Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10430 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10430 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/04/2025
Oggetto: Tributi
Società estinta – art. 28 del
d.lgs. n. 175/2014- effetti.
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 2089 del ruolo generale dell’anno 2020, proposto
Da
NOME COGNOME, NOME COGNOME in qualità di ex soci di RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME in qualità di ex liquidatore di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione società cancellata dal registro delle imprese in data 30.9.2015 rappresentati e difesi, giusta procura speciale su foglio separato congiunto al ricorso, dall’Avv.to NOME COGNOME elettivamente domiciliati presso lo studio Legale COGNOME sito in Roma alla INDIRIZZO
-ricorrenti-
contro
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore ;
-intimata – per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, n. 4903/02/2019, depositata in data 4 giugno 2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME di Nocera;
RILEVATO CHE
Dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata e dagli atti di causa si evince che: a seguito di p.v.c. della Guardia di Finanza di Positano del 28.2.2015, l’Agenzia delle entrate aveva emesso , per l’anno 2012, un avviso di accertamento nei confronti di RAGIONE_SOCIALE -società a ristretta base azionaria, cancellata dal registro delle imprese in data 30.9.2015 -notificandolo all'(ex) liquidatore NOME COGNOME e agli (ex) soci NOME COGNOME e NOME COGNOME con il quale aveva ripreso a tassazione costi indebitamente dedotti, ai fini Ires, Irap e detratti ai fini Iva, in quanto documentati da fatture generiche e/o ritenuti non inerenti – perché relativi a lavori di ristrutturazione di un immobile in Furore di proprietà di un soggetto estraneo alla società – oltre interessi e sanzioni.
Avverso il suddetto avviso, l'(ex) liquidatore e gli (ex) soci proponevano ricorsi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Salerno che, previa riunione, con sentenza n. 659/08/2018, li rigettava nei sensi di cui in motivazione, ritenendo la responsabilità sussidiaria dei soci nei limiti di quanto dagli stessi riscosso nell’ambito del piano finale di riparto di liquidazione.
Avverso la predetta sentenza, NOME COGNOME nella qualità di ex liquidatore della società e i suddetti (ex) soci, proponevano appello principale e l’Agenzia delle entrate appello incidentale (in ordine agli asseriti limiti di responsabilità dei
soci della RAGIONE_SOCIALE estinta) dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, che, con sentenza n. 4903/02/2019, depositata in data 4 giugno 2019, rigettava l’appello principale e accoglieva quello incidentale.
In punto di diritto, per quanto di interesse, il giudice di appello ha osservato che: 1) non era ravvisabile alcuna carenza di motivazione né dell’avviso di accertamento né della sentenza impugnata, né tantomeno la lamentata carenza del contraddittorio endoprocedimentale; 2) i contribuenti non avevano provato alcunché in relazione alla contestata inerenza dei costi; si confermava la indeducibilità dei costi di cui alle fatture riportando le stesse una descrizione assolutamente generica con preclusione del controllo circa la inerenza delle spese alla attività svolta dalla società in ciascun anno di riferimento; 3) attesa l’ultrattività quinquennale dell’atto notificato, era fondato l’appello incidentale dell’Agenzia per cui non operava la limitazione della responsabilità dei soci in base a quanto riscosso in sede di piano di riparto del bilancio finale di liquidazione.
Avverso la sentenza di appello, NOME COGNOME, NOME COGNOME in qualità di ex soci di RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME in qualità di ex liquidatore della società estinta, propongono ricorso per cassazione affidato a otto motivi.
Rimane intimata l’Agenzia delle entrate.
In data 21 febbraio 2025, i ricorrenti hanno depositato, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., copia della sentenza penale di assoluzione n. 576/2021 emessa dal Tribunale di Salerno, sezione dibattimentale, in data 24.2.2021 nell’ambito di procedimento penale a carico di COGNOME NOME ‘perché il fatto non sussiste’, con attestazione di irrevocabilità della sentenza medesima dal 9 luglio 2021.
In data 26.2.2025, i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE
Occorre preliminarmente esaminare la questione della legittimazione attiva degli odierni ricorrenti, qualificatisi in giudizio come ex soci ed ex liquidatore di una società di capitali cancellata dal registro delle imprese, profilo che riguarda la valutazione delle conseguenze derivanti dall’estinzione della società che è suscettibile d’esame d’ufficio da parte del giudice ( ex multis, Cass. 15/05/2018, n. 11744).
1.1. In punto di fatto, dagli atti di causa emerge che l’avviso di accertamento è stato notificato, dopo la cancellazione della società – avvenuta in data 30.9.2015 (la cui domanda era stata presentata il 25.9.2015) – a COGNOME NOME, quale ex liquidatore, e a COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali ex soci, e che gli stessi hanno proposto, nelle rispettive qualità, i ricorsi originari nel 2017, e l’appello principale nel 2018.
