Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13933 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 13933 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/05/2025
Oggetto: Avviso di accertamento IRES dal 2007 al 2010 – Società in house – Ritenuta su interessi attivi bancari -Detrazione -Legittimità – Possesso di reddito
Nozione
Principio di diritto
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 8340/2016 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte n. 914/36/2015, depositata in data 23 settembre 2015. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 1° aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito per l’Agenzia delle entrate l’Avv. dello Stato NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso, e per la controricorrente l’Avv. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso .
FATTI DI CAUSA
1. La RAGIONE_SOCIALE, società in house della Regione Piemonte (socia di maggioranza) in virtù di convenzione stipulata il 2 aprile 2010, gestiva – in modo separato dal proprio patrimonio fondi sui quali confluivano somme della Regione, curando l’istruttoria dell’erogazione di contributi e finanziamenti agevolati , e gli interessi frutto del loro impiego.
Negli anni dal 2007 al 2010 detrasse le ritenute sugli interessi attivi bancari maturati sulle somme ricevute dalla Regione, ritenute operate, ai sensi dell’art. 26 d.P.R. n. 600/1973, dall’istituto di credito.
L’Agenzia delle entrate notificava alla detta società 4 avvisi di accertamento (nn. T7E030304634/2012, T7E030305104/2012, T7E030305106/2012 e T7E030305109/2012), relativi agli anni 2007, 2008, 2009 e 2010, con i quali contestava alla contribuente di non aver titolo alla detrazione, in quanto nella specie la ritenuta era stata operata, ai sensi del quarto comma dell’art. 26 cit., a titolo di imposta e non di acconto. Richiamava, poi, l’art. 39 della legge 342/2000, secondo cui i fondi pubblici di agevolazioni, ancorché affidati in gestione a soggetti terzi, devono intendersi riconducibili all’art. 74, comma 1, d.P.R. n. 917/1986; pertanto, la società aveva indebitamente portato le ritenute a scomputo dell’imposta dovuta (IRES per tutti gli anni, ed anche IVA ed IRAP per l’anno 2008). Difettava, nella specie, il presupposto del possesso del reddito in capo alla società, ovvero la titolarità giuridica del medesimo: invero, la RAGIONE_SOCIALE (mandataria senza rappresentanza della Regione) aveva sì la disponibilità dei fondi (dai quali si generava il reddito), ma non poteva disporne nel proprio interesse; il reddito di capitale,
al pari di quest’ultimo, infatti, costituiva danaro pubblico, da restituire, a determinate scadenze, alla Regione.
Ai sensi dell’art. 74, comma 1, d.P.R. n. 917/1986, sui redditi percepiti dagli enti pubblici, questi non assumono la soggettività passiva ai fini IRES, per cui la ritenuta sui detti redditi operata alla fonte è a titolo di imposta, venendo in tal modo gli enti incisi definitivamente dal tributo.
La società, utilizzando indebitamente le ritenute operate dagli istituti bancari all’atto della corresponsione degli interessi attivi maturati sulle somme costituenti i fondi, aveva realizzato un vantaggio fiscale, ovvero il mancato versamento di imposte e contributi, in violazione dell’art. 53 Cost..
La contribuente proponeva 4 distinti ricorsi innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Torino, che, riunite le impugnazioni, le accolse evidenziando come l’elencazione di cui all’art. 74, comma 1, d.P.R. n. 917/1986, fosse tassativa e, quindi, non estendibile in via interpretativa, né l’art. 39 della legge finanziaria per il 2001 ne aveva am pliato l’ambito applicativo.
Precisamente, il combinato disposto degli artt. 72, 73 e 74 TUIR aveva chiaramente delimitato l’ambito di applicazione dell’imposta sul reddito delle società (l’art. 72 il presupposto della stessa, l’art. 73 i soggetti passivi, tra i quali le società per azioni, l’art. 74 i soggetti esclusi, tra i quali le Regioni); ‘l’indicazione tassativa e non generica impedisce qualsiasi interpretazione estensiva, per cui risulta evidente che la ricorrente società non può essere ricompresa tra gli enti pubblici in esame, essendo essa una società per azioni dotata di propria autonomia funzionale’.
