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Società di fatto: prova insufficiente per il Fisco

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando che per accertare una società di fatto non bastano elementi come la comproprietà di un terreno e la successiva costruzione di un immobile. L’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di provare tutti gli elementi del vincolo societario, inclusa l’intenzione di esercitare un’attività d’impresa in comune. In questo caso, la prova fornita è stata ritenuta insufficiente.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di fatto: quando la prova non basta per il Fisco

L’accertamento di una società di fatto da parte dell’Amministrazione Finanziaria è un tema delicato, che spesso contrappone la realtà economica alle formalità giuridiche. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i confini precisi dell’onere probatorio a carico del Fisco, chiarendo che la semplice comproprietà e la costruzione di un immobile a scopo di vendita non sono sufficienti a dimostrare l’esistenza di un’impresa comune. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I fatti del caso: da comproprietari a presunti soci

La vicenda trae origine dall’acquisto, nel 2000, di un terreno in comproprietà da parte di due cognati. Anni dopo, nel 2006, i due ottengono un permesso di costruire e appaltano la realizzazione della struttura in cemento armato di un fabbricato. A seguito di una verifica fiscale, l’Agenzia delle Entrate ipotizza l’esistenza di una società di fatto tra i due, finalizzata alla costruzione e vendita di immobili, e procede a notificare un avviso di accertamento per le imposte sui redditi a uno dei presunti soci.

Il contribuente impugna l’atto, ottenendo ragione sia in primo che in secondo grado. Le commissioni tributarie, infatti, ritengono che l’Ufficio non abbia fornito prove sufficienti a dimostrare la sussistenza di un vero e proprio vincolo societario. L’Agenzia, non soddisfatta, ricorre per la cassazione della sentenza.

La tesi dell’Agenzia delle Entrate sulla prova della società di fatto

L’Amministrazione Finanziaria lamentava che i giudici di merito non avessero correttamente valutato gli elementi portati a sostegno della sua tesi. In particolare, secondo l’Ufficio, i seguenti fatti avrebbero dovuto essere considerati prova sufficiente dell’esistenza della società di fatto:

1. La concessione edilizia per la costruzione del fabbricato.
2. Il contratto di appalto stipulato con un’impresa edile.
3. Un contratto preliminare di vendita dell’immobile allo stato grezzo.

Questi elementi, secondo la tesi del Fisco, sarebbero indici inequivocabili di un’attività commerciale esercitata in comune e con scopo di lucro, elementi cardine della nozione di società.

La decisione della Cassazione e l’onere della prova

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia, confermando la decisione dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno colto l’occasione per ribadire i principi fondamentali in materia di prova della società di fatto in ambito tributario.

Le motivazioni

La Corte ha spiegato che per poter affermare l’esistenza di una società di fatto, l’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di provare, anche tramite presunzioni, la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del vincolo sociale. Non è sufficiente dimostrare l’apparenza esterna di una società, ma è necessario provare:

* Il fondo comune: il conferimento di beni e servizi per l’esercizio congiunto di un’attività economica.
* L’alea comune: la condivisione dei guadagni e delle perdite.
* L’affectio societatis: l’intenzione dei soci di collaborare per il raggiungimento di un fine comune.

Gli elementi indicati dall’Agenzia (permesso di costruire, appalto, preliminare di vendita) sono stati ritenuti non decisivi. La Corte ha sottolineato che il fine di lucro è comune a qualsiasi operazione economica e non implica automaticamente la creazione di un vincolo sociale tra più persone. Anche la costruzione di un immobile su un terreno in comproprietà per poi venderlo può rientrare in una semplice gestione patrimoniale e non necessariamente in un’attività d’impresa societaria.

Inoltre, la Corte ha respinto anche il secondo motivo di ricorso, relativo a una presunta motivazione carente della sentenza d’appello. I giudici hanno chiarito che, dopo la riforma del 2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione è limitato alla verifica del cosiddetto ‘minimo costituzionale’, che in questo caso era stato ampiamente rispettato, non essendo la motivazione né mancante né meramente apparente.

Le conclusioni

Questa pronuncia consolida un orientamento importante a tutela del contribuente. Per il Fisco, dimostrare l’esistenza di una società di fatto non è un compito semplice. Non basta basarsi su indizi generici, ma occorre una prova rigorosa che dimostri inequivocabilmente la volontà delle parti di unirsi in un vincolo societario per esercitare un’attività d’impresa. La distinzione tra gestione di un patrimonio comune, anche se finalizzata a un guadagno, e l’esercizio di un’impresa societaria rimane un punto cruciale, e l’onere di superare questo confine probatorio grava interamente sull’Amministrazione Finanziaria.

La semplice costruzione di un immobile su un terreno in comproprietà è sufficiente per l’Agenzia delle Entrate a dimostrare l’esistenza di una società di fatto?
No, secondo la Corte di Cassazione questi elementi non sono di per sé decisivi. Per accertare una società di fatto, l’Amministrazione Finanziaria deve fornire la prova rigorosa di tutti gli elementi costitutivi del vincolo sociale, inclusa l’intenzione comune di esercitare un’attività d’impresa (affectio societatis).

Qual è l’onere della prova a carico del Fisco per accertare una società di fatto?
L’onere della prova è a carico dell’Amministrazione Finanziaria, che deve dimostrare l’esistenza di un fondo comune, la condivisione di profitti e perdite e, soprattutto, l’intenzione dei presunti soci di collaborare per un fine imprenditoriale comune. Non è sufficiente basarsi su indizi che potrebbero essere riconducibili a una mera gestione patrimoniale.

È possibile contestare in Cassazione la motivazione di una sentenza tributaria perché ritenuta insufficiente o contraddittoria?
No, non più come in passato. A seguito della riforma del 2012, le censure di insufficienza o contraddittorietà della motivazione non sono più ammissibili. Il controllo della Corte di Cassazione è limitato alla verifica del rispetto del ‘minimo costituzionale’, ovvero controlla solo che la motivazione non sia totalmente mancante, meramente apparente o basata su un contrasto logico insanabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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