1.2. Nella vicenda in esame, trova applicazione il differimento quinquennale degli effetti dell’estinzione della società derivanti dall’art. 2495 cod. civ., comma 2, che, ai sensi dell’art. 28, comma 4, del decreto legislativo n. 175 del 2014, opera soltanto nei confronti dell’Amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione indicati, con riguardo a tributi o contributi, e che si applica esclusivamente ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese, che costituisce il presupposto di tale differimento, sia stata presentata nella vigenza della disposizione, e, pertanto, il 13 dicembre 2014 o successivamente (come nel caso di specie, in data 25.9.2015), in quanto la norma reca disposizioni di natura sostanziale sulla capacità della società cancellata dal registro delle imprese e non ha pertanto efficacia retroattiva (Cass., 4 novembre 2021, n. 31846; Cass., 21 febbraio 2020, n. 4536; Cass., sez. 5, sentenza n. 20692 del 2024).
1.3. E’ noto che l’art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2014 prevede che Ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese . Tale disposizione, in forza di consolidata giurisprudenza di questa Corte (per prima
Cass. 02/04/2015, n. 6743, poi tra le tante Cass. 21/02/2020, n. 4536), è stata ritenuta norma di natura sostanziale sulla capacità delle società cancellate dal registro delle imprese, non ha valenza interpretativa, neppure implicita, e non ha, quindi, efficacia retroattiva; pertanto il differimento quinquennale (operante nei confronti soltanto dell’amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione indicati nello stesso comma, con riguardo a tributi o contributi) degli effetti dell’e stinzione della società derivanti dall’art. 2495, secondo comma, cod. civ., si applica esclusivamente ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese (che costituisce il presupposto di tale differimento) sia presentata nella vigenza della nuova disciplina di detto d.lgs., ossia il 13 dicembre 2014, o successivamente- come nel caso di specie – ed è pertanto rilevante nella fattispecie in esame, alla luce della premessa in fatto sopra esposta.
1.4. Occorre quindi esaminare la rilevanza di tale disposizione in tema di rappresentanza processuale dell’ente societario. Sul punto deve ritenersi, conformemente all’opinione della prevalente dottrina ed agli arresti di questa Corte sul punto specifico (Cass. 31/05/2022, n. 17492; Cass. 3/06/2021, n. 15320), che la norma non si limiti a prevedere una posticipazione degli effetti dell’estinzione al solo fine di consentire e facilitare la notificazione dell’atto impositivo. Il liquidatore deve necessariamente conservare tutti i poteri di rappresentanza della società, sul piano sostanziale e processuale, nella misura in cui questi rispondano ai fini indicati dall’art. 28, comma 4, che, altrimenti opinando, non potrebbe operare. Pertanto, egli deve potere non soltanto ricevere le notifiche degli atti dagli enti creditori, ma anche opporsi agli stessi e conferire mandato alle liti, come è confermato da lla circostanza che l’estinzione è posticipata anche ai fini della efficacia e validità degli atti del contenzioso. Questa stessa Corte (Cass. 2/04/2015, n. 6743) ha già infatti avuto modo di precisare, sebbene in una fattispecie alla quale la disposizione non era applicabile, che per atti di (…) contenzioso debbono intendersi gli atti del processo, perché, nell’impreciso lessico della legge delega n. 23 del 2014 (alla cui stregua, come è noto, deve procedersi nell’interpretazione dei decreti
legislativi di attuazione), si intende per contenzioso tributario il processo tributario e la tutela giurisdizionale (espressioni usate promiscuamente nella rubrica e nel testo dell’art. 10 della legge di delegazione) e che la norma intende limitare (per il periodo da essa previsto) gli effetti dell’estinzione societaria previsti dal codice civile, mantenendo parzialmente per la società una capacità e soggettività (anche processuali) altrimenti inesistenti, al solo fine di garantire (per il medesimo periodo) l’efficacia dell’attività (sostanziale e processuale) degli enti legittimati a richiedere tributi o contributi.
1.5. Si tratta di una norma che, come affermato da questa Corte, implica che il liquidatore conservi tutti i poteri di rappresentanza della società sul piano sostanziale e processuale, con la conseguenza che egli è legittimato non soltanto a ricevere le notificazioni degli atti impositivi, ma anche ad opporsi ad essi, conferendo mandato alle liti, mentre sono privi di legittimazione i soci, poiché gli effetti previsti dall’art. 2495, comma 2, cod. civ., sono posticipati anche ai fini dell’efficacia e validità degli atti del contenzioso (Cass., 24 luglio 2023, n. 22070; Cass., 27 giugno 2023, n. 18310; Cass., 16 dicembre 2022, n. 36892; Sez. 5, Ordinanza n. 22070 del 2023; Cass., sez. 5, sentenza n. 20692 del 2024). Come, infatti, precisato da questa Corte il soggetto intestatario e destinatario della notifica dell’atto impositivo ove questa si collochi entro il segmento temporale del rammentato quinquennio, è e rimane la società (Sez. 5, Sentenza n. 21905 del 2024) e per essa l’ex liquidatore.
