/02/2025
Società non operativaperdita fiscale -dichiarazione -quadro RQ
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13086/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli Avv. NOME COGNOME e
NOME COGNOME,
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato,
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LAZIO, n. 152/2020, depositata il 10/01/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17 dicembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
1. L’Ufficio, in data 13 maggio 2015 , notificava alla RAGIONE_SOCIALE -poi incorporata dalla RAGIONE_SOCIALE -avviso bonario con il quale, per l’anno di imposta 2012 , contestava una maggiore Ires, in ragione della disciplina delle società non operative, non avendo la contribuente provveduto a versare la relativa imposta, pur avendo compilato il quadro RQ della dichiarazione.
Di seguito la società, sul presupposto dell’erronea compilazione della dichiarazione, e in particolare del detto quadro RQ, presentava dichiarazione integrativa; contestualmente chiedeva l’annullamento in autotutela dell’ avviso di liquidazione. Precisava che non poteva annoverarsi tra le società di comodo e che l’errore era derivato dalla compilazione automatica del quadro RQ in quanto nei tre precedenti esercizi aveva esposto modeste perdite fiscali, così rientrando tra le società non operative.
L’Ufficio non rispondeva all’istanza e, in data 15 marzo 2016, emetteva cartella di pagamento relative alla maggiore Ires contestata.
Avverso detta ultima spiegava ricorso la contribuente.
La C.t.p. rigettava il ricorso con sentenza confermata in appello.
La C.t.r. rilevava che l’ esercizio della facoltà di utilizzare le perdite verificatesi negli anni pregressi – portandole in diminuzione del reddito prodotto nell’anno oggetto della dichiarazione – ovvero di non utilizzarle riportandole in diminuzione dal reddito nei periodi di imposta successivi, era riservata al contribuente dall’art. 102 (ora 84) t.u.i.r. e costituiva manifestazione di volontà negoziale e non mera dichiarazione di scienza; che da tale qualificazione conseguiva che detta dichiarazione non poteva essere oggetto di rettifica, salva la prova – che riteneva nella specie mancante – del carattere essenziale ed obiettivamente riconoscibile dell’errore. Aggiungeva che la
contribuente si era limitata a sostenere l’emendabilità della dichiarazione mediate dichiarazione integrativa proposta oltre il termine; che, indipendentemente dal rispetto del suddetto termine, residuava l’opposizione in sede contenziosa, alla maggior pretesa tributaria – senza però poter portare in compensazione le somme -o la richiesta di rimborso entro il termine di quattro anni dal versamento, ai sensi dell’art. 38 d.P.R. n. 602 del 1973. Confermava, infine, la legittima applicazione della disciplina delle società operative, precisando che non potevano trovare applicazione le modifiche apportate dal Decreto Semplificazioni Fiscali attuativo della legge delega n. 23 del 2014 che si riferiva solo ai periodi di imposta successivi al 2014.
Avverso della sentenza ricorre la RAGIONE_SOCIALE in qualità di incorporante della RAGIONE_SOCIALE e l’ Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
La società contribuente ha depositato memoria.
Considerato che:
La contribuente, dopo aver argomentato sull’ inapplicabilità alla fattispecie concreta del c.d. divieto di «doppia conforme» di cui all’art. 348ter cod. proc. civ., stante la diversità delle ragioni di fatto poste a fondamento delle decisioni di primo e di secondo grado, propone tre motivi.
1. Con il primo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
Assume che la sentenza è viziata per ultra-petizione ed extrapetizione, rispetto ai motivi proposti in appello, avendo la C.t.r. frainteso l’oggetto del giudizio , così assumendo che la dichiarazione integrativa fosse volta a modificare la scelta originaria con riferimento alle perdite degli esercizi pregressi; che, invece, la questione
contro
versa era il provvedimento impositivo il quale era stato emesso in assenza dei presupposti avendo provato che non rientrava tra le società non operative. Conclude, pertanto, affermando che la C.t.r. non ha preso in esame i motivi di ricorso.
