Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15012 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15012 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7575 -20 21 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (pec: EMAIL), presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME , in proprio e quale liquidatore di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al controricorso , dall’avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL, domiciliato in
Oggetto: TRIBUTI -società estinta -art. 28, comma 4, d.lgs. n. 175 del 2014
Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio legale dell’avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 187/05/2021 della Commissione Tributaria Regionale della LOMBARDIA, depositata il 12/01/2021; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 11 marzo 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. In controversia avente ad oggetto un avviso di accertamento ai fini IVA, IRES ed IRAP per l’anno d’imposta 2012 , che l’Agenzia delle entrate aveva emesso nei confronti della RAGIONE_SOCIALE con riferimento ad una serie di operazioni commerciali ritenute oggettivamente inesistenti, con conseguente recupero a tassazione dei costi e disconoscimento della detraibilità dell’IVA sulle fatture passive, la CTR (ora Co rte di giustizia tributaria di secondo grado) della Lombardia con la sentenza in epigrafe indicata accoglieva l’appello proposto dal Girola, in proprio e nella qualità di legale rappresentante e socio della RAGIONE_SOCIALE, cancellata dal registro delle imprese il 1° aprile 2015, ritenendo nullo l’atto impositivo in quanto notificato all’ex liquidatore anziché « a un soggetto avente la qualifica di socio (ex socio) in qualità di avente diritto alla percezione, in via solidale con tutta la compagine sociale, dei residui attivi rinvenienti dall’approvazione del bilancio finale di liquidazione e del relativo piano di riparto »; riteneva tardivamente notificato l’avviso di accertamento perché , essendo relativo all’anno d’imposta 2012, avrebbe dovuto essere notificato entro il 31/12/2017 mentre risultava notificato il 13 gennaio 2018, quindi oltre i termini di decadenza di cui agli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972, non operando nella specie la proroga di cui all’art. 1, comma 132, della legge n. 208 del 2015, in mancanza di prova della data di trasmissione della denuncia penale , avendo l’Ente impositore prodotto le ricevute di ‘attestazione di consegna’ della denuncia, peraltro prive di timbro
postale e non anche le ricevute di invio. Rigettava, invece, il motivo di appello con cui era stato dedotto il difetto di motivazione dell’atto impositivo.
Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui replica l’ intimato con controricorso e memoria. Il controricorrente deposita il decreto di archiviazione emesso il 27/04/2023 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pavia in relazione ai reati contestatigli con riferimento ai fatti di causa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Preliminarmente va rilevato che, al momento della notifica del ricorso all’art. 28, comma 4, del decreto legislativo n. 175 del 2014, della sopravvivenza
per cassazione, era venuta meno la fictio iuris stabilita d della società, dopo la sua cancellazione dal registro delle imprese.
Ne consegue il difetto di legittimazione passiva di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, essendo, per effetto del consolidamento del fenomeno di tipo successorio, legittimato passivo NOME Girola nella qualità di unico ex socio della società (in termini, Cass. n. 14338/25, punto 1.2). 2. Con il primo motivo di ricorso la difesa erariale deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza d’appello per violazione degli artt. 75 cod. proc. civ. e 2495 cod. civ. Lamenta la mancata rilevazione da parte dei giudici di merito del difetto di capacità processuale della società contribuente in quanto cancellata dal registro delle imprese in data antecedente alla proposizione del ricorso dinanzi al CTP di Milano ed il difetto di legittimazione a rappresentarla dell’ex amministratore o dell’ex liquidatore, non essendo neppure invocabile nella specie il differimento quinquennale degli effetti di quell’estinzione di cui all’art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2014, in quanto disposizione riferita esclusivamente all’amministrazione finanziaria.
2.1. Il motivo, che diversamente da quanto eccepisce il controricorrente, è ammissibile in quanto pone una questione, ovvero quella della legittimazione processuale, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, è comunque infondato e va rigettato.
2.2. Al riguardo deve osservarsi che sulla questione posta nel motivo in esame, così come su quella posta nel terzo motivo di cui si dirà a breve, si sono recentemente pronunciate le Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 3625 del 12 febbraio 2025.
2.3. In tale pronuncia il Supremo consesso, occupandosi della disciplina dell’estinzione della società per effetto della sua cancellazione dal registro delle imprese, di cui all’art. 2 495 cod. civ., ha esaminato la portata dell’art. 28 del d.lgs. n. 175 del 2014, il cui comma 4 stabilisce che «Ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese».