1.6. Alla luce di tali considerazioni, i risultati cui si perviene in termini di legittimazione sono diversi da quelli relativi all’applicazione dell’art. 2495 cod. civ.; la società conserva la legittimazione attiva; l’ex liquidatore è, dunque, legittimato e gli ex soci devono considerarsi privi di legittimazione.
1.7. Ciò comporta che, nel caso di specie, l’ex liquidatore NOME COGNOME (che, secondo quanto emerge dal ricorso, deve ritenersi aver agito per la società) è da ritenersi legittimato sul fondamento dell’art. 28, comma 4, D.Lgs. 175 del 2014; invece, poiché la cancellazione era già avvenuta prima della proposizione del ricorso originario (proposto ben prima del decorso del quinquennio ex art. 28, comma 4 cit.), gli ex soci non erano legittimati a proporre ricorso; si deve
precisare che trattasi di questione rilevabile di ufficio (Cass. 23/03/2016, n. 5736; Cass. 19/09/2019, n. 23365; Sez. 5, Sentenza n. 36892 del 2022 ), che determina la cassazione della sentenza impugnata perché il ricorso originario non poteva essere proposto (ai sensi dell’art. 382, terzo comma, cod. proc. civ.). Pertanto, nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME in qualità di ex soci di RAGIONE_SOCIALE, pronunciando sul ricorso principale, la sentenza va cassata, senza rinvio, non potendo i ricorsi originari essere proposti da questi ultimi.
Il difetto di legittimazione a proporre il ricorso originario in capo agli ex soci rende priva di rilievo, in relazione a questi ultimi, la richiesta di applicazione dell’art. 21bis del d.lgs. 74/2000.
2.1. L’operatività dell’art. 21bis cit. è , invece, da escludere, in relazione all’ex liquidatore, in quanto premesso che l’art. 21bis cit. postula che la sentenza irrevocabile di assoluzione sia ‘pronunciata … sugli stessi fatti materiali’ oggetto del giudizio tributario – nella specie: 1) la mera allegazione che la sentenza penale n. 576/2021 emessa dal Tribunale di Salerno, aveva assolto NOME COGNOME (‘perché il fatto non sussiste’) e che essa riguardava i medesimi fatti oggetto del giudizio tributario non può considerarsi sufficiente, essendo necessario che siano indicati gli specifici fatti ed elementi – oggetto di puntuale accertamento nella sentenza penale -rispetto ai quali viene ravvisata l’identità e per i quali, dunque, viene invocato il giudicato; 2) in ogni caso, difetta una identità di fatti materiali laddove, nella sentenza penale, riferita genericamente a ‘varie annualità’ si fa riferimento a ‘dichiarazioni infedeli’ ‘ attesa la discrasia tra gli esigui redditi dichiarati dai coniugi COGNOME/ COGNOME e la ingente disponibilità di denaro contante pari a euro 426.215,00, rivenuto presso il domicilio/abitazione del Cuomo nonché sede amministrativa della società RAGIONE_SOCIALE (v. capo di imputazione) mentre la presente controversia involge la contestazione circa la indeducibilità ai fini delle imposte dirette e/o indetraibilità ai fini Iva da parte della società, a ristretta base azionaria, di costi sostenuti per attività di ristrutturazione svolte dai soci su beni personali nonché la contestazione circa la indetraibilità ai fini Iva di costi di sponsorizzazione. Questa mancanza di identità tra i fatti materiali nei due giudizi osta ab origine
all’applicabilità dell’art. 21bis cit. senza nella fattispecie in esame rilevi la questione rimessa alle Sezioni Unite, con ordinanza interlocutoria n. 5714 del 2025.
Il ricorso va, quindi, deciso nel merito quanto alle doglianze proposte per la società dall’ex liquidatore.
4.Con il settimo motivo – da trattare logicamente in via preliminare- si solleva l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2014, in riferimento agli artt. 3 e 76 Cost. e all’art . 6 della CEDU: 1) per irragionevole disparità di trattamento tra gli enti creditori, da un lato, e tutti gli altri creditori sociali, dall’altro, in caso di estinzione della società; 2) per mancata osservanza da parte del legislatore delegato della legge-delegazione (n. 23 del 2014), in quanto di tale legge, il d.lgs. n. 175 del 2014 richiamava a proprio fondamento gli artt. 1 e 7 che, da un lato, non consentivano di introdurre una disciplina degli effetti estintivi delle società nuova e differenziata a seconda dei creditori e, dall’altro, rendevano difficile fare rientrare la notificazione di un atto impositivo o di riscossione ad una società e stinta tra gli ‘adempimenti superflui’, passibili di ‘revisione’ e di eliminazione menzionati dalla legge di delegazione.