2. Con il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ.; dell’art. 2, comma 3 -decies d.l. 13 agosto 2011, n. 138 convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148; dell’art. 30 comma 4 -bis legge 23 dicembre 1974, n. 724.
Censura la sentenza impugnata per non aver rilevato che l’Ufficio non aveva contestato le prove addotte per dimostrare che non poteva essere inclusa tra i soggetti non operativi e, comunque, per non aver valutato dette prove.
1.3. Con il terzo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 4 e 5, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, secondo comma , cod. proc. civ. per vizio della motivazione.
Osserva che la C.t.r. – pur avendo correttamente riferito che la dichiarazione integrativa era stata presentata perché non vi erano i presupposti della maggiorazione Ires – aveva incentrato la motivazione sulla tardività della rettifica, sulla legittimità della sola opposizione in sede contenziosa alla maggiore pretesa, ma senza poter opporre il credito in compensazione, e sulla possibilità, al più, di chiedere un rimborso entro il termine. Deduce che tale motivazione è incomprensibile non essendo mai stata chiesta alcuna compensazione nè rimborso. Aggiunge che anche la motivazione relativa all’applicazione nel tempo nella normativa sulle società con dichiarazione in perdita era incomprensibile trattandosi di questione mai posta.
In primo luogo deve rilevarsi che non è dirimente quanto affermato dalla ricorrente in ordine alla insussistenza, nella fattispecie concreta, della preclusione di cui all’art. 384 -ter cod. proc. civ. in caso di c.d. doppia conforme.
La preclusione derivante dalla conformità delle sentenze di primo e secondo grad o opera soltanto con riferimento al vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., che la ricorrente ha richiamato (unitamente al vizio di cui al n. 4) solo in relazione al terzo motivo. Con quest’ultimo, tuttavia, la stessa ha prospettato, non un omesso esame di fatti decisivi, bensì un vizio della motivazione.
Poiché la sentenza impugnata è del 2020, trova, invece, applicazione l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione novellata dal comma 1, lett. b), dell’art. 54, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella legge 7 agosto 2012, n. 134, che si applica in relazione alle sen tenze d’appello pubblicate dall’11 settembre 2012, donde l’inammissibilità delle censure proposte secondo la precedente disciplina del vizio di motivazione.
Ciononostante, il difetto assoluto di motivazione rileva comunque quale error in procedendo, riconducibile al paradigma di cui all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.; in tal senso è stato correttamente prospettato dalla ricorrente nel medesimo motivo. Pertanto, rispetto alle censure poste, non si pone la questione della sussistenza o meno di un’ipotesi di doppia conforme, essendo tutti i motivi ammissibili a prescindere dalla stessa.
Preliminare all’esame dei motivi è l’inquadramento della normativa sulle società di comodo
3.1. La disciplina di riferimento per le società non operative o c.d. di comodo, è contenuta nell’art. 30 legge n. 724 del 1994.
Il comma 1, nel testo applicabile ratione temporis, stabilisce che le società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, si co nsiderano non operativi se l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico, ove prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando le percentuali ivi espressamente previste.
I commi 3 e 3bis , prevedono, poi, che fermo l’ordinario potere di accertamento, ai fini dell’imposta sul reddito e dell’Irap si presume che la base imponibile non sia inferiore ai valori determinati anch’essi secondo criteri predeterminati.
Il successivo comma 4bis, sempre nel testo applicabile ratione temporis, prevede che «in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operaz ioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4, la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi dell’art. 37 bis, comma 8, del decreto del presidente Repubblica 29 settembre 1973, n. 600» . Originariamente la disposizione faceva riferimento a oggettive situazioni «di carattere straordinario», ma detta ultima locuzione non è più presente dal 1° gennaio 2007, a seguito dell’art. 1, comma 109, lett. h, legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria del 2007).