2.4. Le Sezioni unite hanno affermato che la predetta disposizione, che ha natura sostanziale così da escludersene l’efficacia retroattiva (in tal senso già Cass. n. 6743/2015, n. 15648/2015; più recentemente, Cass. n. 4536/2020) e che ha superato anche il vaglio di costituzionalità (cfr. Corte cost. n. 142/2020) instaura «una finzione legale di mantenimento in vita della società (evocatrice di quella posta dall’art. 10 legge fall.) seppure ai soli fini della definizione dei rapporti fiscali pendenti, in sede non solo amministrativa ma anche contenziosa» e, quindi, «deroga -nei soli riguardi delle posizioni debitorie indicate e delle relative Amministrazioni creditrici -al principio per cui la società cancellata dal registro delle imprese non può agire né essere convenuta in giudizio».
2.5. Hanno, quindi, confermato «il fermo indirizzo interpretativo, secondo cui la norma non si limita a prevedere una posticipazione degli
effetti dell’estinzione al solo fine di consentire e facilitare all’Ufficio la notificazione dell’atto impositivo (altrimenti giuridicamente inesistente, se eseguita nei confronti di società già cancellata: Cass. n. 6743/15; n. 20961/21 ed altre), ma permette all’ex liquidatore (o, in mancanza di liquidazione, all’ex amministratore legale rappresentante) di ‘ conservare tutti i poteri di rappresentanza della società, sul piano sostanziale e processuale, nella misura in cui questi rispondano ai fini indicati dall’art. 28, comma 4, che, altrimenti opinando, non potrebbe operare ‘. Con la conseguenza che il liquidatore, oltre a ricevere le notifiche degli atti dagli enti creditori, può anche opporsi agli stessi e conferire mandato alle liti, dovendosi la dizione legislativa ‘atti del contenzioso’ riferirsi in senso stretto e tecni co proprio agli atti del processo e della tutela giurisdizionale. Pertanto, nei casi in cui si renda applicabile l’art. 28 in esame, in deroga all’art. 2495 cod.civ.: ‘ la società conserva la legittimazione attiva; il liquidatore è legittimato e gli ex soci devono considerarsi privi di legittimazione’ (Cass. n. 36892 del 16 dicembre 2022; nello stesso senso, Cass. n. 6743/15; n. 4536/20; n. 18310/23)».
2.6. Ciò precisato, osserva il Collegio che nel caso di specie la società contribuente era stata cancellata dal registro delle imprese il 1° aprile 2015 (con domanda risalente al precedente 28 marzo), ovvero in data successiva a quella del 13 dicembre 2014 di entrata in vigore dell’art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2014, e che l’avviso di accertamento per cui è causa è stato notificato, per come risulta anche dalla motivazione della sentenza d’a ppello, successivamente a tale data, ovvero il 13 gennaio 2018, quando comunque non era ancora decorso il quinquennio di cui al citato art. 28.
2.7. Ne consegue che, in virtù dei suindicati principi, l’atto impositivo ben poteva essere emesso nei confronti della società estinta, poteva essere notificato al suo ultimo legale rappresentante, nella specie l’ex liquidatore, e poteva essere impugnato da quest’ultimo,
come in effetti è accaduto, risultando tutte le predette circostanze dal frontespizio dell’avviso di accertamento e del ricorso di primo grado fotoriprodotti nel ricorso in esame (rispettivamente alle pagine 18 e 10).
Deve, a questo punto, passarsi all’esame del secondo motivo di ricorso con il quale viene dedotta, in via subordinata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la falsa applicazione degli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972, come modificati dall’art. 2, comma 3, della legge n. 128 del 2015 e dall’art. 37 del d.l. n. 223 del 2006, conv, con modif., dalla legge n. 248 del 2006.
3.1. Sostiene al riguardo la ricorrente che i giudici di appello avevano errato nel ritenere tardiva l’emissione dell’avviso di accertamento impugnato (relativo all’anno d’imposta 2012) sul presupposto che nella specie non operasse il cd. raddoppio dei termini di accertamento per difetto di prova della trasmissione della denuncia penale entro la data di scadenza del termine ordinario di accertamento (31/12/2017) benché fosse stata prodotta agli atti del giudizio di merito la lettera di trasmissione di detta denuncia recante il timbro di ricezione del 28/12/2017, data anteriore alla scadenza di quel termine ordinario, e tale circostanza rendeva priva di apparente senso logico la tesi pure sostenuta dai giudici di appello secondo cui l’Ufficio avrebbe dovuto dare prova dell’inoltro di detta denuncia e non della sua ricezione.
3.2. Il motivo, che, diversamente da quanto eccepisce il controricorrente, è ammissibile in quanto involge solo questioni di diritto senza, quindi, richiede una rivalutazione dei fatti di causa, è fondato e va accolto nei limiti di cui appresso si dirà.
