Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24043 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24043 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 27/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 24099-2022 R.G., proposto da:
COGNOME NOME , c.f. NPTNGL72P05H823C, COGNOME NOME , c.f. CODICE_FISCALE, il primo nella qualità di socio ed ex liquidatore, la seconda nella qualità di ex legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, cancellata dal registro delle imprese, elettivamente domiciliati in Roma, al v.INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dalla quale, unitamente all’avv. NOME COGNOME sono rappresentati e difesi –
Ricorrenti
CONTRO
c.f. NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore
AGENZIA DELLE ENTRATE, p.t. –
Intimata
Avverso la sentenza n. 385/07/2022 pronunciata dalla Commissione tributaria regionale del Veneto, depositata il 10 marzo 2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio l’11 marzo 2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Operazioni sogg. inesistenti – Società estinta – Responsabilità ex art. 2945 c.c.
FATTI DI CAUSA
Dalla sentenza impugnata si evince che l’Agenzia delle entrate notificò agli odierni ricorrenti tre avvisi d’accertamento, relativi alle annualità 2010, 2011 e 2012, per il recupero dell’Ires, dell’Irap e dell’Iva dovuta dalla società RAGIONE_SOCIALE con sede in Austria ma operativa in Italia, che aveva del tutto omesso la presentazione delle dichiarazioni per i suddetti anni d’imposta.
Gli atti impositivi, in ragione della cancellazione e della estinzione della società, furono notificati a COGNOME NOMECOGNOME nella qualità di socio (al 50%) e amministratore di fatto, ed a COGNOME NOME, nella qualità di ultimo legale rappresentante soci ale (l’ulteriore destinatario, COGNOME NOME, socio al 50% e anch’egli ritenuto amministratore di fatto, è estraneo al presente giudizio).
L’erario aveva contestato alla società, formalmente austriaca, e per essa ai ricorrenti, la realizzazione di un sistema fraudolento che, a mezzo di operazioni soggettivamente inesistenti nel commercio intracomunitario di bevande, con il coinvolgimento di altre società cartiere italiane (cd missing trader (soprattutto la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE), aveva assicurato un giro di fatture false, la cui iva era dichiarata e non assolta, mentre i cessionari ne detraevano gli importi, e ciò con operazioni di importazione intracomunitaria, a volte effettivamente eseguite, a volte puramente formali, con merce che di fatto restava nel confine nazionale, pur risultando esportata. Da ciò, per ciascuna delle annualità accertate, il recupero delle imposte ai fini Iva, nonché ai fini Ires ed Irap, e l’irrogazione delle sanzioni.
I ricorrenti impugnarono gli atti dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Venezia, che con sentenza n. 493/04/2020 ne rigettò le ragioni. L’appello proposto alla Commissione tributaria regionale del Veneto fu respinto con sentenza n. 385/07/2022, ad eccezione che per le sanzioni. Per quanto qui di interesse, il giudice regionale, dopo aver riassunto la vicenda e le contestazioni elevate ai contribuenti, ha riconosciuto l’esterovestizione della società austriaca, ha riconosciuto la realizzazione di plurime condotte fraudolente, poste in atto a mezzo di operazioni soggettivamente inesistenti con la partecipazione di altre società, ha rigettato tutti i motivi d’appello, ad eccezione del quarto, afferente al le sanzioni (sull’assunto della non trasmissibilità ai soci ed ai liquidatori).
Avverso la pronuncia i ricorrenti hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a otto motivi. L’Agenzia delle entrate, cui pur risulta ritualmente notificato il ricorso, non ha inteso resistere.
Nell’ a dunanza camerale dell’11 marzo 2025 la causa è stata trattata e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I ricorrenti hanno denunciato:
con il primo motivo la « Nullità della sentenza per violazione dell’art. 360 comma 1 n. 3, 4 e 5 c.p.c. in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e all’art. 112 c.p.c.: violazione di norme di diritto e omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (errata applicazione art. 28 comma 4 del D.Lgs. 175/2014)». Il giudice regionale avrebbe erroneamente ritenuto applicabile la disciplina regolativa della ultrattività quinquennale della società, secondo la norma richiamata, laddove la società era stata cancellata dal 10 settembre 2014, mentre l’art. 28 cit. è entrato in vigore dal 13 dicembre 2014 e, per trattasi di disciplina priva di efficacia retroattiva, non poteva applicarsi al caso di specie.