4.1. In merito alla prospettata questione di incostituzionalità dell’art. 28 cit. , è intervenuta la Corte Costituzionale che ha ritenuto non fondate, in riferimento agli artt. 76 e 3 Cost., le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 4, del decreto 14 legislativo n. 175 del 2014, nella parte in cui differisce l’efficacia dell’estinzione delle società cancellate dal registro delle imprese con riguardo ai soli rapporti con l’amministrazione finanziaria, poiché, da un lato, la delega persegue l’obiettivo di una generale razionalizzazione dell’azione amministrativa, in materia di attuazione e accertamento dei tributi, e dall’altro la norma, nel favorire l’adempimento dell’obbligazione tributaria verso le società cancellate dal registro delle imprese, non determina un’ingiustificata disparità di trattamento, non essendo configurabile una piena equiparazione fra le obbligazioni pecuniarie di diritto comune e quelle tributarie e per la particolarità dei fini e dei presupposti di queste ultime, che si giustificano con la garanzia del
regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato (Corte Costituzionale, 8 luglio 2020, n. 142).
Con l’ottavo motivo – da trattare ugualmente logicamente in via preliminaresi denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 2909 c.c. per avere la CTR violato il giudicato esterno (rilevabile anche d’ufficio): 1) in relazione alla statuizione relativa alla deducibilità dei costi di sponsorizzazione contenuta nella sentenza della CTP di Salerno n. 4775 del 2016, relativa all’annualità 2010, non oggetto di impugnazione; 2) in relazione alla dichiarazione di nullità de ll’avviso di accertamento notificato all’ex liquidatore COGNOME Domenico per l’annualità 2011, affermata con sentenza della CTR della Campania, sezione staccata di Salerno, n. 2629/9/2018 – oggetto di ricorso per cassazione (RG n. 30748/2018) da parte dell’Agenzia solo per le questioni di merito – quale principio valevole anche per le altre annualità, trattandosi di avvisi accertamenti emessi per gli anni 2009-2014 originati dal medesimo p.v.c. della G.d.F. di Positano del 28.2.2015.
5.1 . In disparte l’improprio richiamo al n. 3 del comma 1 dell’art. 360 c.p.c. in luogo che al n. 4 c.p.c., essendo denunciato un error in procedendo , il motivo è infondato.
5.2. In termini generali, in tema di giudicato esterno nel processo tributario, questa Corte ha affermato che la sentenza del giudice tributario con la quale si accertano il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta fa stato, nei giudizi relativi ad imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi, ove pendenti tra le stesse parti, solo per quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta, assumano carattere tendenzialmente permanente, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l’accertamento relativo ai diversi anni si fondi su presupposti di fatto relativi a tributi differenti ed a diverse annualità (Cass., sez. 5, Sentenza n. 38950 del 07/12/2021).
5.3. In primo luogo, quanto all’assunta statuizione – avente, ad avviso del ricorrente, valenza di giudicato esterno – relativa alla deducibilità dei costi di sponsorizzazione contenuta nella sentenza della CTP di Salerno n. 4775 del 2016, relativa all’annualità 2010, detta sentenza è stata oggetto di impugnazione dinanzi alla CTR della Campania, sezione staccata di Salerno, decisa con sentenza n. 2629/9/2018 .
5.4. Quanto alla sentenza n. 2629/9/2018 della CTR della Campania, sezione staccata di Salerno, di parziale accoglimento degli appelli dei contribuenti con riguardo all’impugnativa degli avvisi relativi alle annualità 2009 -2011 richiamata come avente forza di giudicato esterno nel presente giudizio in ordine alla asserita nullità della notifica dell’atto impositivo all’ex liquidatore della società estinta (con riguardo all’avviso per il 2011) la stessa è stata oggetto di ricorso per cassazione da parte dell’Agenzia delle entrate (RG 30748/2018) e di ricorso incidentale da parte dell’ex liquidatore e di due ex soci.