3.3. La fattispecie in esame, in cui l’avviso di accertamento è stato emesso con riferimento al l’anno d’imposta 2012 ed è stato notificat o il 18 gennaio 2018, ricade nell’ambito di applicazione dell’art. 1, comma 132 della legge 208 del 2015 (legge di stabilità del 2016) secondo cui «Le disposizioni di cui all’articolo 57, commi 1 e 2, del decreto del
Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e all’articolo 43, commi 1 e 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, come sostituiti dai commi 130 e 131 del presente articolo, si applicano agli avvisi relativi al periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2016 e ai periodi successivi. Per i periodi d’imposta precedenti, gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione ovvero, nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di dichiarazione nulla, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata. Tuttavia, in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per alcuno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui al periodo precedente sono raddoppiati relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione; il raddoppio non opera qualora la denuncia da parte dell’Amministrazione finanziaria, in cui è ricompresa la Guardia di finanza, sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini di cui al primo periodo. Resta fermo quanto disposto dall’ultimo periodo del comma 5 dell’articolo 5-quater del decreto-legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, e successive modificazioni».
3.4. Ciò precisato, osserva il Collegio che quello che rileva nella presente fattispecie, ai fini dell’operatività del raddoppio dei termini, che avrebbe consentito all’amministrazione finanziaria di posticipare la notifica dell’avviso di accertamento, è la data di presentazione o trasmissione della notizia di reato da effettuarsi, in base alla disciplina di cui alla citata legge n. 208 del 2015, entro il termine di quattro anni di decadenza dell’azione accertatrice che, nel caso in esame, avente ad oggetto l’anno d’imposta 2012 , in relazione al quale la dichiarazione scadeva nel 2013, il termine di decadenza si compiva il 31/12/2017.
3.5. P ertanto, è errata in diritto l’affermazione della CTR secondo cui l’amministrazione finanziaria non aveva fornito la prova « che l’avviso di accertamento sia stato inviato entro il 31.12.2017 », atteso che, per quanto detto sopra, non era questa la « data ultima affinché l’atto potesse essere considerato tempestivo ». E ciò, a differenza di quanto eccepito dal controricorrente, secondo cui sul punto si sarebbe formato il giudicato, è stato espressamente dedotto in appello dalla ricorrente che ha affermato che avrebbe potuto emettere l’atto impositivo entro l’anno 2021, « ovvero entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo alla presentazione della dichiarazione (2013) per l’anno d’imposta 2012 ».
3.6. Ed è altresì errata la sentenza impugnata là dove, ai fini della prova della tempestività della denuncia penale, ha ritenuto inidonee allo scopo « le ricevute di ‘attestazione di consegna’ della denuncia penale » prodotte in giudizio dall’Agenzia delle entrate, pretendendo la produzione da parte dell’amministrazione finanziaria del le « ricevute di invio » della predetta denuncia, quando, come nella specie accaduto, comunque la documentazione prodotta dall’Agenzia delle entrate attestava che la denunzia era stata comunque presentata anteriormente alla scadenza del termine di decadenza dall’azione accertatrice ( nella specie, in data 28/12/2017 e, quindi, entro il quadriennio decorrente dall’anno 2013, di scadenza della presentazione della dichiarazione reddituale per l’anno 2012 ). Una tesi, quella sostenuta dai giudici di appello, priva di ragionevolezza posto che la stessa avrebbe avuto un senso nell’ipotesi in cui si fosse posto il problema, che qui non viene però in rilievo, della scissione degli effetti della comunicazione della denuncia.
Da quanto detto consegue che la statuizione impugnata va cassata con riferimento all’accertamento in materia di IVA ed IRES, mentre va confermata con riferimento all’IRAP, posto che, «non essendo l’IRAP un’imposta per la quale siano previste sanzioni penal i, è evidente
che in relazione alla stessa non può operare la disciplina del ‘raddoppio dei termini’ di accertamento quale applicabile ratione temporis (cfr. Cass. n. 4775 del 2016; n. 20435 del 2017; n. 26311 del 2017; n. 23629 del 2017).
Il terzo motivo di ricorso, con cui la ricorrente deduce, in via ulteriormente subordinata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la falsa applicazione dell’art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2014, per avere i giudici di appello erroneamente ritenuto nullo l’atto impositivo in quanto notificato al Girola non quale socio ma in ‘qualità di ultimo legale rappresentante’ della società estinta per cancellazione dal registro delle imprese, resta assorbito.
In estrema sintesi, va accolto il secondo motivo di ricorso, nei limiti sopra indicati, rigettato il primo, assorbito il terzo. La sentenza impugnata va conseguentemente cassata in relazione al motivo e ai profili accolti con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado territorialmente competente che, in diversa composizione, provvederà al riesame della vicenda processuale alla stregua dei principi sopra indicati e alla regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
dichiara l’inammissibilità del ricorso là dove è proposto nei confronti di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione; accoglie il secondo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, rigettato il primo, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al profilo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma in data 11 marzo 2025.