Il motivo, per quanto l’affermazione del giudice regionale sia errata, ed in tal senso la motivazione va corretta, è privo di interesse e va rigettata nei riguardi del COGNOME. Quanto alla posizione per la quale è stata attinta dagli atti impositivi la COGNOME, sebbene le ragioni addotte siano corrette, per quanto appresso chiarito ad esse seguono conseguenze sulla legittimazione processuale della ricorrente stessa.
Premesso che la cancellazione, anche volontaria, della società dal registro delle imprese, e la sua estinzione, è regolamentata dall’art. 2495 cod. civ., tale norma, ratione temporis vigente, prevedeva solo che «Approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese. Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società».
Successivamente, l’art. 28, comma 4, del d.lgs. 21 novembre 2014, n. 175, che della norma del codice costituisce una integrazione nei limiti della sua area applicativa, ha prescritto che «ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui a quest’articolo ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese».
In ordine all’applicazione temporale della disciplina sul differimento quinquennale degli effetti dell’estinzione della società, questa Corte ha chiarito che essa opera nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, nonché degli altri enti creditori o di riscossione indicati, limitatamente a tributi o contributi. Ciò, tuttavia afferisce esclusivamente alle ipotesi nelle quali la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese, che costituisce presupposto di tale differimento, sia stata presentata nella vigenza della disposizione, e pertanto a partire dal 13 dicembre 2014. La norma infatti reca disposizioni di natura sostanziale sulla capacità della società cancellata dal registro delle imprese e non ha pertanto efficacia retroattiva (Cass., 2 aprile 2015, n. 6743; 21 febbraio 2020, n. 4536; 27 dicembre 2024, n. 34549).
Nel caso di specie risulta incontestato che la richiesta di cancellazione fu presentata il 10 settembre 2014, così che il differimento quinquennale era inapplicabile. Ne consegue che la COGNOME, chiamata a rispondere nella qualità di amministratrice della società, proprio perché questa risultava estinta ben prima della notifica del l’atto impositivo, era del tutto priva della capacità di rappresentare un soggetto ormai cessato , e per l’effetto , costituendosi espressamente in tale veste, era carente della legittimazione processuale alla proposizione di qualunque ricorso. Emerge, dunque, ex actis un motivo di improcedibilità dell’intero processo introdotto originariamente dalla ricorrente, difetto processuale che è sollevabile d’ufficio.
Se infatti la società era stata cancellata e si era estinta in epoca anteriore al promovimento del contenzioso, neppure il suo ex amministratore e legale rappresentante p.t. aveva legittimazione a proporre il ricorso introduttivo (cfr. Cass., 29 novembre 2021 n. 37256). Questa Corte ha infatti avvertito che nel contenzioso tributario la cancellazione della società dal registro delle imprese, con la sua conseguente estinzione, prima della notifica dell’avviso di
RGN 24099/2022
accertamento o comunque dell’instaurazione del giudizio di primo grado, determina il difetto di capacità processuale e dunque il difetto di legittimazione del suo rappresentante (Cass., 19 settembre 2019, n. 23365; 21 dicembre 2018, n. 33278). Si elimina così ogni possibilità di prosecuzione dell’azione da parte del medesimo. In tali condizioni versava dunque la COGNOME.
Né si evince dalla sentenza che la ricorrente fosse stata chiamata a rispondere ex art. 36, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ciò per cui, in ogni caso, sarebbe stata necessaria la notificazione di un apposito avviso di accertamento ai sensi degli artt. 36, comma 5, del citato d.P.R. e 60 d.P.R. n. 600 del 1973 (cfr. Sez. U, 12 febbraio 2025, n. 3625).