Secondo la CTP, poi, l’art. 39 della legge finanziaria del 2001 (norma interpretativa dell’art. 74) non aveva inteso aggiungere all’elencazione originaria altri soggetti in origine non previsti; evidenziava, poi, che nella specie la società gestiva i fondi in nome proprio e per proprio conto, in piena autonomia.
Con riferimento all’applicazione dell’art. 26, comma quarto, ultimo periodo, del d.P.R. n. 600/1973, la CTP riteneva che la contribuente, sulla scorta della convenzione quadro stipulata con la Regione, fosse un soggetto terzo rispetto all’ente pubblico, ‘in quanto soggetto autonomo di diritto privato’. Inoltre, anche a voler ritenere che la società avesse agito come mandataria della Regione senza rappresentanza, l’art. 1705 cod. civ. prevede l’acquisizione, in capo al mandatario che agisca in nome proprio, degli obblighi e dei diritti nascenti dagli atti compiuti con i terzi, e la RAGIONE_SOCIALE era titolare dei rapporti di conto corrente intrattenuti con le banche ed era titolare del diritto a percepire gli interessi maturati sulle somme.
L’Ufficio proponeva gravame innanzi alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, affidato, per quanto ancora qui rilevi, ai seguenti motivi:
omessa pronuncia sui rilievi relativi ad IVA ed IRAP per l’anno 2008, non impugnati dalla contribuente;
b) violazione degli artt. 26, d.P.R. n. 600/1973, 74, d.P.R. n. 917/1986 e 39 l. 342/2000; nella specie, avrebbe dovuto avere rilevanza l’oggettivo carattere pubblicistico delle somme gestite, anche alla luce della natura (società in house ) della contribuente, quindi non terza rispetto alla Regione; la titolarità degli interessi, nonostante la formale intestazione dei conti correnti alla Finpiemonte, era sostanzialmente riconducibile alla Regione, di cui la contribuente era una mera articolazione interna;
in subordine, la RAGIONE_SOCIALE, stante la natura di società mandataria senza rappresentanza della Regione, non poteva considerare come reddito proprio le somme percepite a titolo di interessi sulle somme affidatele dalla Regione.
La contribuente si costituì contestando gli avversi assunti.
La CTR dichiarò, preliminarmente, cessata la materia del contendere in relazione ai rilievi mossi, per l’anno 2008, relativamente all’IVA ed all’IRAP.
Dopo aver riportato per esteso il contenuto degli avvisi di accertamento e della sentenza di primo grado, confermava la sentenza di prime cure all’esito del seguente iter motivazionale:
a) in primo luogo, la CTR affronta la questione della riferibilità, alla società o alla Regione, del reddito costituito dagli interessi attivi di conto corrente, derivanti dalla gestione dei fondi; dopo aver richiamato la nozione di ‘possesso di reddito’, come elaborata dalla dottrina in tre diversi modi e dalla giurisprudenza di legittimità (secondo cui il termine ‘possesso’ impiegato dal TUIR non corrisponde a quello di matrice civilistica, né esso assume un significato unitario per tutte le categorie reddituali), il giudice del gravame affermava che la RAGIONE_SOCIALE aveva la disponibilità del capitale, decidendo in autonomia il suo impiego, assumendo i rischi legati alla solvibilità dei beneficiari; i redditi derivanti dal detto impiego dovevano, quindi, essere riferiti alla società; corretta, quindi, era stata la ritenuta a titolo di acconto operata dalle banche; né a favore dell’applicabilità dell’art. 26 cit. poteva condurre , come sostenuto dall’Agenzia, l’inquadramento dei rapporti tra ente e società ne ll’ambito del mandato senza rappresentanza, atteso che alla luce del contenuto della convenzione intervenuta tra le parti il 29 ottobre 2003, la RAGIONE_SOCIALE, da un lato, aveva la libertà di investire le risorse ottenute dalla Regione, dall’altro, aveva l’obbligo di remunerare l’ente con un interesse passivo determinato nella misura delle migliori condizioni di mercato; in definitiva, anche sotto tale visuale prospettica, la società decideva in piena libertà le risorse, per cui i relativi frutti erano a lei riferibili; né, infine, l’Agenzia rilevava la CTR -aveva dedotto che la Regione impartisse istruzioni alla (o autorizzasse la) società per attingere alla provvista o per l’impiego delle risorse;
