Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16706 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16706 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/06/2025
Oggetto: Associazione temporanea di imprese – Legittimazione fiscale passiva – Società di fatto
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6400/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ; -ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE impresa individuale;
COGNOMEintimata – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria, n. 2315/01/2017, depositata in data 28 luglio 2017. 2025
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio de ll’8 maggio dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Associazione RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME (d’ora in avanti, per brevità, ATI) impugnava l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO con cui l’Agenzia delle entrate rideterminava le imposte dovute (IVA, IRAP ed IRES) per l’anno
2006, previa riqualificazione dell’ATI in termini di società di fatto, per la mancanza di distinguo circa le opere realizzate dalle singole imprese.
La Commissione tributaria provinciale di Cosenza accoglieva il ricorso ritenendo l’ATI priva di soggettività fiscale passiva.
Interposto gravame dall’Ufficio, la Commissione tributaria regionale della Calabria confermava la sentenza di primo grado; dopo aver ripercorso l’evoluzione giurisprudenziale e normativa in tema di legittimazione (attiva e passiva) dell’RAGIONE_SOCIALE, o, recte , della impresa capofila, la CTR rilevava che l’Ufficio non aveva provato la stipulazione, nella specie, di una società di fatto tra le imprese formalmente raggruppate nell’ATI, ‘ a nulla valendo, in senso opposto, la ricostruzione svolta nel processo verbale di accertamento, la quale appare fondata solo su ricostruzioni ipotetiche ma prive di riscontro fattuale e, quindi, incapaci di minare la validità dell’atto pubblico costitutivo dell’ATI prodotto da parte resistente’ (pag. 3 della sentenza).
Avverso la decisione della CTR ha proposto ricorso per cassazione l’Ufficio , affidandosi a due motivi. L’A TI è rimasta intimata.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per l’08 /05/2025.
Considerato che:
Con il primo motivo di impugnazione, proposto in relazione a ll’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., l’Agenzia denuncia la «violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, in particolare degli artt. 55, 5 e 6 del D.P.R. n. 917/1986, nonché degli artt. 1325 n. 2, 2082, 2195 e 2247 del codice civile e dell’art. 37 del d.lgs. n. 163/2006 (ratione temporis), tutti in combinato disposto con l’art. 2697 c.c.». Afferma, in particolare, che la CTR avrebbe erroneamente concentrato il proprio giudizio sull’assunto, errato in diritto, che le caratteristiche (astratte) dell’ATI (in particolare, l’esistenza del mandato alla capogruppo) ostano alla configurabilità
di una società di fatto; di contro, nella specie l’elemento da valutare era il ‘carattere esteriore dell’atteggiarsi dell’ATI’ (pag. 9 del ricorso).
Il giudizio sulla natura di società di fatto, dietro lo schermo dell’ATI, sarebbe stato operato dalla CTR su un presupposto giuridico sbagliato (l’esistenza di rapporti regolati dal mandato), in quanto estraneo alla fattispecie della società di fatto.
1.1. Il motivo è inammissibile sotto il profilo della asserita violazione dell’art. 2697 cod. civ., tra l’altro, nemmeno argomentata in sede di esposizione del motivo. La disamina operata dalla C.T.R. esclude la fondatezza della ricostruzione dell’Ufficio e la doglianza , ancorché proposta in termini di violazione di legge, si risolve in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia di fatto, certamente estranea alla natura e ai fini del giudizio di cassazione (Cass., Sez. U., 25/10/2013, n. 24148).
La violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura unicamente nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando il ricorrente intenda lamentare che, a causa di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, la sentenza impugnata abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata non avesse assolto tale onere (Cass., 21/3/2022, n. 9055).
