Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12002 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 12002 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 07/05/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 20429/2019 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato
-ricorrente-
contro
COGNOME con gli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
-controricorrente-
avverso la Sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 201/2019 depositata il 15/01/2019.
Udita la relazione svolta alla pubblica udienza del 20/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto disporsi rinvio a nuovo ruolo ovvero, in subordine, dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso.
Uditi per la ricorrente Amministrazione Finanziaria l’Avvocato dello Stato NOME COGNOME e per il controricorrente l’Avvocato NOME COGNOME che hanno richiamato le conclusioni già rassegnate in atti.
FATTI DI CAUSA
In data 16 ottobre 2014 l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Caserta -Ufficio Controlli notificava al dott. COGNOME l’avviso di accertamento n. TF7010603129/2014, con il quale rideterminava il reddito del contribuente, imputandogli il reddito derivante dalla partecipazione, in qualità di socio di fatto, nelle società olandesi RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ritenute esterovestite, destinatarie di precedenti avvisi di accertamento, emessi dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale I di Milano.
La CTP accoglieva il ricorso proposto dal contribuente e annullava l’avviso di accertamento, rilevando che nel caso di specie non fossero ravvisabili i presupposti per ritenere integrata la fattispecie di società di fatto, non avendo l’Ufficio finanziario provato in alcun modo gli elementi sintomatici, quali il fondo comune, l’ affectio societatis , la partecipazione all’alea e la manifestazione all’esterno della qualità di socio.
La Commissione Tributaria Regionale della Campania rigettava quindi l’appello dell’Agenzia delle entrate, confermando il rilievo dei primi giudici in merito a ll’assenza di elementi concreti per ritenere dimostrata la società di fatto tra il ricorrente e gli altri soggetti menzionati nell’atto impositivo.
L’Amministrazione finanziaria ha proposto ricorso per cassazione avverso la decisione assunta dal giudice del gravame, affidandosi a quattro motivi di impugnazione. Resiste con controricorso il contribuente, che ha chiesto dichiararsi il ricorso erariale inammissibile o comunque infondato.
Il Pubblico ministero, in persona del Sostituto procuratore generale dott. NOME COGNOME ha depositato in data 26/01/2025 requisitoria scritta, chiedendo di acquisire il fascicolo processuale d’ufficio per verificare la presenza del l’attestazione formale del
passaggio in giudicato della sentenza penale di assoluzione indicata in ricorso, con conseguente rigetto del ricorso stesso.
Successivamente, in data 28/02/2025, nel rispetto del termine di quindici giorni prima dell’udienza prescritto dall’art. 21 -bis del d.lgs. n. 74/2000, il controricorrente ha depositato la sentenza n. 3689, resa l’11 maggio 2015 dalla Corte d’Appello di Milano, Sezione Seconda Penale, e depositata in cancelleria il 10 luglio 2015, munita di attestazione di passaggio in giudicato nei confronti dei sig.ri COGNOME e COGNOME e la sentenza n. 11270/2018, resa il 10 ottobre 2018 dal Tribunale Penale di Milano in composizione monocratica, Sezione Prima Penale, e depositata in cancelleria il 29 novembre 2018, munita di attestazione di passaggio in giudicato nei confronti dei sig.ri COGNOME e COGNOME
Ha inoltre depositato, in data 06/03/2025, memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c., nella quale ha affermato che, in relazione ai medesimi fatti di cui è causa hanno avuto luogo diversi processi in sede penale, che si sono tutti conclusi con pronunce irrevocabili di assoluzione rese nei confronti dei presunti soci di fatto perché il fatto non sussiste e/o perché gli imputati non l’hanno commesso.
In maggior dettaglio, come rilevato anche dal Procuratore Generale nella sua requisitoria, con riferimento alla società RAGIONE_SOCIALE ritenuta esterovestita, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME sono stati rinviati a giudizio, nella qualità di amministratori di fatto, per il reato di omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi in relazione ai periodi di imposta dal 2001 al 2007, e il processo penale che ne è scaturito si è concluso in secondo grado con sentenza n. 3689 della Corte d’Appello di Milano, Sezione Seconda Penale, depositata in cancelleria il 10 luglio 2015 che ha assolto COGNOME, Barletta e COGNOME perché il fatto non sussiste (essendo COGNOME già stato assolto in primo grado). COGNOME, COGNOME, Barletta e
Knuvers sono stati rinviati a giudizio, con analoghe imputazioni, anche rispetto alla posizione delle altre società estere (RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, ritenute società di fatto esterovestite al pari della RAGIONE_SOCIALE e sono stati assolti dai reati loro ascritti perché il fatto non sussiste con sentenza n. 11270/2018 del Tribunale Penale di Milano in Composizione Monocratica, Sezione Prima Penale, depositata in cancelleria il 29 novembre 2018.