b) in secondo luogo, la CTR affronta la questione degli effetti, sulle conclusioni rese sub a), dell’applicabilità nella specie dell’art. 39 della legge finanziaria 2001; dopo l’esame della detta norma, anche alla luce dei lavori preparatori, il giudice del gravame afferma
che la RAGIONE_SOCIALE non può ritenersi un soggetto escluso dall’imposizione tributaria ex art. 26 cit, contrariamente alla Regione (ai sensi dell’art. 74 cit.); pertanto, la ritenuta operata nei confronti della Finpiemonte è a titolo di acconto e non d’impos ta;
in terzo luogo, infine, la CTR affronta la questione della terzietà della RAGIONE_SOCIALE rispetto alla Regione (alla luce del contenuto del contratto quadro stipulato nel 2010 e della giurisprudenza sovranazionale formatasi sul concetto di in house providing ), affermando la natura di società in house providing della stessa ma escludendo, al contempo, che ciò escluda una sua autonoma soggettività tributaria.
Avverso la decisione della Commissione tributaria regionale ha proposto ricorso per cassazione l’Ufficio , affidato a tre motivi.
La contribuente ha resistito con controricorso e ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
All’udienza pubblica del 01/04/2025 il Sostituto Procuratore Generale, nella persona del dr. NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso; l’avv. dello Stato, NOME COGNOME per la ricorrente, ha chiesto l’accoglimento del ricorso; l’avv. NOME COGNOME per la società contribuente, ha chiesto il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso l’Ufficio lamenta la «violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 6, 74 c. 1, 79 c. 1 dpr 22.12.1986 n. 917; 1705 e 1713 cod. civ.; 26 c. 4 dpr 29.9.73 n. 600, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. » per avere la CTR erroneamente affermato che gli interessi attivi spettavano alla RAGIONE_SOCIALE per diritto proprio, e non alla Regione. In particolare, essendo la società un mandatario della Regione senza rappresentanza, non aveva alcun potere di disporre degli interessi attivi bancari.
Il motivo , subito superando l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla controricorrente, in quanto conforme all’art. 366 cod. proc. civ., è infondato.
1.1. L’esame del motivo passa necessariamente attraverso la ricostruzione dogmatica del concetto di ‘possesso di reddito’ in ambito tributario. Infatti, solo se sarà possibile riconoscere in capo a Finpiemonte il ‘possesso’ del reddito, costituito nella specie dagli interessi attivi bancari maturati sui conti correnti intestati alla società, sarà corretta la tassazione alla fonte mediante ritenuta da parte delle banche.
Ora, s econdo l’unanime dottrina la nozione di ‘possesso di reddito’ ai fini dell’individuazione del soggetto passivo di imposta non può corrispondere a quella civilistica dettata dall’art. 1140 c.c., incentrata sulla relazione qualificata con la cosa (ossia sul potere su di essa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale).
Altrettanto pacifica è l’impossibilità di inglobare dentro un’unica nozione , valevole nel diritto tributario, le molteplici e plurime ipotesi di ‘redditi’ che il legislatore ha previsto.
L’art. 1 del t.u.i.r. prevede, quale presupposto dell’imposta sui redditi, ‘il possesso di redditi di denaro o in natura rientranti nelle categorie indicate nell’articolo 6’.
