Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2577 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2577 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10245/2017 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-controricorrente e ricorrente incidentale- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. ROMA n. 6277/2016 depositata il 20/10/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La Società RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE ha impugnato provvedimento di diniego dell’istanza di disapplicazione della disciplina antielusiva dettata per le società in perdita sistematica, in
relazione agli anni 2009, 2010 e 2011, e la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Roma ha accolto il ricorso.
La Commissione Tributaria Regionale (CTR) del Lazio, con la sentenza in epigrafe, ritenuto impugnabile l’atto di diniego, ha accolto l’appello erariale.
La CTR ha ritenuto erronea la valutazione del giudice di primo grado, secondo la quale la società aveva « fornito prova di trovarsi in una situazione oggettiva che non consentiva il conseguimento di ricavi »; ha osservato che la società era stata costituita nel 1955 e aveva svolto attività imprenditoriale sino alla istituzione da parte del Comune di Roma di un parco pubblico su terreno di sua proprietà, occupato d’urgenza nel 1982 e poi espropriato nel 1991, ma da oltre trenta anni non svolgeva alcuna attività, oltre alla custodia e conservazione dei propri beni, « per una evidente esigenza di speculazione immobiliare in vista della realizzazione del progetto urbanistico »; ha concluso che la perdita sistematica non era riferibile a situazioni particolari di natura economica che hanno causati i risultati negativi ma ad una « situazione oggettiva derivante da vincoli amministrativi di natura illimitata»; ha altresì escluso l’applicabilità del l ‘art. 30 comma 1 della l. n. 724/1994 che « non tollera la permanenza in vita di quelle società prive di obiettivi imprenditoriali concreti ed immediati e che, di fatto, non svolgono alcuna attività »; infine ha osservato che non fosse applicabile neppure l’art. 2 comma 2 del d.lgs. n. 138/2011 , a cui l’istanza della società faceva chiaramente riferimento, non trovandosi la società in crisi economica a causa del grave contesto di crisi del Paese.
5.Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la contribuente che si è affidata a due motivi e ha depositato memoria.
6 . Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate che ha proposto ricorso incidentale fondato su un motivo.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n.4 c.p.c., nullità della sentenza per mancanza della motivazione, violazione degli artt. 132 comma 2 n. 4 c.p.c., 111 comma 6 cost., 118 disp., att. e 36 del d.lgs. n. 546/1992, essendo fondata su affermazioni tra loro contrastanti, inconciliabili ed incomprensibili.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 30, comma 4 bis della l. n. 724/1994 e dell’art. 2 commi 2 e 36 decies del d.l. n. 138/2011, perché la CTR aveva operato una illegittima commistione tra le disposizioni di cui all’art. 30 comma 1 cit. -concernenti le società non operative -e la disciplina delle società in perdita sistematica prevista d all’art. 2 comma 36 decies cit. di cui, nel caso in esame, si era chiesta la disapplicazione ai sensi dell’art. 30 comma 4 bis cit. : da un lato, la CTR aveva errato nel riferire la perdita sistematica alla « presenza di situazioni particolari di natura economica che potrebbero aver causato i risultati negativi» e, d’altro lato, non si era avveduta che, avendo accertato una « situazione oggettiva derivante da vincoli amministrativi», aveva in sostanza riconosciuto il presupposto per la disapplicazione della normativa antielusiva; infine, ha contestato il riferimento all’art. 2 comma 2 del d.l.gs. n. 138 del 2011, inconferente nel caso di specie.
Con il motivo di ricorso incidentale, si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 100 c.p.c., per avere la CTR ritenuto impugnabile l’atto con cui si era data risposta al c.d. interpello disapplicativo ex art. 30 della l. n. 794/1994 e 37 bis del d.P.R. n. 600/1973.
E’ pre giudiziale il motivo di ricorso incidentale che è infondato.
3.1. In tema di processo tributario, la tassatività dell’elencazione degli atti di cui all’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 non esclude che il provvedimento agenziale di rigetto dell’istanza di interpello, avendo natura e contenuto di diniego definitivo della disapplicazione di norme antielusive (a differenza di quello interlocutorio), possa essere impugnato giudizialmente dal contribuente, in applicazione estensiva e costituzionalmente orientata delle disposizioni in materia (Cass. n. 32425 del 2019; v. di recente, Cass., n. 2062 del 2020; Cass. n. 32962 del 2018). Come noto, secondo giurisprudenza consolidata in tema di contenzioso tributario, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1993, n. 546, ha natura tassativa, ma, in ragione dei principi costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.), ogni atto adottato dall’ente impositore che porti, comunque, a conoscenza del contribuente una specifica pretesa tributaria, con esplicitazione delle concrete ragioni fattuali e giuridiche, è impugnabile davanti al giudice tributario, senza necessità che si manifesti in forma autoritativa ( cfr. Cass., n. 23469 del 2017; Cass. n. 13963 del 2017; Cass. n. 3315 del 2016).