Pertanto, riconducendo la controversia nel suo binario, rispetto alla notifica di un avviso d’accertamento per debiti fiscali di una società ormai estinta, e per la quale risulta aver impugnato il pur inutile atto impositivo un soggetto del tutto privo di poteri rappresentativi, per essere quella società ormai giuridicamente inesistente, emerge che la causa non poteva essere neppure proposta dalla COGNOME, né tanto meno il processo proseguito. Si tratta, come già affermato, di questione rilevabile d’uffici o.
La sentenza d’appello, pertanto va cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382, terzo comma, ultima parte, cod. proc. civ., limitatamente alla COGNOME attesa l’inammissibilità del ricorso originario proposto dalla medesima.
Conclusioni diverse vanno raggiunte con riguardo invece alla posizione del Nopetti, che invece, oltre che per l’addebitato ruolo di amministratore di fatto della società, è stato chiamato a rispondere nella qualità di socio (al 50%) della medesima. In questo caso opera direttamente la disciplina dell’art. 2495 c.c., così che nei suoi riguardi l’amministrazione finanziaria ha correttamente indirizzato gli atti impositivi, trattandosi di successore della società.
È infatti incontestato che il COGNOME risulti destinatario degli avvisi proprio in ragione della estinzione della società, ed ai fini delle imposte evase.
Ne discende che il motivo è infondato per il COGNOME e va rigettato quanto alla sua posizione.
Con il secondo motivo nel ricorso si lamenta la « Nullità della sentenza per violazione dell’art. 360 comma 1 n. 3, 4 e 5 c.p.c. in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e all’art. 112 c.p.c.: violazione di norme di diritto e
RGN 24099/2022
omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (errata applicazione della responsabilità ex 2495, 2° comma, del c.c. in capo ai ricorrenti in qualità di ex soci, ex amministratori ed ex liquidatori per il pagamento dei debiti della società estinta) ». I ricorrenti (sebbene, per quanto statuito con il primo motivo, la posizione della COGNOME è ormai processualmente inammissibile, e ciò varrà per tutti i successivi motivi) sostengono che mancavano le ragioni per le quali l’ufficio avrebbe riconosciuto la loro responsabilità per i debiti sociali.
Per quanto comprensibile, i ricorrenti sostengono la mancanza di ragioni per le quali potevano essere ritenuti responsabili e chiamati a rispondere dei debiti sociali. Tali ragioni dovevano essere fondate su uno specifico atto, motivato e successivo, in cui venivano evidenziate le condizioni stabilite dagli artt. 2495 c.c. e 36 del d.P.R. n. 602 del 1973.
Il motivo è privo di pregio. Gli avvisi di accertamento esulano del tutto dalla disciplina dell’art. 36 cit., infatti mai richiamata dall’Amministrazione finanziaria, che invece ha indirizzato gli atti impositivi nei confronti dei ricorrenti ai sensi dell’ art. 2945, secondo comma, cod. civ., in considerazione del fenomeno successorio disciplinato dalla suddetta norma (oltre che per le sanzioni). Non è affatto condivisibile quanto sostenuto nel ricorso, secondo cui sarebbe stato necessario un preliminare accertamento nei confronti della società, ai fini della certezza del credito erariale, così adombrandosi che in mancanza di un atto notificato alla società, e ormai estinta, i soci non potrebbero rispondere ex art. 2495, secondo comma, c.c., per assenza di un credito certo, esistente al momento della cancellazione.
Il significato e la funzione del fenomeno successorio previsto e regolato dalla norma civilistica è esattamente opposto a quanto affermano i contribuenti, che evidentemente non tengono conto del principio secondo cui, con la riforma del diritto societario, attuata dal d.lgs. n. 6 del 2003, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci (Sez. U., 12 marzo 2013, n. 6070). Ciò non implica affatto che il credito sia già certo al momento della estinzione della compagine
sociale, ma può essere ancora oggetto di accertamento, anche nell’an, potendo i soci successori contestarne la stessa esistenza, oltre che il quantum.
