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Società di fatto: prova e oneri per il Fisco

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando l’annullamento di un avviso di accertamento per redditi da partecipazione in una presunta società di fatto. La Corte ha stabilito che, per provare l’esistenza di una tale società, non è sufficiente dimostrare il ruolo di rilievo di un soggetto in un gruppo aziendale, ma è necessario fornire prove concrete degli elementi costitutivi: fondo comune, affectio societatis e partecipazione al rischio d’impresa.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di Fatto: Quando la Prova per il Fisco Diventa Impossibile

L’accertamento di una società di fatto da parte dell’Amministrazione Finanziaria è uno strumento potente per recuperare imposte evase, ma non è un’arma senza limiti. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito i confini invalicabili dell’onere probatorio che grava sul Fisco, stabilendo che la semplice esistenza di un ruolo strategico di un individuo all’interno di un gruppo societario non è sufficiente per presumerne la qualità di socio occulto. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso: L’Accertamento Fiscale e la Difesa del Contribuente

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato a un contribuente, con il quale l’Agenzia delle Entrate imputava un reddito da partecipazione derivante da una quota del 20% in una società di diritto olandese. Secondo la tesi del Fisco, tale società, sebbene formalmente estera, operava in Italia e doveva essere riqualificata come una società di fatto a cui il contribuente partecipava come socio occulto. L’accertamento si basava sulle risultanze di una verifica fiscale che aveva coinvolto un intero gruppo di società olandesi ritenute “esterovestite”.

Il contribuente ha impugnato l’atto impositivo, sostenendo la totale assenza dei presupposti per l’imposizione. Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale hanno accolto le sue ragioni, annullando l’accertamento. I giudici di merito hanno concluso che l’Agenzia delle Entrate non aveva fornito prove sufficienti a dimostrare l’esistenza della società di fatto, evidenziando come la prestazione d’opera del contribuente potesse benissimo rientrare in un normale rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione professionale.

La Decisione della Cassazione e la prova sulla società di fatto

L’Agenzia delle Entrate ha portato il caso dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando, tra le altre cose, la violazione delle norme sulla prova presuntiva. Secondo l’Amministrazione, i giudici di merito avevano errato nel non considerare gli elementi indiziari offerti, che avrebbero dovuto condurre a ritenere esistente la società di fatto.

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, confermando le decisioni dei gradi precedenti. I giudici hanno sottolineato che, per poter affermare l’esistenza di una società di fatto, non basta provare un generico coinvolgimento o un ruolo di rilievo del presunto socio. È invece indispensabile che l’Ufficio fornisca la prova, anche tramite presunzioni gravi, precise e concordanti, dei tre elementi costitutivi di qualsiasi contratto sociale:

1. Il fondo comune: la presenza di conferimenti da parte di tutti i soci, destinati all’esercizio congiunto dell’attività.
2. L’affectio societatis: la volontà comune di collaborare su un piano di parità per il raggiungimento di uno scopo comune.
3. La partecipazione agli utili e alle perdite: la condivisione del rischio d’impresa.

Nel caso specifico, l’Agenzia si era limitata a evidenziare la posizione strategica del contribuente all’interno del gruppo aziendale, senza però dimostrare in che modo egli avesse contribuito al fondo comune, né come partecipasse alle decisioni e ai rischi della specifica società olandese.

Litisconsorzio e Sospensione del Processo: Le Altre Questioni Respinte

La Corte ha rigettato anche gli altri motivi di ricorso dell’Agenzia. In particolare, ha escluso la necessità di integrare il contraddittorio con gli altri presunti soci (litisconsorzio necessario), applicando un principio di economia processuale. Dato che il ricorso era palesemente infondato nel merito, sarebbe stato un inutile dispendio di attività processuale rimettere la causa al primo grado, soprattutto considerando che anche i giudizi relativi agli altri soci si erano conclusi a loro favore.

Allo stesso modo, è stata respinta la richiesta di sospendere il processo in attesa della definizione del giudizio sull’accertamento emesso nei confronti della società. La Corte ha ricordato che la sospensione è una facoltà discrezionale del giudice e non un obbligo, quando la causa pregiudicante è già stata decisa, seppur con sentenza non definitiva.

Le Motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte si fondano su un principio cardine del diritto tributario: l’onere della prova spetta a chi afferma l’esistenza di un maggior reddito. L’Amministrazione Finanziaria non può basare un accertamento su mere congetture o su una ricostruzione dei fatti che non sia supportata da elementi probatori concreti. La motivazione della sentenza d’appello, pur sintetica, è stata ritenuta adeguata perché ha correttamente individuato il punto nodale della controversia: la carenza di prova da parte dell’Ufficio. I giudici di legittimità hanno ribadito che la collaborazione di un soggetto all’attività imprenditoriale di un altro, anche se intensa e strategica, non si traduce automaticamente in un rapporto societario, potendo essere inquadrata in altre forme contrattuali come il lavoro dipendente o autonomo.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa sentenza rappresenta un importante monito per l’Amministrazione Finanziaria e una garanzia per i contribuenti. Per poter riqualificare un rapporto in termini di società di fatto, il Fisco deve condurre un’istruttoria approfondita e portare in giudizio elementi specifici che dimostrino in modo inequivocabile la presenza dei requisiti del contratto di società. Non è ammissibile un’inversione dell’onere della prova, in cui sia il contribuente a dover dimostrare di non essere un socio. La decisione rafforza la tutela del contribuente contro accertamenti fondati su presunzioni non adeguatamente supportate da un quadro indiziario solido, preciso e concordante.

Per accertare una società di fatto, è sufficiente che una persona abbia un ruolo importante in un gruppo di imprese?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il ruolo di rilievo o strategico all’interno di un gruppo aziendale non è di per sé sufficiente. L’Agenzia delle Entrate deve fornire la prova specifica degli elementi costitutivi della società: un fondo comune, l’intenzione di costituire un vincolo sociale (affectio societatis) e la partecipazione ai profitti e alle perdite.

È obbligatorio riunire in un unico processo tutti i presunti soci di una società di fatto?
Non sempre. Sebbene il litisconsorzio tra società e soci sia spesso ritenuto necessario, la Corte ha affermato che, in nome del principio di ragionevole durata del processo, non si deve disporre la riunione o l’integrazione del contraddittorio se il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria è manifestamente infondato. Ciò evita un inutile dispendio di attività processuali.

Un processo tributario sul reddito del socio deve essere sospeso se è ancora pendente il giudizio sull’accertamento notificato alla società?
No, non è un obbligo. La sospensione del processo è una scelta discrezionale del giudice. Se il giudizio sulla società (causa pregiudicante) è già stato deciso con una sentenza, anche se non ancora definitiva, il giudice del processo sul socio (causa pregiudicata) può decidere di non sospendere il giudizio e procedere alla decisione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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