5.5. In particolare, posto che, nella sentenza n. 2629/9/2018, la pronuncia di nullità dell’avviso per notifica a soggetto ritenuto non legittimato passivo (ex liquidatore) ha riguardato solo il 2010 (oggetto di specifico motivo di ricorso per cassazione), mentre, con riferimento all’avviso per il 2011, la CTR – dopo avere rilevato che l’atto impositivo era stato notificato oltre che all’ex liquidatore anche agli ex soci (NOME COGNOME e NOME COGNOME) che congiuntamente avevano proposto ricorso in quanto legittimati, quali successori nei rapporti debitori già facenti capo alla società estinta -ha, una volta definita la legittimazione dei soci ricorrenti, esaminato, nel merito, i motivi di appello. Non è dato, dunque, ravvisare alcun giudicato esterno (né tantomeno interno) in ordine all’asserito difetto di legittimazione passiva in ca po all’ex liquidatore (con riguardo all’avviso di accertamento emesso per il 2011) trattandosi, comunque, di elementi mutevoli o di valutazioni giuridiche.
6 . Con il primo motivo del ricorso si denuncia, in relazione all’art.360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione degli artt. 53 del d.lgs. n. 546/92 e 112 c.p.c., per avere la CTR – incorrendo in un vizio di extrapetizione -accolto l’appello incidentale
dell’Agenzia (in ordine agli asseriti limiti di responsabilità sussidiaria dei soci della s.r.l. estinta) sebbene quest’ultimo dovesse essere dichiarato inammissibile per carenza di motivi specifici, non contenendo l’atto di ‘controdeduzioni e appello incidentale’ alcuna contestazione della statuizione del giudice di primo grado circa la limitazione della res ponsabilità dei soci nell’ambito di quanto percepito in base al bilancio finale di liquidazione.
6.1. Il motivo si profila inammissibile per carenza di interesse essendo gli ex soci privi di legittimazione ad impugnare.
7 . Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4 c.p.c., la violazione degli artt. 36, comma 2, del d.lgs. n. 546/92, 116 c.p.c., 2729 c.c. per omessa motivazione (motivazione apparente), omessa valutazione – relativamen te al rigetto dell’appello principale – delle prove dedotte ed indebita elevazione ad indizio di ipotesi istruttorie non suffragate da alcun elemento oggettivo; in particolare, a fronte della contestazione circa la incongruità dei costi afferenti all’acqu isto di materiali edili consegnati presso la sede della società in INDIRIZZO Furore, la CTR aveva ritenuto non fornita dai contribuenti la prova della inerenza dei costi senza prendere in considerazione la certificazione del Comune di Furore attestante il mancato rilascio di alcuna autorizzazione per interventi allo stabile ubicato nel detto indirizzo né la mancanza di alcuna denuncia penale per apertura di un cantiere edilizio ‘abusivo’. Peraltro, anche in ordine alla contestazione della fatt urazione generica, la CTR aveva affermato, con una motivazione insufficiente e contraddittoria, la assoluta genericità delle descrizioni di cui alle fatture in questione con impossibilità di controllo circa l’inerenza dei costi alla attività svolta laddove l’inerenza derivava dal tipo dei materiali (edili) acquistati e la descrizione degli stessi nelle fatture era sufficiente a tale fine.
7.1. Il motivo è inammissibile nella parte in cui denuncia la violazione degli artt. 116 c.p.c. e 2729 c.c. e infondato, nella parte, in cui denuncia una motivazione apparente.
7.2. In tema di imposte sui redditi delle società, la deducibilità di costi ed oneri richiede la loro inerenza all’attività di impresa, da intendersi come necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità – anche solo potenziale ed indiretta – secondo valutazione qualitativa e non quantitativa, la cui prova, in caso di contestazioni dell’amministrazione finanziaria, è a carico del contribuente, dovendo egli provare e documentare l’imponibile maturato e, quindi, l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto di impresa perché in correlazione con l’attività di impresa e non ai ricavi in sé (Sez. 5, Sentenza n. 24880 del 18/08/2022).
