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Società di fatto: prova e presunzioni fiscali

Due amministratori di una società cooperativa sono stati oggetto di un accertamento fiscale che ha riqualificato la loro entità come una società di fatto. La Corte di Cassazione ha respinto il loro ricorso, confermando la decisione. La Corte ha stabilito che le dichiarazioni di terzi, se supportate da altri elementi probatori, sono sufficienti per dimostrare la natura fittizia di una cooperativa. Inoltre, ha definitivamente rigettato il principio del “divieto di doppia presunzione”, affermando che un fatto accertato tramite presunzione può validamente costituire la base per un’ulteriore deduzione logica, legittimando così la riqualificazione in società di fatto.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di Fatto: La Cassazione sulla Prova Presuntiva e il Divieto di Doppia Presunzione

Quando una società cooperativa è solo una facciata per nascondere una vera e propria società di fatto tra due amministratori? Con l’ordinanza n. 41/2024, la Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti su come l’Amministrazione Finanziaria possa provare tale simulazione e, soprattutto, smonta un vecchio dogma processuale: il cosiddetto ‘divieto di doppia presunzione’.

I Fatti: Una Cooperativa Sotto la Lente del Fisco

Il caso riguarda due amministratori di una società cooperativa a mutualità prevalente. A seguito di un’indagine, l’Agenzia delle Entrate ha riqualificato la cooperativa in una società di fatto tra i due, imputando loro maggiori ricavi non dichiarati. Secondo il fisco, la struttura cooperativa era puramente formale e serviva a mascherare un’attività imprenditoriale gestita esclusivamente dai due soci amministratori a proprio vantaggio, escludendo di fatto gli altri soci lavoratori da qualsiasi partecipazione e gestione.

La Commissione Tributaria Regionale aveva dato ragione all’Agenzia delle Entrate, riformando la decisione di primo grado. Gli amministratori hanno quindi presentato ricorso in Cassazione, basandolo su diversi motivi, tra cui la presunta violazione delle norme sulla prova presuntiva e l’applicazione di una ‘doppia presunzione’ per giungere all’accertamento.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la legittimità dell’accertamento fiscale. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi di grande rilevanza pratica.

Le Motivazioni: La Prova della Società di Fatto

I giudici hanno analizzato nel dettaglio i motivi del ricorso, fornendo principi chiari in materia di prova nel processo tributario.

Il Valore delle Dichiarazioni di Terzi

I ricorrenti lamentavano che la decisione dei giudici di merito si basasse unicamente sulle dichiarazioni rese dai soci-lavoratori alla Guardia di Finanza, le quali, a loro dire, avrebbero solo valore indiziario e non di prova piena.

La Cassazione ha respinto questa tesi, chiarendo che, sebbene le dichiarazioni di terzi raccolte in fase di indagine abbiano valore di mero indizio, possono assurgere a fonte di prova presuntiva quando sono supportate da altri elementi. Nel caso specifico, le conclusioni della Commissione Tributaria non si basavano solo sulle dichiarazioni, ma anche su prove documentali (come i giustificativi per ‘trasferte esenti’ che mascheravano indennità non dovute) e sulla constatazione oggettiva della totale assenza di vita associativa e del rispetto puramente formale degli adempimenti societari.

L’Inesistenza del Divieto di Doppia Presunzione

Il punto più interessante della pronuncia riguarda il secondo motivo di ricorso, con cui si denunciava la violazione del divieto di ‘doppia presunzione’. Secondo i ricorrenti, i giudici avrebbero prima presunto la fittizietà dello scopo mutualistico e, da questa prima presunzione, avrebbero poi presunto l’esistenza di una società di fatto.

La Corte di Cassazione ha smantellato questa argomentazione, affermando che il principio praesumptum de praesumpto non admittitur (non si ammette una presunzione basata su un’altra presunzione) è inesistente nel nostro ordinamento. I giudici hanno chiarito che un fatto, anche se accertato tramite una o più presunzioni (purché gravi, precise e concordanti), può legittimamente costituire la premessa per un’ulteriore inferenza logica.

Nel caso in esame, la mancanza dello scopo mutualistico non era una ‘presunzione’, ma il risultato di un’analisi approfondita delle prove. Da questa conclusione fattuale (la cooperativa era fittizia), i giudici hanno correttamente desunto, sulla base di altri elementi concreti (il conferimento di beni e servizi da parte dei due amministratori, l’esercizio in comune dell’attività, la divisione degli utili e l’esclusione degli altri soci), l’esistenza di una società di fatto tra i due.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza consolida due principi fondamentali per il contenzioso tributario:

1. La prova di una realtà imprenditoriale simulata può essere raggiunta attraverso un mosaico di elementi, in cui le dichiarazioni di terzi, sebbene non autosufficienti, acquistano pieno valore probatorio se corroborate da altri riscontri oggettivi.
2. L’accertamento basato su presunzioni è pienamente legittimo anche quando si articola in una catena di inferenze logiche. Ciò che conta non è il numero di passaggi deduttivi, ma la solidità (gravità, precisione e concordanza) di ciascun anello della catena logica seguita dal giudice per passare dal fatto noto a quello ignoto.

Le dichiarazioni di terzi, come i soci-lavoratori, possono bastare a provare l’esistenza di una società di fatto?
No, da sole non bastano, avendo solo valore indiziario. Tuttavia, possono assurgere a fonte di prova presuntiva e contribuire a formare il convincimento del giudice se sono plurime, concordanti e contestualizzate con altri elementi di prova, come documenti o altre evidenze fattuali che ne confermano il contenuto.

È vietato nel processo tributario basare una presunzione su un altro fatto già presunto (c.d. divieto di doppia presunzione)?
No. La Corte di Cassazione ha affermato che il cosiddetto ‘divieto di presunzioni di secondo grado o a catena’ è un principio inesistente nell’ordinamento italiano. Un fatto accertato in base a una o più presunzioni (purché gravi, precise e concordanti) può legittimamente costituire la premessa per un’ulteriore inferenza presuntiva.

Come si dimostra che una società cooperativa è in realtà una società di fatto tra gli amministratori?
La prova si raggiunge attraverso un esame complessivo delle risultanze istruttorie. Nel caso specifico, sono state decisive: le dichiarazioni dei soci-lavoratori, l’assenza di una reale vita associativa e partecipativa, la natura meramente formale degli adempimenti societari e la gestione esclusiva dell’attività da parte degli amministratori, che si ripartivano gli utili escludendo gli altri soci.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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