È utile evidenziare che nel caso di specie, controvertendosi in merito al maggior imponibile ai fini delle II.DD e dell’Iva, derivante da operazioni soggettivamente inesistenti, di certo nulla poteva evincersi nel bilancio sociale. È altrettanto chiaro, poi, che la preesistenza del debito sociale non deve coincidere con la sua certezza al momento della estinzione della società, potendo essere ancora giudizialmente contestato o contestabile, e ciò comprende anche gli eventuali crediti non ancora attivati, ma non prescritti, sia pur nei limiti e nei termini segnati da questa Corte, per la quale « nella fattispecie di responsabilità dei soci limitatamente responsabili per il debito tributario della società estintasi per cancellazione dal registro delle imprese, il presupposto dell’avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazi one, di cui al 3^ (già 2^) co. dell’art. 2495 cod. civ., integra, oltre alla misura massima dell’esposizione debitoria personale dei soci, una condizione dell’azione attinente all’interesse ad agire e non alla legittimazione ad causam dei soci stessi; questo presupposto, se contestato, deve conseguentemente essere provato dal Fisco che faccia valere, con la notificazione ai soci ex artt. 36 co. 5^ d.P.R. n. 602/73 e 60 d.P.R. 600/73 di apposito avviso di accertamento, la responsabilità in questione, fermo r estando che l’interesse ad agire dell’Amministrazione finanziaria non è escluso per il solo fatto della mancata riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, potendo tale interesse radicarsi in altre evenienze, quali la sussistenza di beni e diritti che, per quanto non ricompresi in questo bilancio, si siano trasferiti ai soci, ovvero l’escussione di garanzie; la verifica del presupposto dell’avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, concernendo un elemento che deve essere dedotto nella fase di accertamento da indirizzarsi direttamente nei confronti dei soci ex art. 36 co. 5^ d.P.R. n. 602/73, non può avere ingresso nel giudizio di impugnazione introdotto dalla società avverso l’avviso di accertamento ad ess a originariamente notificato, quand’anche questo giudizio venga poi proseguito, a causa dell’estinzione della società per cancellazione dal registro delle imprese, da o nei confronti dei soci quali successori della società stessa» (Sez.
U, 12 febbraio 2025, n. 3625).
Il motivo va pertanto rigettato.
Con il terzo ci si duole della « Nullità della sentenza per violazione dell’art. 360 comma 1 n. 3, 4 e 5 c.p.c. in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e all’art. 112 c.p.c.: violazione di norme di diritto e omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (errata applicazione della responsabilità ex 2495, 2° comma, del c.c. in capo al signor COGNOME NOME in qualità di socio) ». La Commissione regionale avrebbe ignorato proprio le regole desumibili dalla richiamata norma, per la quale i soci rispondono sino alla concorrenza delle somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione e pertanto la pronuncia non avrebbe tenuto conto che, in assenza di assegnazioni ai soci, non si era costituito alcun titolo successorio nella sfera giuridica dei soci su beni su cui attivare una pretesa impositiva.
Il motivo è infondato per quanto già chiarito nel secondo motivo. Il ricorrente non considera, peraltro, che gli atti impositivi afferivano a imponibili e ricavi derivanti da operazioni frodatorie, commesse a mezzo di operazioni soggettivamente inesistenti, i cui redditi occultati non potevano di certo transitare nel bilancio finale, né in alcuna documentazione contabile riconducibile formalmente alla società.
Con il quarto si denuncia la «N ullità della sentenza per violazione dell’art. 360 comma 1 n. 3, 4 e 5 c.p.c. in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e allCart. 112 c.p.c.: violazione di norme di diritto e omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ( errata applicazione della responsabilità ex 2495, 2° comma, del c.c. in capo al signor COGNOME NOME in qualità di liquidatore) ».
Il motivo non coglie nel segno perché ignora il tenore della decisione impugnata, dalla quale in nessuno dei passaggi motivazionali, o della ricostruzione del fatto, risulta che il COGNOME sia stato chiamato a rispondere dall’Amministrazione finanziaria a titolo di liquidatore.
