Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23939 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 23939 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/08/2025
ORDINANZA
n. 248/2016 R.G.
COGNOME
Rep.
A.C. 12 giugno 2025
sul ricorso (iscritto al n. 248/2016 R.G.) proposto da:
COGNOME , nato a Dolcè (VR) il 6 giugno 1939 e residente in Verona, alla INDIRIZZO (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE) e COGNOME , nato a Dolcè (VR) il 2 marzo 1944 e residente in Verona, alla INDIRIZZO (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE), entrambi elettivamente domiciliati in Roma, al INDIRIZZO presso lo studio legale COGNOME & COGNOME, unitamente all’avv. NOME COGNOME che li rappresenta e difende, giusta procura speciale in calce al ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità (indirizzo p.e.c. del difensore : EMAIL);
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliata ‘ ope legis ‘ presso gli uffici di quest’ultima, siti in Roma, alla INDIRIZZO (indirizzo p.e.c.: EMAIL);
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto (Venezia-Mestre, Sezione distaccata di Verona) n. 718/15/2015, pubblicata il 20 aprile 2015;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 12 giugno 2025, dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.- In punto di fatto e limitando l’esposizione alle sole circostanze rilevanti in questa sede, si osserva che oggetto del contenzioso sono avvisi di accertamento IRPEF, IRAP e IVA per gli anni 2007 e 2008, emessi a carico della società RAGIONE_SOCIALE, cancellata nel l’anno 2008 e dei suoi due soci RAGIONE_SOCIALE NOME e Sartori Umberto.
Tali accertamenti traevano origine da un p.v.c. della Guardia di Finanza, rilevandosi la mancata esibizione delle scritture contabili e riconoscendosi, per il 2008, i componenti negativi come dichiarati ma ricostruendo i positivi, poiché ritenuti non interamente dichiarati, in considerazione di vari elementi e applicando, sull’importo di quelli negativi , una percentuale ricavata dalle medie di settore. Inoltre, per l’anno d’imposta 2007, veniva accertata anche una differenza per i componenti negativi per mancato riconoscimento di costi.
Con i ricorsi proposti sia dalla società che dai soci dinanzi la Commissione Tributaria Provinciale di Verona, venivano dedotti vari profili di illegittimità, tra cui, in particolare, la nullità dell’accertamento emesso nei confronti della società, perché estinta.
Con la sentenza di primo grado, la CTP accoglieva il ricorso della società a seguito della sua estinzione, ma respingeva quelli dei soci affermando che questi erano obbligati a titolo personale, trattandosi di società di persone.
2.- Proponevano appello i contribuenti, censurando la sentenza di primo grado, in particolare perché la nullità dell’accertamento a carico della società non era stata estesa nei confronti dei soci.
La CTR del Veneto (Venezia-Mestre, Sezione distaccata di Verona), con la sentenza impugnata, rigettava l’appello dei soci e dichiara va inammissibile quello della società. Affermava, in particolare, che, all’esito dell’estinzione , si era determinato un fenomeno para-successorio a carico
dei soci. L’inammissibilità dell’appello della società ven iva giustificata, invece, in base all’avvenuta estinzione.
La sentenza, inoltre, affermava di accogliere l’appello incidentale dell’ a mministrazione finanziaria con cui quest’ultima aveva chiesto che fosse riconosciuta la carenza di legittimazione ad impugnare a carico della società.
3.- Avverso la menzionata sentenza d’appello , i contribuenti RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (ex soci della estinta società RAGIONE_SOCIALE hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
4.- L ‘Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 336 c.p.c., 5 d.P.R. n. 917 del 1986, 65 d.P.R. n. 600 del 1973 e 2495 c.c..
Sostengono, al riguardo, che, se l’accertamento è stato dichiarato nullo perché effettuato su una società estinta, esso non può essere produttivo di effetti e invasivo sugli interessi dei soggetti che, quand’anche imputabili ex lege, hanno tutto il diritto di veder rispettato l’iter normativo previsto nello sviluppo del procedimento ammnistrativo. Ciò, evidentemente, a tutela degli interessi privati e pubblici.
Evidenziano, altresì, come nella specie, la società RAGIONE_SOCIALE , al momento dell’accertamento fosse una società già estinta, cosicché gli atti notificati ed impugnati erano stati emessi a carico di un soggetto inesistente , mentre, d’altro canto, gli ex soci non potevano essere ritenuti automaticamente obbligati sulla base di un atto presupposto nullo.