Quindi, in data 7/03/2025, il controricorrente ha depositato ‘Istanza di rinvio’, dando atto che, con ordinanza interlocutoria n. 5714, pubblicata il 4 marzo 2025, questa Corte di cassazione ha rimesso alla Prima Presidente gli atti della causa per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite per la soluzione della questione rappresentata dall’ambito di efficacia dell’art. 21 -bis del D.Lgs. n. 74/2000, sia in relazione al profilo della estensione anche al rapporto impositivo (e non solamente sanzionatorio) degli effetti della sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa ad esito del dibattimento con la formula ‘perché il fatto non sussiste’ ovvero ‘perché l’imputato non l’ha commesso’, sia in ordine alla applicabilità della nuova disciplina alla ipotesi di assoluzione con la formula prevista dal secondo comma dell’art. 530 c.p.p.
Infine, in sede di discussione si è rilevato che la Commissione di Giustizia Tributaria di secondo grado del Piemonte, con ordinanza in data 11/02/2025, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 21 -bis cit. per violazione degli artt. 3, 24 Cost.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., l’Agenzia delle Entrate denuncia la nullità della sentenza impugnata, in conseguenza della violazione degli artt. 36, comma 2, e 61 del D.lgs. n. 546 del 1992,
e dell’art. 132, comma secondo, n. 4), cod. proc. civ., nonché dell’art. 118 Disp. att. cod. proc. civ., a causa dell’apoditticità e mera apparenza della motivazione espressa dalla CTR.
Mediante il secondo strumento di impugnazione la ricorrente censura, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della pronuncia del giudice del gravame, in conseguenza della violazione degli articoli 14, 60 e 61 del D.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 102 cod. proc. civ., per avere il giudice del gravame disatteso l’istanza di riunione del presente processo, proposta nell’interesse di NOME COGNOME e di NOME COGNOME con i molteplici giudizi pendenti aventi oggetto analogo, richiesta che il giudice di appello non ha accolto, violando in tal modo il principio del litisconsorzio necessario.
Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., l’Amministrazione finanziaria deduce la nullità della sentenza della CTR, in conseguenza della violazione dell’art. 295 cod. proc. civ. e dell’art. 1 del D.lgs. n. 546 del 1992, per non avere il giudice di appello disposto la necessaria sospensione del processo in attesa del passaggio in giudicato delle decisioni pregiudicanti emesse con riferimento agli accertamenti compiuti nei confronti delle società.
Con il quarto mezzo di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente lamenta la violazione degli art. 2247, 2727, 2729 e 2696 cod. civ., per non avere il giudice dell’appello fatto buon governo della prova per presunzioni, escludendo l’esistenza delle società di fatto senza esaminare gli elementi indiziari offerti.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
5.1. L’assenza della motivazione, la sua mera apparenza, o ancora la sua intrinseca illogicità, implicano una violazione di legge costituzionalmente rilevante e, pertanto, danno luogo ad un error in procedendo , la cui denuncia è ammissibile dinanzi al giudice di
legittimità ai sensi del n. 4 dell’art. 360, ponendosi come violazione delle norme poste a presidio dell’obbligo motivazionale (Cass. S.U. sentenze 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054). In sostanza, il vizio di motivazione che solo può dar luogo alla cassazione della sentenza è quello che attinge il nucleo fondamentale della sentenza, il cosiddetto minimo costituzionale di esplicitazione delle ragioni poste a base della sentenza.
5.2. Va ancora rammentato che «La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.» (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Cass. Sez. 1, 03/03/2022 n. 7090).
5.3. Nessuna di tali fattispecie ricorre nel caso in esame, in quanto dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata, di cui si darà più ampiamente conto infra , emerge con chiarezza ed esaustività l’iter logico seguito dalla CTR per argomentare i propri convincimenti.
Con il terzo motivo di ricorso, da esaminarsi in via di precedenza, in quanto con esso l’Amministrazione finanziaria denuncia ancora la nullità della sentenza della CTR, per non avere il
giudice dell’appello disposto la necessaria sospensione del processo in attesa del passaggio in giudicato delle decisioni pregiudicanti emesse nei giudizi relativi agli accertamenti compiuti nei confronti delle società.