7.3. Va, altresì, ribadito il principio secondo il quale, a fronte di una regolare fattura, opera la presunzione di veridicità di quanto in essa rappresentato, presuppone che essa sia stata redatta in conformità ai requisiti di forma e contenuto prescritti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21 (v. Cass. n. 18208 del 24/06/2021; Cass. n. 29290 del 14/11/2018; Cass. n. 21980 del 28/10/2015; Cass. n. 21446 del 10/10/2014). In una tale evenienza, infatti, la fattura diviene inidonea a costituire titolo per il contribuente ai fini del diritto alla deduzione dei relativi costi, mentre l’Amministrazione finanziaria può contestare l’effettività delle operazioni ad essa sottese e ritenere indeducibili i costi indicati (Cass. n. 9912 del 27/05/2020). L’esigenza, dunque, di una corretta descrizione nella fattura delle prestazioni di servizi ricevute assume rilevanza ai fini della verifica dell’effettività della prestazione. A tal proposito, la Corte di giustizia (con sentenza 15 settembre 2016, causa C-516/14, COGNOME 06 RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE c. RAGIONE_SOCIALE e Aduaneira ), seguita dalla giurisprudenza interna (Cass. sez. 5, n. 20081 del 2022; Cass. 6 ottobre 2017, n. 23384, n. 10211 e n. 13882 del 2018), nell’esaminare le condizioni formali di esercizio del diritto di detrazione dell’imposta, ha considerato che la normativa unionale prescrive l’obbligatorietà dell’indicazione dell’entità e della natura dei servizi forniti (art. 226, punto 6 della direttiva n. 112 del 2006, di contenuto
analogo all’omologa norma della sesta direttiva), nonché della specificazione della data (art. 226, punto 7) in cui è effettuata o ultimata la prestazione dì servizi; ciò al fine di consentire alle amministrazioni finanziarie di controllare l’assolvimento dell’imposta dovuta e, se del caso, la sussistenza del diritto alla detrazione dell’iva. In tal caso, incombe su colui che chiede la detrazione dell’iva l’onere di dimostrare di soddisfare le condizioni per fruirne e, per conseguenza, di fornire elementi e prove, anche integrativi e succedanei rispetto alle fatture, che l’Amministrazione ritenga necessari per valutare se si debba riconoscere, o no, la detrazione richiesta, in particolare, l’effettività della prestazione.
7.4. La doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è poi ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020).
7.5. Nella specie, il motivo nella parte in cui denuncia la violazione degli artt.116 c.p.c. e 2729 c.c., si risolve sostanzialmente in una generica richiesta di rivalutazione nel merito del materiale probatorio acquisito agli atti, come tale inammissibile in sede di legittimità; al riguardo, nella sentenza impugnata, la CTR ha ritenuto legittimo, con riguardo all’avviso di accertamento per l’anno 2012, il recupero dei costi contestati dall’Amministrazione -essendo documentati da fatture assolutamente generiche e/o ritenuti non inerenti stante l’afferenza a fatture i cui DDT riportavano come luogo di consegna dei materiali
edili un immobile sito in Furore, INDIRIZZO senza alcun collegamento con la società RAGIONE_SOCIALE, di proprietà di uno dei soci (v. pagg. 6-7 del ricorso) -in quanto ha accertato -con un apprezzamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità e nel rispetto dei principi sopra richiamati in tema di deducibilità dei costi e del correlativo onere della prova a carico del contribuente che, nella specie, ‘ i contribuenti, in relazione alla contestata inerenza dei costi, non provato alcunché ‘; al riguardo va ribadito il principio secondo cui la valutazione delle risultanze istruttorie, così come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 12261 del 2024; Cass. sez. 5, n. 15266 del 2023; Cass. 2 agosto 2016, n. 16056; Cass. 21 luglio 2010, n. 17097). Quanto poi alla contestazione della indeducibilità dei costi in quanto afferenti a fatture ritenute generiche, la CTR ha confermato la legittimità della ripresa ritenendo – con un apprezzamento di merito, parimenti non sindacabile in questa sede – sostanzialmente non assolto l’onere a carico di parte contribuente di dimostrare – con una documentazione di supporto -la sussistenza e l’inerenza dei detti costi (‘ Inoltre si conferma anche in questa sede la indeducibilità delle fatture avendo le stesse una descrizione assolutamente generica precludendo qualsiasi possibilità di controllo circa l’inerenza del costo alla attività svolta in ciascun anno di ri ferimento ‘).
7.6. La motivazione della sentenza impugnata è, pertanto, conforme al ‘minimo costituzionale’ di cui all’art. 111, sesto comma, Cost. (cfr. Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053, nonché, ex multis : Cass., 07/04/2021, n. 9288; Cass., 30/06/2020, n. 13248 Sez. 5, Ordinanza n. 15889 del 2024). Né il giudice del
merito deve dare conto di ogni allegazione, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti non espressamente esaminati (Cass., Sez. II, 25 giugno 2020, n. 12652; Cass., Sez. I, 26 maggio 2016, n. 10937; Cass., Sez. 6-1, 17 maggio 2013, n. 12123).
Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c, la violazione dell’art. 112 c.p.c. avendo la CTR omesso di pronunciare sulla questione relativa alla deducibilità delle spese pubblicitarie -riguardando somme erogate a favor e dell’Associazione sportiva dilettantistica RAGIONE_SOCIALE per finanziare eventi e gare nel corso delle quali la società veniva pubblicizzata direttamente per la visibilità del suo logo e nome sul veicolo sponsorizzato della RAGIONE_SOCIALE – erroneamente riqualificate come spese di rappresentanza. In subordine, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 90, comma 8, della legge n. 289/2002 (legge finanziaria 2003), per non avere ritenuto deducibili le spese pubblicitarie sostenute sebbene gli importi corrisposti da un’impresa ad un’associazione sportiva dilettantistica, a titolo di sponsorizzazione, fino a euro 200.000, costituissero spese di pubblicità integralmente deducibili per presunzione assoluta di legge a condizione della finalità della sponsorizzazione a promuovere l’immagine e i prodotti dell’impresa e dell’effettivo svolgimento da parte dell’associazione di una specifica attività promozionale.