Né, del resto, secondo la prospettazione dei ricorrenti, assumerebbe rilevanza alcuna l ‘ art. 5 d.P.R. n. 917 del 1986 (cd. TUIR) che permette di rendere eventualmente responsabili i soci a seguito di un accertamento ex novo.
In definitiva, con il primo motivo, i ricorrenti sostengono che la declaratoria di nullità dell’accertamento della società travolgerebbe anche quello emanato a carico dei soci, in quanto l’imputazione a questi ultimi
del reddito ex art. 5 TUIR sarebbe diretta conseguenza del reddito invalidamente accertato a carico della società.
2.- Con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’ a rt. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c..
Sostengono, al riguardo, che l’amministrazione finanziaria non avrebbe fornito dimostrazione circa la legittimità a sottoscrivere l’avviso di accertamento sia da parte del funzionario delegante che di quello delegato.
3.- Con il terzo motivo, i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) e n. 5), c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 5, l. n. 212 del 2000, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti. Tale fatto consisterebbe nel superamento del termine massimo per la verifica, così come previsto dall’art. 12 , comma 5, l. n. 212 del 2000.
Sostengono che la CTR, nel caso di specie, abbia ritenuto trattarsi di « solo vizio formale » la circostanza che la verifica sia durata quattro mesi ovvero ben oltre i termini previsti dall’art. 12, comma 5, l. n. 212 del 27 luglio 2000 (cd. Statuto del contribuente).
Secondo la prospettazione del ricorrenti, invece, non vi sarebbe dubbio alcuno che l’avviso di accertamento che recepisce le risultanze di una verifica fiscale protrattasi oltre termini di legge è da considerarsi nullo.
Affermano, infine, che non sarebbe possibile conoscere quale sia stato l’iter logico seguito dalla sentenza impugnata per ritenere che il superamento della durata della verifica, prevista dalla norma, abbia costituito un mero vizio formale.
4.- Con il quarto (e ultimo) motivo, i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 l. n. 212 del 2000, in quanto l’avviso di accertamento non sarebbe stato motivato, particolarmente con riguardo alla missiva spedita dai contribuenti. L’amministrazione avrebbe affermato unicamente la mancata allegazione di documenti da parte dei contribuenti.
Evidenziano che, per principio di matrice giurisprudenziale, ove il provvedimento impugnato risulti viziato da carenza di motivazione, il giudice tributario deve limitarsi ad una pronuncia di annullamento, senza
proseguire ulteriormente l’indagine sull’effettiva sussistenza del debito di imposta e sostituirsi quindi all ‘a mministrazione finanziaria nell ‘ attività di accertamento.
5.- L a prima delle suddette censure è senz’altro fondata, con conseguente assorbimento delle restanti.
Ed invero, come chiarito da questa Corte regolatrice, « l’annullamento dell’avviso di accertamento notificato alla società, sancito con sentenza passata in giudicato, spiega i suoi effetti a favore di tutti i soci, i quali possono opporlo alla amministrazione finanziaria, che è stata parte in causa nel relativo processo (esercitando quindi, senza limitazioni di sorta il diritto di difesa). A meno che l’annullamento non sia stato pronunciato per tardiva notifica dell’atto impositivo (decadenza), o per altra causa non rapportabile ai soci (ad es. nullità della notifica, vizi di motivazione dell’atto notificato alla società che non ricorra anche nell’avviso notificato ai soci) .» (cfr., al riguardo, Cass. civ., Sez. T, ordinanza n. 32120 del 21 novembre 2023, Rv. 669582-01, in motivazione).
Orbene, con espresso riguardo alla fattispecie in esame, non è chi non veda come la pronuncia impugnata non abbia fatto corretta applicazione dei principi sopra enucleati, non avendo esteso l’annullamento dell’avviso di accertamento notificato alla società RAGIONE_SOCIALE anche a quelli emessi a carico degli ex soci e odierni ricorrenti, benché l’annullamento di cui si tratta fosse scaturito dall’ intervenuta estinzione della società (mediante cancellazione della stessa dal registro delle imprese) in epoca anteriore a ll’emissione di tale atto impositivo e, dunque, da ragioni non suscettibili di essere annoverate tra quelle riguardanti esclusivamente la società e non rapportabili ai soci.
