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Società in house: autonomia fiscale e ritenute

La Corte di Cassazione ha confermato che una società in house è un soggetto fiscale autonomo, distinto dall’ente pubblico che la controlla. Di conseguenza, la ritenuta fiscale sugli interessi bancari maturati dalla gestione di fondi pubblici è da considerarsi un acconto (ritenuta d’acconto) e non un’imposta definitiva. La società ha quindi legittimamente detratto tali ritenute dall’IRES dovuta, in quanto titolare del ‘possesso del reddito’, avendo la piena disponibilità e autonomia nella gestione dei fondi e degli interessi generati.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società in house: la Cassazione conferma l’autonomia fiscale

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha affrontato un tema cruciale per gli enti pubblici e le loro partecipate: l’autonomia fiscale di una società in house. La pronuncia stabilisce un principio fondamentale: anche se strettamente controllata dall’ente pubblico, la società in house rimane un soggetto d’imposta autonomo, con importanti conseguenze sul trattamento delle ritenute sugli interessi bancari.

I Fatti di Causa

Una società finanziaria, interamente partecipata e controllata da una Regione (una cosiddetta società in house), era incaricata di gestire fondi pubblici destinati all’erogazione di contributi e finanziamenti agevolati. Sui conti correnti dove giacevano tali fondi, maturavano interessi attivi. Le banche, come previsto dalla legge, applicavano su tali interessi una ritenuta fiscale a titolo d’acconto.

L’Agenzia delle Entrate, tuttavia, contestava questa pratica. Secondo l’Amministrazione finanziaria, il reddito generato dagli interessi non apparteneva alla società, ma direttamente alla Regione, un ente pubblico esente dall’imposta sui redditi (IRES). Di conseguenza, la ritenuta avrebbe dovuto essere applicata a titolo d’imposta, estinguendo definitivamente il debito fiscale e impedendo alla società di scomputarla dall’IRES dovuta.

La società si opponeva, sostenendo la propria autonomia soggettiva e la titolarità del reddito. Dopo due gradi di giudizio favorevoli alla contribuente, la questione è giunta dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla società in house

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando le sentenze dei giudici di merito. La decisione si basa su tre pilastri argomentativi che chiariscono la natura giuridica e fiscale della società in house.

Il Concetto di “Possesso di Reddito” nel Diritto Tributario

Il primo punto affrontato dai giudici riguarda la nozione di “possesso di reddito”. La Corte ha specificato che, in ambito tributario, questo concetto non coincide con la nozione civilistica di proprietà. Il presupposto per l’imposizione fiscale è la disponibilità effettiva delle somme e la capacità di gestirle in nome e per conto proprio.

Nel caso di specie, la società, pur agendo come mandataria senza rappresentanza della Regione, era titolare dei conti correnti e aveva la piena facoltà di gestire e impiegare le somme. Era la società, non la Regione, ad avere la disponibilità materiale del capitale e degli interessi. Pertanto, era corretto identificare la società come il soggetto che possedeva il reddito ai fini fiscali.

Autonomia Fiscale della Società in House

Il secondo e cruciale argomento riguarda la soggettività tributaria. La Corte ha ribadito un orientamento ormai consolidato: una società in house, nonostante il cosiddetto “controllo analogo” da parte dell’ente pubblico, è e rimane un soggetto giuridico distinto e autonomo. La sua natura privatistica non viene meno a causa del forte legame con l’azionista pubblico.

Questo significa che la società è un centro autonomo di imputazione di rapporti giuridici e, di conseguenza, un soggetto passivo d’imposta a tutti gli effetti. Non può essere considerata una mera articolazione interna dell’ente pubblico. Essendo un soggetto IRES e non un ente esente come la Regione (ai sensi dell’art. 74 del TUIR), la ritenuta sugli interessi non poteva che essere a titolo d’acconto, come correttamente operato dalle banche.

L’Inapplicabilità della Normativa sui Fondi Pubblici di Agevolazione

Infine, la Corte ha respinto l’argomento dell’Agenzia basato sull’art. 39 della legge 342/2000, che disciplina il trattamento fiscale dei fondi pubblici di agevolazione. I giudici hanno chiarito che tale norma fu introdotta per risolvere una diversa fattispecie, in cui i fondi statali erano gestiti da intermediari ma rimanevano depositati presso conti infruttiferi della Tesoreria dello Stato. In quel contesto, gli interessi erano vincolati e utilizzabili solo previa autorizzazione ministeriale.

Nel caso in esame, la situazione era opposta: la società aveva piena libertà di gestione degli interessi maturati su conti correnti bancari ordinari, senza necessità di alcuna autorizzazione. La norma, quindi, non era applicabile.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla distinzione tra la forma giuridica e la sostanza del controllo. Sebbene l’ente pubblico eserciti un’influenza dominante, la forma giuridica di società di capitali implica una separazione patrimoniale e una soggettività giuridica autonoma che ha riflessi diretti sul piano fiscale. Attribuire il reddito alla Regione significherebbe ignorare l’esistenza di un soggetto giuridico distinto, creato per operare nel mercato con strumenti di diritto privato. La nozione di “possesso” in materia tributaria, intesa come disponibilità economica e gestionale, è stata decisiva: chi ha il potere di disporre dei fondi e dei relativi frutti è il soggetto passivo d’imposta, e in questo caso era la società.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un principio di grande importanza pratica: l’autonomia fiscale delle società a controllo pubblico. Viene chiarito che il modello della società in house non annulla la sua soggettività tributaria. Queste società sono tenute a pagare le imposte sui redditi che producono, ma hanno anche il diritto di beneficiare delle regole fiscali ordinarie, come la possibilità di scomputare le ritenute d’acconto. Questa pronuncia offre certezza giuridica agli operatori, definendo in modo netto i confini tra la sfera patrimoniale dell’ente pubblico e quella della sua società partecipata.

Una società in house è un soggetto fiscale autonomo rispetto all’ente pubblico che la controlla?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che, ai fini fiscali, la società ‘in house’ è un centro autonomo di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive, distinto dall’ente pubblico che esercita su di essa il controllo.

La ritenuta sugli interessi bancari percepiti da una società in house è a titolo d’acconto o d’imposta?
È una ritenuta a titolo d’acconto. Poiché la società è un soggetto passivo IRES autonomo e non un ente esente dall’imposta (come invece è la Regione), la ritenuta funge da anticipo sull’imposta complessivamente dovuta e può essere scomputata.

Cosa si intende per ‘possesso di reddito’ in ambito tributario per gli interessi bancari?
Si intende la disponibilità materiale del capitale e degli interessi, unita alla possibilità di gestire entrambi in nome proprio e per conto proprio. Non si fa riferimento alla proprietà civilistica, ma al potere effettivo di disposizione economica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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