Infine, il comma 4ter , (inserito dall’art. 1, comma 128, lett. f) legge 24 dicembre 2007, n. 244) rimanda ad provvedimento del Direttore dell’Agenzia l’ individuazione «determinate situazioni oggettive», in presenza delle quali non trovano applicazione le
disposizione dettate per le società di comodo. Per completezza, va aggiunto che il Direttore dell’Agenzia, con decreto n. 23681 del 2008, ha individuato le ipotesi di disapplicazione automatica della disciplina delle società di comodo e che detto provvedimento nel 2012 è stato integrato con la previsione di ulteriori cause di esclusione automatica (Provv. Direttore Agenzia delle entrate n. 87956 del 2012)
3.2. L ‘art. 2 d.l. n. 138 del 2011 ha integrato detta disciplina con un’ulteriore fattispecie di non operatività prevedendo che i soggetti che per tre periodi di imposta consecutivi presentano dichiarazioni in perdita fiscale, sono considerati non operativi a decorrere dal successivo quarto periodo di imposta. Più precisamente, il comma 36decies dell’art. 2 cit. ( introdotto dalla legge di conversione 14 settembre 2011, n. 148) precisa che «Pur non ricorrendo i presupposti di cui all’articolo 30, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, le società e gli enti ivi indicati che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per tre periodi d’imposta consecutivi sono considerati non operativi a decorrere dal successivo quarto periodo d’imposta ai fini e per gli effetti del citato articolo 30. Restano ferme le cause di non applicazione della disciplina in materia di società non operative di cui al predetto articolo 30 della legge n. 724 del 1994».
La disciplina per le società in c.d. «perdita sistematica» si applica a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 138 del 2011 (17 settembre 2011), quindi, per la prima volta ai soggetti aventi un periodo d’imposta coincidente con l’anno solare 2012.
Il d.l. n. 175 del 2014 ha modificato la disciplina prevista dal d.l.. n. 138 del 2011 ampliando, a decorrere, però dall’anno di imposta 2014, l’intervallo temporale dal triennio al quinquennio; tale modifica, dunque, non attiene alla fattispecie in esame.
4. In fatto, non è controverso che il recupero fiscale, di cui alla cartella emessa a seguito di procedura automatizzata, discendeva da quanto esposto dalla contribuente nella sua dichiarazione dei redditi. Questa, infatti, aveva riportato le perdite di tre anni consecutivi (2009, 2010 e 2011, utilizzandole nell’anno di imposta successivo , ed aveva compilato il quadro RQ (a suo dire in via automatica a causa del software utilizzato) e, precisamente, come esposto in sentenza e chiarito anche in ricorso (cfr. pag. 12 punto 1), «RQ62 colonna 6 relativo alla maggiorazione Ires». Trattasi, in particolare, della maggiorazione Ires prevista in capo alla società che si qualifichi di comodo.
Ciononostante, la società non provvedeva al versamento dell’imposta dovuta in ragione di quanto dalla stessa dichiarato; di qui l’avviso bonario e la s uccessiva cartella di pagamento per la riscossione di quanto emergente dalla sua stessa dichiarazione.
La società, sul presupposto di aver reso dichiarazione errata, depositava dichiarazione in rettifica correggendo la compilazione del quadro RQ e, comunque, chiedendo l’annullamento della cartella sostenendo di non rientrare nella categoria della società non operative per i motivi esposti.
5. Il primo ed il terzo motivo vanno esaminati congiuntamente in quanto connessi. Con i medesimi, infatti, la contribuente assume che la C.t.r. avrebbe frainteso l’oggetto del giudizio, pronunciandosi su fattispecie diversa da quella portata alla sua attenzione con i motivi di appello, e, comunque, che avrebbe reso motivazione apparente.
Entrambi i motivi non sono fondati.
5.1. La contribuente, come dalla stessa esposto in ricorso, con l’atto di appello aveva censurato la sentenza di primo grado osservando che la C.t.p. non aveva tenuto conto della dichiarazione integrativa, con la quale aveva rettificato l’originaria dichiarazione, eliminando il quadro
RQ relativo alla maggiorazione Ires, non sussistendone i presupposti, e non si era pronunciata nel merito della legittimità della pretesa impositiva.