Al riguardo, è da chiarire, infatti, come la sentenza di primo grado non si fosse attenuta al principio secondo cui la cancellazione della società dal registro delle imprese e la conseguente estinzione prima della notifica dell’avviso di accertamento e del la instaurazione del giudizio di primo grado determina il difetto della sua capacità processuale ed il difetto di legittimazione a rappresentarla dei soci, sicché l’accertamento del difetto di legitimatio ad causam sin da prima che venga instaurato il primo grado di giudizio, secondo giurisprudenza costante, esclude ogni possibilità di prosecuzione dell’azione limitatamente alla società (cfr., in tal senso,
Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 20961 del 22 luglio 2021, non massimata; cfr., altresì, Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 21188 dell’8 ottobre 2014, Rv. 632893-01, in motivazione; Cass civ., Sez. 5, ordinanza n. 22863 del 3 novembre 2011, Rv. 619700-01) . In tale ottica, dunque, la CTP di Verona, avrebbe dovuto dichiarare l’improponibilità del ricorso avanzato, in primo grado, dalla società RAGIONE_SOCIALE ormai estinta, anziché accoglierlo e pronunciare l’annullamento dell’atto impositivo emesso a carico della predetta.
Nondimeno, in ordine a tale profilo risulta essersi formato un giudicato interno, atteso che la pronuncia di primo grado (e, in particolare, la statuizione di annullamento dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della estinta società RAGIONE_SOCIALE) è stata confermata dalla CTR, con la sentenza impugnata, la quale ha sì accolto l’appello incidentale dell’amministrazione finanziaria, ma solo in ordine alla « carenza di legittimazione ad impugnare in appello della società » (cfr., all’uopo, il penultimo capoverso della motivazione della sentenza d’appello) e non già con riguardo alla « carenza di legittimazione anche in relazione all’impugnazione dell’atto in primo grado riferito alla società » (cfr. sempre il penultimo capoverso della motivazione della sentenza d’appello), senza che tale statuizione abbia formato oggetto di specifica impugnazione in sede di legittimità, da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Né, del resto, risulta possibile fare applicazione del consolidato orientamento di questa Corte secondo cui « In tema di contenzioso tributario, la cancellazione dal registro delle imprese, con estinzione della società prima della notifica dell’avviso di accertamento e dell’instaurazione del giudizio di primo grado, determina il difetto della sua capacità processuale e il difetto di legittimazione a rappresentarla dell’ex liquidatore, sicché eliminandosi ogni possibilità di prosecuzione dell’azione, consegue l’annullamento senza rinvio, ex art. 382 c.p.c., della sentenza impugnata con ricorso per cassazione, ricorrendo un vizio insanabile originario del processo, che avrebbe dovuto condurre da subito ad una pronuncia declinatoria di merito. » (cfr., all’uopo ed ex multis , Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 21125 del 24 agosto 2018, non massimata; Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 33278 del 21 dicembre 2018, Rv. 65212001). E ciò, in quanto il rapporto tributario intercorrente tra
l’amministrazione finanziaria (quale creditrice) e l’estinta società RAGIONE_SOCIALE (quale debitrice) non è stato in alcun modo devoluto alla cognizione di questa Corte di legittimità, la quale – alla stregua dei motivi di impugnazione sviluppati nel ricorso introduttivo e delle osservazioni difensive contenute nel controricorso – ha ad oggetto esclusivamente il rapporto impositivo riguardante ciascuno degli ex soci RAGIONE_SOCIALE e COGNOME Umberto e scaturente dall’applicazione dell’ art. 5 d.P.R. n. 917 del 1986 (cd. TUIR).
6.Dalle considerazioni finora sviluppate, deriva, dunque, l’accoglimento del primo motivo, con assorbimento dei restanti.
Deve, di conseguenza , disporsi, ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c., la cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può senz’altro essere decisa nel merito, con accoglimento del ricorso originariamente proposto dai contribuenti Sartori NOME e Sartori Umberto.
7.- In ragione della natura delle questioni affrontate, sussistono motivi idonei a giustificare l’integrale compensazione delle spese processuali sia della presente fase di legittimità che dei gradi di merito.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie i ricorsi originariamente proposti dai contribuenti RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE dichiara interamente compensate le spese del presente giudizio di legittimità, nonché quelle relative ai gradi di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria,