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Società in perdita sistematica: la prova contraria

La Corte di Cassazione chiarisce come una società in perdita sistematica possa vincere la presunzione di non operatività. Con l’ordinanza n. 28999/2025, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando che la prova di un’effettiva attività imprenditoriale, seppur in crisi, è sufficiente a superare la presunzione legale. La valutazione di tale prova costituisce un accertamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società in perdita sistematica: come dimostrare l’operatività reale

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 28999 del 2025, offre importanti chiarimenti su come una società in perdita sistematica possa difendersi dalla presunzione di non operatività fiscale. La Corte ha stabilito che la prova di un’effettiva attività d’impresa, anche se colpita da una crisi di mercato, è sufficiente a superare la presunzione di essere una “società di comodo”, e che la valutazione di tale prova da parte del giudice di merito non può essere messa in discussione in Cassazione.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dal diniego opposto dall’Agenzia delle Entrate a un’istanza di interpello disapplicativo presentata da una S.r.l. operante nel settore della metallurgia. L’azienda, pur avendo operato per anni con un numero significativo di dipendenti, si trovava in una situazione di perdita fiscale costante da diversi esercizi. Per questo motivo, il fisco l’aveva qualificata come società non operativa, applicando la relativa disciplina penalizzante.

La Commissione Tributaria Provinciale aveva inizialmente dichiarato inammissibile il ricorso della società, ritenendo il diniego di interpello un atto non autonomamente impugnabile. Successivamente, la Commissione Tributaria Regionale aveva ribaltato la decisione, accogliendo l’appello nel merito. Secondo i giudici regionali, la società aveva fornito prove sufficienti del suo effettivo operare, dimostrando che le perdite erano dovute a una sopraggiunta crisi di settore e non a un’inattività fittizia.

La presunzione per la società in perdita sistematica e il ricorso del Fisco

L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza regionale dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando la violazione e falsa applicazione della normativa sulle società di comodo (in particolare, l’art. 30, commi 4-bis e 4-ter, della L. 724/1994). Secondo l’Amministrazione Finanziaria, per superare la presunzione legale di non operatività, non basta invocare genericamente una crisi economica o di settore. Il contribuente dovrebbe, invece, dimostrare l’esistenza di “oggettive situazioni” specifiche che hanno impedito il raggiungimento dei ricavi minimi, nonostante l’adozione di adeguate politiche gestionali volte a garantire la continuità aziendale. Di fatto, l’Agenzia contestava che il giudice di merito avesse dato peso a circostanze (la crisi) considerate troppo generiche.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate inammissibile. Il motivo centrale della decisione risiede nella distinzione fondamentale tra un errore di diritto e una valutazione dei fatti. La Cassazione ha chiarito che il ricorso dell’Agenzia non denunciava una reale violazione di legge, ma mirava a ottenere un inammissibile riesame del merito della controversia.

I giudici di legittimità hanno ribadito un principio consolidato: la presunzione legale di inoperatività, sia per le società che non raggiungono i ricavi minimi sia per quelle in perdita fiscale sistematica, è una presunzione relativa. Ciò significa che può essere superata fornendo la prova contraria. Tale prova può consistere nella dimostrazione di “situazioni oggettive” che hanno impedito la redditività, ma anche, e soprattutto, nella prova dell’esistenza di un’effettiva attività imprenditoriale.

La Commissione Tributaria Regionale aveva compiuto proprio questo accertamento di fatto: analizzando la documentazione prodotta (relativa agli anni di attività, al numero di dipendenti, al settore operativo), aveva concluso che l’azienda era reale e operativa, e che le sue difficoltà economiche erano riconducibili a una crisi iniziata in un determinato anno. Questa valutazione, basata sulle prove acquisite, costituisce un giudizio di fatto che, se logicamente motivato, non può essere censurato in sede di Cassazione.

In sostanza, la Corte ha affermato che l’Agenzia delle Entrate, criticando il modo in cui il giudice di merito aveva valutato le prove (come la rilevanza della crisi economica), non stava lamentando un errore nell’applicazione della legge, ma stava contestando il risultato di un’analisi fattuale, cosa non permessa nel giudizio di legittimità.

Conclusioni

Questa ordinanza rafforza un importante principio a tutela delle imprese che attraversano periodi di difficoltà. Essere una società in perdita sistematica non significa essere automaticamente una “società di comodo”. L’onere della prova per superare la presunzione fiscale è certamente a carico del contribuente, ma la decisione della Cassazione conferma che tale prova può essere fornita dimostrando con elementi concreti la realtà e la storicità dell’attività d’impresa. Documenti contabili, contratti, numero di dipendenti, investimenti effettuati e una chiara contestualizzazione della crisi di mercato sono tutti elementi cruciali per dimostrare al giudice tributario che l’azienda è viva e operante, sebbene non redditizia. La sentenza sottolinea l’importanza per i giudici di merito di valutare la sostanza economica dell’impresa al di là dei meri risultati numerici del bilancio.

Cosa si intende per società in perdita sistematica?
È una società che presenta dichiarazioni in perdita fiscale per un determinato numero di periodi d’imposta consecutivi (nel caso di specie, tre). La legge presume, fino a prova contraria, che tale società non sia operativa e le applica una disciplina fiscale penalizzante.

Come può una società in perdita sistematica superare la presunzione di non operatività?
Può farlo fornendo la prova dell’esistenza di un’effettiva attività imprenditoriale. Come stabilito dalla sentenza, è necessario dimostrare con elementi di fatto (es. documentazione aziendale, numero di dipendenti, storia operativa) che la società svolge una reale attività economica, anche se le condizioni di mercato l’hanno resa temporaneamente non redditizia.

La crisi economica generale o di settore è una prova sufficiente per vincere la presunzione?
Da sola, l’invocazione generica di una crisi potrebbe non bastare. Tuttavia, la sentenza chiarisce che la crisi diventa un elemento di prova rilevante quando è inserita in un contesto più ampio che dimostra l’effettivo esercizio di un’attività d’impresa. La crisi, quindi, serve a giustificare il perché un’azienda realmente operativa stia subendo delle perdite.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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