5.2. La C.t.r. dopo aver richiamato la giurisprudenza di legittimità, ha chiaramente ritenuto che la dichiarazione della contribuente -che, come detto aveva esposto le perdite e compilato il quadro destinato alla maggiorazione Ires per le società di comodo – avesse valore negoziale, e non di mera dichiarazione di scienza e che, di conseguenza, la stessa fosse emendabile solo in caso di errore essenziale ed obiettivamente riconoscibile, in merito al quale ha rilevato che la contribuente nulla aveva dedotto. Di seguito, ha pure rilevato che la dichiarazione in rettifica era tardiva e che, pertanto, l’errore commesso non era , comunque emendabile. Concludendo, ha ritenuto che alla contribuente fosse applicabile il regime fiscale previsto per le società non operative in costante perdita fiscale per tre anni come tracciato dal d.l. n. 138 del 2011; ha precisato, infine che la successiva modifica di cui alla legge n. 23 del 2014 che aveva esteso ad un quinquennio il periodo di osservazione non era applicabile all’anno di imposta 2012.
Così motivando, il giudice del secondo grado non è incorso in alcun errore di extra-petizione o ultra-petizione. Infatti, ha esattamente inquadrato il petitutm e la causa petendi nella pretesa della contribuente di non corrispondere quanto dovuto in qualità di società non operativa per costante perdita fiscale per un triennio, nonostante quanto dalla medesima esposto nella dichiarazione, ed ha esaurientemente motivato sulle ragioni per le quali il recupero fiscale doveva ritenersi legittimo, così rispondendo ad entrambe le censure.
5.3. Va rammentato, ancora, che la mancanza della motivazione, rilevante ai sensi dell’ art. 132, n. 4, cod. proc. civ. (e nel caso di specie dell’art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992) e riconducibile
all’ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., si configura solo quando questa manchi del tutto -nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, risultante dallo svolgimento del processo, segue l’enunciazione della decisione, senza alcuna argomentazione -ovvero nel caso in cui essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum . (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053).
La sentenza in esame, invece, ha spiegato in maniera logica e comprensibile le ragioni del rigetto.
Il secondo motivo è anch’esso in fondato.
6.1. Quanto alla prima censura, relativa alla presunta non contestazione dell’Ufficio, va rammentato che nel processo tributario, il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti dal contribuente, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato mediante l’atto impositivo, in quanto detto atto costituisce nel suo complesso, nei limiti delle censure del ricorrente, l’oggetto del giudizio, (Cass. 23/07/2019, n. 19806). Pertanto qualora l’Amministrazione finanziaria difenda l’atto impositivo avverso le critiche proposte dal contribuente, che domanda di rigettare, per ciò solo devono ritenersi contestate le tesi difensive proposte dalla controparte (Cass. 03/09/2024, n. 23599).
La seconda censura – con la quale si lamenta che la CRAGIONE_SOCIALE non avrebbe preso in considerazione le prove addotte dalla ricorrente che confermavano la insussistenza, nonostante i tre esercizi in perdita, dei presupposti per applicare il regime delle società non operative, in conformità alle esclusioni di cui all’art. 30 legge n. 724 del 1994 – non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata. Quest’ultima, infatti
si fonda sul diverso assunto che alla società fosse preclusa la possibilità di far valere la insussistenza dei presupposti per la disapplicazione della disciplina delle società non operative in quanto la sua applicazione discendeva da quanto esposto, con dichiarazione avente valore negoziale, nel Modello Unico 2013, non più emendabile.
Deve rammentarsi sul punto che con il ricorso per cassazione, è necessario che venga contestata specificamente la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata Cass. 10/0/2017, n. 19989).
6. Il ricorso va, pertanto, complessivamente rigettato.
Alla soccombenza segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, oltre quelle prenotate a debito.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.800,00 a titolo di compenso oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto. a debito.
Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2024.