6.1. In materia, questa Corte regolatrice ha avuto condivisibilmente occasione di chiarire che «in tema di sospensione del processo, nel caso in cui il giudizio pregiudicante sia stato deciso con una sentenza impugnata, trova applicazione l’art. 337, comma 2, c.p.c., e, poiché la sentenza, ancor prima e indipendentemente dal suo passaggio in giudicato, esplica una funzione di accertamento al di fuori del processo, l’ambito di applicazione del predetto art. 337, comma 2, deve essere esteso alle impugnazioni diverse dalla revocazione straordinaria e dalla opposizione di terzo, e la stessa disposizione deve essere interpretata nel senso che essa impone al giudice l’alternativa di tenere conto della sentenza invocata – che è quella sulla quale può essere fondata un’azione o un’eccezione – senza alcun impedimento derivante dalla sua impugnazione o dalla sua impugnabilità, o di sospendere il processo nell’esercizio del suo potere discrezionale» (Cass. sez. V, 17.11.2021, n. 34966). Inoltre, già le Sezioni Unite avevano chiarito che «in tema di sospensione del giudizio per pregiudizialità necessaria, salvi i casi in cui essa sia imposta da una disposizione normativa specifica che richieda di attendere la pronuncia con efficacia di giudicato sulla causa pregiudicante, quando fra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità tecnica e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, la sospensione del giudizio pregiudicato non può ritenersi obbligatoria ai sensi dell’art. 295 c.p.c. (e, se disposta, può essere proposta subito istanza di prosecuzione ex art. 297 c.p.c.), ma può essere adottata, in via facoltativa, ai sensi dell’art. 337, secondo comma, c.p.c., applicandosi, nel caso del sopravvenuto verificarsi
di un conflitto tra giudicati, il disposto dell’art. 336, secondo comma, c.p.c.» (Cass. SU, 29.7.2021, n. 21763).
6.2. Pertanto, la CTR non era tenuta a sospendere il giudizio e, nell’esercizio della sua discrezionalità valutativa, ha legittimamente ritenuto di non disporla.
6.3. Il terzo mezzo d’impugnazione non risulta pertanto fondato, e deve perciò essere rigettato.
Con il quarto strumento di impugnazione, anch’esso da trattarsi con precedenza stante la potenziale decisività, l’Amministrazione finanziaria ricorrente deduce che il giudice dell’appello non avrebbe fatto buon governo della prova per presunzioni, escludendo l’esistenza della società di fatto senza esaminare gli elementi indiziari offerti.
7.1. Il motivo è inammissibile, come da espressa eccezione del ricorrente e come rilevato dal Pubblico ministero nella propria requisitoria.
7.2. La Commissione regionale, nella sentenza impugnata, ha sinteticamente, ma in modo esaustivo, dato atto di avere esaminato e valutato gli elementi di prova addotti dalle parti, ed in esito ha ritenuto non dimostrati i presupposti di fatto e diritto in merito alla sussistenza di una società di fatto tra il Pisanti e gli altri soggetti coinvolti, evidenziando il ruolo di dominus di NOME COGNOME.
7.3. Innanzitutto la CTR ha evidenziato il dato, ritenuto assorbente e risolutivo ai fini del giudizio di infondatezza delle censure mosse, della «intrinseca contraddittorietà insita nel ragionamento dell’Ufficio che negli stessi accertamenti (sia quello oggetto del presente giudizio che in quelli richiamati nell’atto di appello, ed oggetto di una diversa controversia) ha fortemente rimarcato il ruolo fondamentale ed esclusivo del Barletta quale dominus degli interessi economici e delle scelte gestionali del complesso gruppo societario allo stesso riconducibile». A tale riguardo, richiamando
quanto già osservato dai giudici di primo grado di cui ha confermato la pronuncia, la Commissione territoriale ha ribadito «il ruolo preminente, propositivo e direttivo di Barletta NOME, che rendeva del tutto secondario il ruolo invece svolto dagli altri soggetti cui vorrebbe attribuirsi la qualità di soci di fatto», evidenziando trattarsi di «un’organizzazione connotata da caratteri fortemente gerarchici, nella quale il Barletta assume un ruolo di vertice, mentre gli altri soggetti coinvolti, pur operando talvolta in prima persona quali amministratori o responsabili delle finanze, lo fanno nella qualità di dipendenti (come per il COGNOME) ovvero di consulenti (come per il COGNOME ed in Knuvers), in ogni caso privi di poteri decisionali, di dominio esclusivo invece del Barletta delle cui volontà sono quindi esecutori e talvolta suggeritori».