3.2. Tale principio è stato esteso anche a fattispecie, come quella in esame, di interpello disapplicativo di norme antielusive, in base alla richiamata interpretazione estensiva, consentita da una lettura nell’ottica costituzionale della tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), nonché in considerazione dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la L. 28 dicembre 2001, n. 448. Ne consegue che il contribuente ha la facoltà, non l’onere, di impugnare il diniego del Direttore Regionale delle Entrate di disapplicazione di norme antielusive D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 37-bis, comma 8, atteso che lo stesso non è atto
rientrante nelle tipologie elencate dal d.lgs. n. 546 del 1992, art. 19, ma provvedimento con cui l’Amministrazione porta a conoscenza del contribuente, pur senza efficacia vincolante per questi, il proprio convincimento in ordine ad un determinato rapporto tributario (Cass n. 24704 del 2019; Cass. n. 17010 del 20212; Cass. n. 8663 del 2011, secondo cui il diniego disapplicativo è un atto definitivo in sede amministrativa e recettizio con immediata rilevanza esterna, da qualificarsi come un’ipotesi di diniego di agevolazione).
Passando ai motivi del ricorso principale, in ordine al quale non pare venuto meno l’interesse ad agire nonostante , come riferito in memoria, l’Ufficio non abbia assunto alcuna iniziativa con riguardo alle annualità in questione entro il termine di decadenza, il primo motivo è infondato.
4.1. Non essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza -di ‘mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022). Questa Corte ha, altresì, precisato che « la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante
argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture » (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016; conf. Cass., n. 9105 del 2017, secondo cui ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica in modo da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento). In questo caso, come si desume anche dalla superiore espositiva, la motivazione attinge il cd. minimo costituzionale: sfrondata dagli obiter dicta , la CTR, rilevato che la società da oltre trenta anni si limitava alla custodia dei beni immobili di cui è proprietaria che sono oggetto di vincoli amministrativi che non consentono alcun sviluppo urbanistico, ha ritenuto che non fosse applicabile la normativa sulle società in perdita sistematica che richiede una società comunque in attività che abbia conseguito risultati negativi per particolari congiunture economiche.
E’ fondato, invece, il secondo motivo.
5.1. E’ pacifico che la società abbia richiesto la d isapplicazione della disciplina prevista per le società in perdita sistematica dettata dall’art. 2 comma 36 decies del d.l. n. 138 del 2011, secondo cui « Pur non ricorrendo i presupposti di cui all’articolo 30, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, le società e gli enti ivi indicati che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per tre periodi d’imposta consecutivi sono considerati non operativi a decorrere dal successivo quarto periodo d’imposta ai fini e per gli effetti del citato articolo 30. Restano ferme le cause di non applicazione della disciplina in materia di società non operative di
cui al predetto articolo 30 della legge n. 724 del 1994 ». Secondo l’art. 30 comma 4 bis della l. n. 724 del 1994, « In presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4, la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 ».
5.2. La CTR è incorsa in una violazione di legge laddove ha subordinato l’applicazione di tale normativa alla ricorrenza di presupposti sostanziali (« presenza di situazioni particolari di natura economica che potrebbero aver causato i risultati negativi») che la norma non richiede; i giudici d’appello avrebbero dovuto valutare, invece, se la rilevata « situazione oggettiva derivante da vincoli amministrativi aventi efficacia illimitata » perfezionava il requisito di cui all’art. 30 comma 4 bis cit. e cioè l ‘esistenza di situazioni oggettive, indipendenti dalla volontà del contribuente, « di carattere straordinario e da valutarsi in relazione alle effettive condizioni del mercato » (Cass. n. 6459 del 2023; Cass. n. 13328 del 2023), che escludono l’applicazione della normativa prevista per le società non operative e comportano, quindi, la disapplicazione degli effetti di cui all’art. 30 cit.
Conclusivamente, accolto il secondo motivo, rigettati il primo motivo e il ricorso incidentale dell’Ufficio, la sentenza deve essere cassata con rinvio al giudice del merito.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo del ricorso principale, rigettati il primo motivo e il ricorso incidentale, cassa di conseguenza la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo
grado del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 23/10/2024.