8.1. Il motivo -che si articola in due sub censure, di cui la seconda proposta in subordine- è, in parte, inammissibile e, in parte, infondato.
8.2. Infondata è la sub censura con la quale si denuncia l’omessa pronuncia della CTR in ordine al motivo di appello circa la erronea riqualificazione delle spese di pubblicità – interamente deducibili- in spese di rappresentanza. Al riguardo, il giudice di appello – dopo avere esposto nella parte in fatto che la CTP, nel rigettare (nei sensi di cui in motivazione) i ricorsi riuniti, aveva, tra l’altro, ritenuto la documentazione prodotta dalla parte contribuente non sufficiente a
comprovare la natura di associazione dilettantistica dell’ente sponsorizzato al fine della deducibilità delle spese di pubblicità ha rigettato l’appello principale della parte contribuente confermando evidentemente sul punto la decisione di prime cure. Invero, per costante orientamento di questa Corte, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (Cass., sez. 3, 29/01/2021, n. 2151; 5 Cass., sez. 6-1, 4/06/2019, n. 15255; Cass., sez. 2, 13/08/2018, n. 20718).
8.3. Inammissibile è, invece, la sub censura con la quale è denunciata, in subordine la violazione dell’art. 90, comma 8, della legge n. 289/2002 – non potendo essere, nel giudizio di legittimità, prospettate per la prima volta questioni nuove o temi nuovi d’in dagine che implichino valutazioni di fatto non compiute perché non richieste in sede di merito; poiché la questione sollevata non risulta trattata nella sentenza impugnata, il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità della censura in quanto nuova, aveva l’onere, in realtà non assolto, di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, indicando, altresì, in quale atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde consentire a questa Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare, nel merito, la questione stessa (in tal senso, Cass. n. 10211 del 2015; nello stesso senso, Cass. sez. 6 – 5, Ord. n. 32804 del 13/12/2019); nella specie, non avendo parte contribuente assolto, in punto di specificità e autosufficienza, all’onere di indicare in ricorso l’avvenuta deduzione, nelle fasi di merito, della detta questione, non è dato a questa Corte ritenere compresa la stessa nel thema decidendum avanti al giudice di secondo grado.
Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 36, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992, per avere la
CTR, con una motivazione apparente (‘incomprensibile’), accolto l’appello incidentale dell’Ufficio escludendo la limitazione della responsabilità sussidiaria degli ex soc i in base a quanto riscosso nell’ambito del piano di riparto relativo al bilancio finale di liquidazione senza spiegare la ragione della responsabilità di questi ultimi applicando l’art. 28 del d.lgs. n. 175 del 2014 – oltre i limiti stabiliti dagli artt. 2495 c.c. e 36 del d.P.R. n. 602/73; in subordine, si denuncia, in relazione all’art . 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 28 del d.lgs. n. 175 del 2014 atteso che l’affermazione della ultrattività quinquennale della società non comportava la responsabilità illimitata dei soci della società estinta.
9 .1. Il rilievo (d’ufficio) del difetto di legittimazione attiva a proporre il ricorso originario in capo agli ex soci della società estinta comporta l’inammissibilità del suddetto motivo per carenza di interesse.
Con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 12 della legge n. 212/2000, 42 del d.P.R. n. 600/1972, 6 della CEDU, 36 del d.P.R. n. 602/1973 e 2495 c.c. per avere la C TR rigettato erroneamente l’eccezione – riproposta in sede di gravame di carenza di motivazione dell’avviso proposta, con riguardo alla posizione degli (ex) soci, per mancata notifica e/o allegazione all’atto impositivo del p.v.c. della GdF, nonché, sempre con riguardo alla posizione degli ex soci, l’eccezione di carenza del contraddittorio endoprocedimentale per omessa notifica del p.v.c. con conseguente preclusione del deposito da parte di questi ultimi di memorie ex art. 12, comma 7 cit. ; peraltro, la CTR avrebbe erroneamente rigettato l’eccezione, con riguardo alla posizione dell'(ex) liquidatore, di carenza della motivazione rafforzata, a fronte delle osservazioni proposte dalla società avverso il p.v.c. e ignorate dall’Ufficio.
10 .1. Il rilievo preliminare (d’ufficio) del difetto di legittimazione a proporre il ricorso originario in capo agli ex soci, comporta l’inammissibilità per carenza di interesse della sub censura con la quale si denuncia la violazione, con riguardo alla posizione degli ex soci, delle norme in tema di motivazione dell’atto
impositivo (per mancata allegazione e/o notifica del richiamato p.v.c.) nonché di quelle sul contraddittorio endoprocedimentale.