Il giudice dell’appello ha inoltre sottolineato che il fatto che il COGNOME possa avere «raccolto informazioni, suggerito strategie, ovvero compiuto attività negoziali (come nel caso in esame la conclusione di contratti di conto corrente) il patrimonio delle società esterovestite è stato fornito esclusivamente dal Barletta, mancando la prova anche dell’affectio societatis e della compartecipazione agli utili ed alle perdite», per concludere che « (…) dalla stessa prospettazione fattuale emergente dagli accertamenti compiuti dall’Ufficio, la qualità di socio attribuita ai soggetti diversai dal Pisanti è priva di un effettivo riscontro, essendo carente la ricorrenza degli elementi che, secondo la stessa ricostruzione in diritto dell’Ufficio, devono essere presenti per l’esistenza di una società di fatto. Appare del tutto plausibile invece la diversa ricostruzione operata dalla difesa del contribuente che, impregiudicata la sua consapevolezza e partecipazione agli intenti elusivi e fraudolenti del Barletta, ha rimarcato il ruolo assolutamente subordinato svolto nella vicenda e che lo relega pur sempre al rango di consulente e collaboratore dell’effettivo fruitore del marchingegno illecito posto in essere dal Barletta, ma non
anche di socio di fatto delle società esterovestite per finalità elusive».
7.4. L’Amministrazione finanziaria non si confronta con la decisione assunta dalla CTR, non ne confuta il fondamento.
Il giudice dell’appello afferma non esservi alcuna prova dell’esistenza delle società di fatto e della partecipazione ad esse del contribuente, ma la ricorrente non illustra analiticamente le prove, anche presuntive, che avrebbe portato a supporto dei propri contrari argomenti. Insiste nel riproporre le sue tesi, come la funzione di rilievo assunta dal COGNOME in società del Gruppo Barletta, ma non contrasta la valutazione, presente e chiara, della CTR secondo cui questa attività nulla dimostra in ordine alla sua partecipazione a società diverse da quelle in cui ha ricoperto anche incarichi dirigenziali, peraltro sempre sottoposto alle direttive dell’imprenditore Barletta, unico finanziatore dell’operazione . L’Agenzia delle Entrate neppure illustra come avrebbe provato l’esistenza di un fondo comune, dell’ affectio societatis , di un accordo di ripartizione degli utili e delle perdite.
8. In conseguenza della dichiarata inammissibilità del superiore motivo perde rilevanza la questione della violazione del litisconsorzio necessario previsto dell’art. 14 del D.lgs. 546/1992, rilevabile ex officio e nondimeno fatta oggetto di espressa denuncia con il secondo motivo di ricorso dell’Amministrazione finanziaria.
Infatti, una volta ritenuta esclusa la sussistenza della società di fatto tra il ricorrente COGNOME e gli altri asseriti soci, viene meno la rilevanza della sollevata questione del mancato rispetto del litisconsorzio necessario. E’ opportuno ricordare che, a tale riguardo, questa Corte, con condiviso orientamento, ha affermato che «Nel giudizio di cassazione, in presenza di un accertamento di maggiore imponibile a carico di una società di persone ai fini delle imposte dirette, Irap e Iva, fondato sugli stessi fatti o su elementi comuni, la nullità dei giudizi di merito – per essere stati celebrati, in
violazione dei principio del contraddittorio, senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari (società e soci) – non va dichiarata qualora il ricorso per cassazione dell’Amministrazione finanziaria risulti inammissibile o “prima facie” infondato, atteso che in tal caso, non derivando ai litisconsorti pretermessi alcun danno dalla detta pronuncia, disporre la rimessione al giudice di primo grado contrasterebbe con i principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, che hanno fondamento nell’art. 111, comma 2, Cost. e nell’art. 6, par. 1, CEDU» (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 18890 del 03/07/2021), né permane interesse della ricorrente, che non trarrebbe alcun vantaggio.
Parimenti, in ragione della rilevata inammissibilità del ricorso erariale, non incide sul presente giudizio la questione della applicabilità della disciplina di cui all’invocato art. 21 -bis del D.L. n. 74/2000, che dispone che «La sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi», dovendo pertanto escludersi la necessità di un rinvio a nuovo ruolo della causa.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente l’Agenzia delle Entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. n. 30 maggio n. 115, art. 13 comma 1quater (Cass. 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 20.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 20/03/2025.