Nell’art. 6 i redditi sono classificati in: fondiari, di capitale, di lavoro dipendente, di lavoro autonomo, d’impresa e diversi.
1.2. Nella specie, si discute, senza dubbio, di reddito di capitale, trattandosi di reddito prodotto, sotto forma di interessi attivi, dalle somme di danaro giacenti sui conti correnti intestati alla società RAGIONE_SOCIALE
In tali casi il ‘possesso del reddito’ non può non identificarsi nella disponibilità delle somme di danaro (ossia degli interessi), disponibilità consistente nella possibilità di gestirle in nome e per conto proprio.
Tale facoltà, nella specie, deriva alla RAGIONE_SOCIALE, mandataria senza rappresentanza della Regione, non solo dalla circostanza (pacifica, in quanto affermata negli avvisi di accertamento) di essere la titolare dei rapporti di deposito bancario in conto corrente, ovvero
della fonte produttiva del reddito ex art. 44, comma 1, lett. a), t.u.i.r., ma anche dalle chiarissime disposizioni delle convenzioni tra Regione e società, a mente delle quali era riconosciuta a quest’ultima la facoltà di gestire le risorse assegnatele e le liquidità mediante diversi impieghi.
1.3. Il motivo va, pertanto, rigettato, essendosi la CTR conformata al seguente principio di diritto: « ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. a). d.P.R. n. 917/1986, in tema di redditi di capitali costituiti da interessi attivi sulle somme di danaro depositate in conti correnti bancari la nozione di ‘possesso del reddito’ si identifica con la disponibilità materiale del capitale e degli interessi e con la possibilità di gestire l ‘uno e gli altri in nome e per conto proprio».
Con il secondo motivo l’Agenzia lamenta la «violazione e falsa applicazione dell’art. 39 l. 21.11.2000 n. 342 e degli artt. 74 c. 1 dpr 22.1286 n. 917 e 26 c. 4 dpr 29.9.73 n. 600, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.»; sostiene, in particolare, che, per la sua generica formul azione, l’articolo 39 l. 342/2000 intende disciplinare il trattamento fiscale dei redditi generati dai fondi pubblici di agevolazione (costituiti con danaro statale o regionale), escludendo, tramite il riferimento all’art. 74 t.u.i .r., la soggettività passiva tributaria di Stato e Regioni in relazione all’IRES. L’art. 39 è, contrariamente a quanto ritenuto dalla CTR, norma risolutiva della questione agitata nel presente giudizio, ovvero della natura, di acconto o di imposta, della ritenuta operata dagli istituti di credito sugli interessi attivi maturati sulle somme stanziate nel fondo prima che vengano erogate ai beneficiari. Poiché l’art. 39 stabilisce che i redditi generati dal fondo sono redditi dello Stato o della Regione (anche se amministrati da soggetti terzi), le ritenute sugli stessi operate dalle banche sono a titolo di imposta ex art. 26, comma 4, d.P.R. n. 600/1973.
Il motivo , subito superando l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla controricorrente, in quanto la doglianza risulta specifica, è infondato.
Come approfonditamente argomentato dalla CTR, l’articolo 39 della legge 342/2000 fu introdotto per risolvere le incertezze interpretative sorte nel passato in ordine al trattamento tributario dei fondi pubblici di agevolazione, affidati in gestione a soggetti terzi; in particolare, il contenzioso (definito oneroso in sede di relazione della Sesta commissione permanente in Senato) vedeva in prevalenza coinvolto il Mediocredito centrale in relazione all’imponibilità dei fondi statali dal medesimo erogati; recependo l’orientamento giurisprudenziale di legittimità formatosi al riguardo, il legislatore dispose l’esclusione dall’IRPEG dei fondi pu bblici di agevolazione (unitamente ai rientri per capitale ed interessi), sia perché (come aveva precisato questa Corte) non costituivano reddito del gestore, essendo escluso un incremento del suo patrimonio dall’obbligo di integrale versamento nel fondo s tatale, sia perché, quale reddito dello Stato, le amministrazioni dello Stato non erano soggette ad imposta.