10.2. La sub censura con la quale si denuncia, con riguardo alla posizione dell’ (ex) liquidatore, la violazione delle norme in tema di motivazione rafforzata per non avere l’Ufficio risposto (‘ non spende neanche una parola ‘) alle osservazioni dedotte dalla società è infondata alla luce del consolidato principio di diritto di questa Corte secondo cui ‘ in tema di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, è valido l’avviso di accertamento che non menziona le osservazioni del contribuente ex art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, atteso che, da un lato, la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali è espressamente prevista dalla legge oppure da cui deriva una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto e che, dall’altro lato, l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo ‘ (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 12343 del 07/05/2024;Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 8378 del 31/03/2017).
Con il sesto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia della CTR sull’eccezione – riproposta in sede di gravame – di intrasmissibilità delle sanzioni a carico degli ‘eredi’ (ex soci ed ex liquidatore) a seguito della estinzione della società. In subordine, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 8 del d.lgs. n. 472/97 in forza del quale l’obbligazione al pagamento delle sanzioni non si trasmette agli eredi.
11.1. Quanto alla sub censura di omesso esame da parte del giudice di appello della eccezione di intrasmissibilità delle sanzioni ai soci, la stessa è infondata, atteso che – dopo avere esposto nella parte in fatto la riproposizione da parte dei contribuenti, in sede di appello, di tale doglianza -la CTR ha rigettato l’appello principale di questi ultimi, con ciò (implicitamente) disattendendola. Secondo la consolidata giurisprudenza dalla quale non vi è motivo di discostarsi ‘ ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza
di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logicogiuridica della pronuncia’ (Cass. 20311/2011, 24155/2017; Cass. 7927/2021). 11.2. Quanto alla sub censura di violazione di legge – stante il rilievo di difetto di legittimazione ad agire degli ex soci -la stessa rileva soltanto in quanto proposta per la società dall’ex liquidatore.
11.3. Come sopra già precisato, l’art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2014 riveste la natura di norma sostanziale con conservazione in capo al liquidatore del potere di rappresentanza della società sul piano sostanziale e processuale. Il che postula indefettibilmente che il soggetto intestatario e destinatario della notifica dell’atto impositivo ove questa si collochi entro il segmento temporale del rammentato quinquennio, è e rimane la società. Quest’ultima in ambito fiscale, d’altronde, per fictio non si estingue, sopravvivendo finanche alla cancellazione dal Registro delle imprese (Sez. 5, Sentenza n. 21905 del 2024). Ciò significa che non rileva la dedotta questione della intrasmissibilità delle sanzioni in capo al liquidatore (per quanto ancora di interesse), essendo, in questo lasso temporale, ancora destinataria dell’atto impositivo, incluse le sanzioni, la società medesima, in persona dell’ex liquidatore. Non è, dunque, ravvisabile alcuna violazione dell’art. 8 del d.lgs. n. 472/1997 nella decisio ne della CTR di conferma della legittimità delle sanzioni nei confronti della società (per quanto cessata).
In conclusione, quanto alla posizione di NOME COGNOME, NOME COGNOME in qualità di ex soci di RAGIONE_SOCIALE, pronunciando sul ricorso principale, cassa la sentenza impugnata, senza rinvio, e dichiara inammissibile i ricorsi originari
per difetto di legittimazione ad agire; quanto alla posizione di NOME COGNOME in qualità di ex liquidatore di RAGIONE_SOCIALE, il ricorso va rigettato.
In ordine alle spese di lite, quanto alla posizione di NOME COGNOME, NOME COGNOME in qualità di ex soci di RAGIONE_SOCIALE, si ravvisano giusti motivi per compensare quelle di merito. Nulla sulle spese del giudizio di legittimità, essendo rimasta int imata l’Agenzia delle entrate.
Quanto alla posizione di NOME COGNOME in qualità di ex liquidatore di RAGIONE_SOCIALE, nulla sulle spese del giudizio di legittimità, essendo rimasta intimata l’Agenzia delle entrate.
PQM
La Corte:
quanto alla posizione di NOME COGNOME, NOME COGNOME in qualità di ex soci di RAGIONE_SOCIALE, pronunciando sul ricorso principale, cassa la sentenza impugnata, senza rinvio, e dichiara inammissibili i ricorsi originari per difetto di legittimazione ad agire; compensa, tra le parti, le spese dei gradi di merito.
quanto alla posizione di NOME COGNOME in qualità di ex liquidatore di RAGIONE_SOCIALE, rigetta il ricorso;
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. nr. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente (NOME COGNOME nella qualità), dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 11 marzo 2025.