Con il quinto si lamenta la « Nullità della sentenza per violazione dell’art. 360 comma 1 n. 3, 4 e 5 c.p.c. in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e all’art. 112 c.p.c.: violazione di norme di diritto e omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (errata applicazione della responsabilità ex 2495, 2° comma, del c.c. in capo alla signora COGNOME NOME in qualità di amministratore) ». Il giudice d’appello avrebbe ignorato che la COGNOME era stata attinta dagli atti impositivi in
violazione dell’art. 2945, secondo comma, c.c., che non contempla l’amministratore tra coloro nei cui confronti il creditore, compreso quello erariale, può far valere i suoi crediti (salvo specifiche contestazioni ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 602, c he risulta tuttavia ipotesi esulante dal caso di specie).
Il motivo è assorbito dalle ragioni esplicitate in riferimento al primo, nei termini di cui in motivazione.
Con il sesto si censura la « Nullità della sentenza per violazione dell’art. 360 comma 1 n. 3, 4 e 5 c.p.c. in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e all’art. 112 c.p.c.: violazione di norme di diritto e omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ( errata applicazione della responsabilità ex 2495, 2° comma, del c.c. in capo al signor COGNOME NOME in qualità di amministratore di fatto) ».
Il motivo è inammissibile per le stesse ragioni illustrate con riferimento al secondo, dovendo il COGNOME rispondere nella qualità di socio.
Con il settimo ci si duole della « Nullità della sentenza per violazione dell’art. 360 comma 1 n. 3, 4 e 5 c.p.c. in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e all’art. 112 c.p.c.: violazione di norme di diritto e omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (illegittimità della sentenza nella parte in cui non ha accolto il vizio relativo alla violazione dell’art. 19 del D.Lgs. 46/1999) ». Il giudice regionale avrebbe ignorato che la disciplina dell’art. 36 cit. può riguardare solo le imposte dirette e non l’Iva.
In disparte che gli avvisi d’accertamento de quo riguardano anche le riprese a titolo di Ires ed Irap, il motivo è comunque inammissibile difettando l’interesse del ricorrente, perché l’amministrazione finanziaria non ha elevato alcun addebito nei suoi confronti ai sensi dell’art. 36 cit. Il Nopetti, si ribadisce, risponde nella sua qualità di socio quale successore della società ex art. 2495 c.c.
Con l’ottavo si lamenta la « Nullità della sentenza per violazione dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c all’art. 112 c.p.c.: omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (errata separazione del procedimento n. 164/2018 dal procedimento RGR n. 994/2017 a cui sono rimasti riuniti solo i procedimenti nn. 162 e 163/2018) » .
RGN 24099/2022
Il motivo è inammissibile, perché relativo ad una presunta irregolarità in ordine alla riunione ai tre giudizi, oggetto della sentenza qui al vaglio della Corte, di un quarto procedimento (il n. 994/2017), che è invece risultato definito con autonoma sentenza, peraltro neppure impugnata. A fronte della mancata impugnazione della diversa sentenza, e dunque della sua definitività, risulta improponibile in questa sede un motivo di ricorso per mancata riunione di un altro processo.
In definitiva limitatamente alla COGNOME la sentenza va cassata e, sempre nei limiti della sua posizione, ai sensi dell’art. 382 , terzo comma, c.p.c., va dichiarato inammissibile il suo ricorso introduttivo. Va invece rigettato integralmente il ricorso del COGNOME.
Considerato che l’Agenzia delle entrate è rimasta intimata, nulla va regolato sulle spese.
Devono invece riconoscersi i presupposti per dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, di cui all’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 115 del 2002. Ciò nei confronti della COGNOME tenendo conto che la cassazione della sentenza impugnata non è dipesa dall’accoglimento dei motivi spiegati dalla ricorrente , rivelandosi anzi inammissibile il suo ricorso introduttivo e dunque anche quello promosso in sede di legittimità (cfr. Cass., 9 maggio 2023, n. 12424); nei confronti del COGNOME perché soccombente su tutti i motivi di ricorso.
P.Q.M.
La Corte cassa la sentenza impugnata nei limiti di cui in motivazione e, ai sensi dell’art. 382, terzo comma, c.p.c., dichiara inammissibile il ricorso introduttivo della COGNOME; rigetta il ricorso del Nopetti. A i sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, l’11 marzo 2025 .