La norma, in definitiva, nacque per disciplinare un’ipotesi completamente diversa da quella per cui è causa: invero, contrariamente a quanto avviene nel caso sottoposto all’attenzione di questa Corte, gli interessi maturati sul capitale dei fondi statali erano tenuti presso conti infruttiferi della Tesoreria dello Stato (nella specie, invece, gli interessi vengono tenuti sugli stessi conti correnti bancari sui quali giacciono le somme destinate ai beneficiari delle agevolazioni); inoltre, ciò che maggiormente rileva, gli interessi erano vincolati a specifiche finalità ed utilizzati dal gestore solo a seguito di autorizzazione dei Ministeri competenti (nella specie, invece, la RAGIONE_SOCIALE ha piena libertà di gestire gli stessi, senza bisogno di autorizzazione alcuna).
Fatta questa premessa, deve convenirsi ulteriormente con la CTR quando afferma che le ritenute operate nella specie sui detti interessi attivi dalle banche non possono essere considerate a titolo di imposta, in quanto l’art. 26, comma quarto, cit. prevede tale tipo di ritenuta solo nei confronti dei soggetti esenti dall’imposta sul
reddito delle persone giuridiche, tra i quali rientra la Regione ex art. 74 t.u.i.r., ma non già la RAGIONE_SOCIALE, dall’ente partecipata, non essendo possibile una interpretazione estensiva di una norma di carattere derogatorio della disciplina sulla soggettività passiva dell’imposta.
Con il terzo motivo l’Ufficio lamenta la «violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 6, 74 c. 1, 79 c. 1 dpr 22.12.1986 n. 917; 1705 e 1713 cod. civ.; 26 c. 4 dpr 29.9.73 n. 600, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.»; sostiene, in particolare, che, attesa la natura della RAGIONE_SOCIALE di società in house providing e, quindi, di mandataria senza rappresentanza della Regione, gli interessi attivi erano in possesso della Regione, non avendo, in generale, la società in house providing autonomia dispositiva e gestionale, costituendo una mera articolazione dell’ente pubblico di riferimento.
Anche questo motivo è infondato.
La tesi avanzata dall’Erario circa l’esclusione della autonomia gestionale e, per l’effetto, della soggettività passiva di imposta delle società in house providing è stata recentemente sconfessata da questa Corte; si è, infatti, osservato che «in tema di reddito d’impresa, la società “in house providing” anche sotto il profilo fiscale è centro autonomo di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive rispetto all’ente locale che su di essa esercita il cd. “controllo analogo”, con conseguente sussistenza di autonomo titolo giuridico per dedurre i costi e detrarre l’IVA in relazione a contratti dalla stessa stipulati, operando essa come società di diritto privato» (Cass. 29/07/2021, n. 21658); la natura privatistica della società non «è incisa dall’eventualità del cd. controllo analogo, mediante il quale l’azionista pubblico svolge un’influenza dominante sulla società, così da rendere il legame partecipativo assimilabile ad una relazione interorganica che, tuttavia, non incide affatto sulla distinzione sul piano giuridico-formale, tra P.A. ed ente privato societario, che è pur sempre centro di imputazione di rapporti e
posizioni giuridiche soggettive diverso dall’ente partecipante» (Cass. 22/02/2019, n. 5346).
Si tratta di un orientamento ormai consolidato (v. anche Cass. n. 37951/2021, 34627/2024 e 32393/2024), dal quale non vi è motivo di discostarsi.
In base alle considerazioni svolte il ricorso va integralmente rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente l’Agenzia delle Entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 228 del 2012 (Cass. 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore di RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 28.000,00 per compensi, oltre esborsi liquidati in Euro 200,00, oltre rimb. spese forf. nella misura del 15% dei compensi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 1° aprile 2025.