Peraltro, anche la selezione, tra gli indizi offerti dall’Amministrazione a dimostrazione delle pretese fiscali, di quelli reputati rilevanti rientra a pieno titolo nel meccanismo di operatività dell’art. 2729 cod. civ., il quale, nel prescrivere che le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla “prudenza del giudice” (secondo una formula analoga a quella che si rinviene nell’art. 116 cod. proc. civ. a proposito della valutazione delle prove dirette), si articola nei due momenti valutativi della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, volta a scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e a conservare viceversa quelli che, presi singolarmente,
rivestono i caratteri della precisione e gravità, e della successiva valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi così isolati, oltreché dell’accertamento della loro idoneità alla prova presuntiva se considerati in combinazione tra loro (c.d. convergenza del molteplice), essendo erroneo l’operato del giudice di merito il quale, al cospetto di plurimi indizi, li prenda in esame e li valuti singolarmente, per poi giungere alla conclusione che nessuno di essi assurga a dignità di prova (da ultimo Cass., 21/03/2022, n. 9054; Cass. 05/04/2023, n. 9336; v. anche Cass., 09/03/2012 n. 3703).
Nella specie la CTR ha ritenuto non provata la ricostruzione svolta nel l’avviso di accertamento (circa la stipulazione de facto di un contratto di società in luogo della formale costituzione di un’ATI), in quanto basata su mere ricostruzioni ipotetiche prive di riscontro fattuale, inidonee a minare la validità dell’atto pubblico costitutivo dell’ATI. In tal modo, non ha affatto violato il disposto dell’art. 2697 cod. civ..
1.2. Il motivo è, poi, infondato in quanto muove da un presupposto errato; l’Ufficio afferma ( pag. 11 del ricorso) e ribadisce (pag. 15) che la CTR avrebbe, nella specie, escluso la sussistenza di una società di fatto tra le imprese raggruppate nell’ATI – escludendo, quindi, la soggettività passiva tributaria di quest’ultima – solo sulla scorta della verifica dei rapporti interni tra le imprese in termini di mandato.
La Corte osserva di contro che, come supra già evidenziato, il giudice del gravame, dopo aver ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale in materia di ATI, ha ritenuto non fornita dall’Ufficio la prova della costituzione, nella specie, di una società di fatto, sotto lo schermo formale dell ‘ATI; ha ritenuto, in particolare, meramente ipotetiche le ricostruzioni operate dall’Agenzia nell’avviso di accertamento (pag. 3 della sentenza). Ciò, all’evidenza, a prescindere dalla valutazione (in termini di mandato) dei rapporti interni tra le imprese del gruppo.
Con il secondo motivo l’Ufficio denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., la «nullità della sentenza per violazione di norme processuali, in particolare degli artt. 2 e 36 d.lgs. n. 546/1992 e 112 e 132 c.p.c.» per avere la CTR omesso l’accertamento in concreto dell’ affectio societatis al fine della configurabilità di una società di fatto; la CTR avrebbe affermato che la costituzione di un’ATI, presupponendo l’esistenza di un mandato, non comporta un’organizzazione unitaria riconducibile alla società di fatto.
Il motivo, che sostanzialmente ripropone sotto diverso angolo prospettico la medesima doglianza svolta nel primo strumento, è infondato.
2.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte «la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (Cass., Sez. U., 07/94/2014 n. 8053).
Inoltre, la motivazione è solo «apparente» e la sentenza è nulla quando benché graficamente esistente, non renda percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal
giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. n. 8053/2014 cit.).
Si è, più recentemente, precisato che «in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali» (Cass. 03/03/2022, n. 7090).
2.2. Ora, nella specie la CTR ha chiaramente argomentato il proprio decisum in punto di rigetto della ricostruzione operata dall’Ufficio nell’avviso di accertamento impugnato . Precisamente, ha ritenuto ipotetiche le deduzioni ivi svolte dall’Agenzia, senza arrestarsi all’assunto, in punto di diritto, della incompatibilità tra ATI e organizzazione unitaria tra le imprese riunite.
Il ricorso va, pertanto, integralmente rigettato.
Nulla va disposto sulle spese, non avendo la contribuente svolto attività difensiva.
Rilevato che risulta soccombente l’Agenzia delle entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 228 del 2012 (Cass. 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del l’8 maggio 2025.