Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23577 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 23577 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4683/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME elettivamente domiciliati presso il suo domicilio digitale di posta elettronica certificata;
-controricorrenti- per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia n. 7058/2022, depositata il 17 agosto 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-Nel corso dell’anno 2000 i cognati NOME COGNOME e NOME COGNOME acquistavano la proprietà indivisa di un terreno sito nel territorio del Comune di Agrigento.
Nel corso del 2006, dopo avere ottenuto dal Comune di Agrigento il titolo edilizio per l’edificazione di un fabbricato, NOME COGNOME e NOME COGNOME stipulavano un contratto di appalto con la RAGIONE_SOCIALE per l’esecuzione delle sole opere in cemento armato. I lavori dati in appalto terminavano nel corso del 2007 con la realizzazione della struttura portante in cemento armato.
In data 7.10.2009, NOME COGNOME decedeva e si apriva la successione in favore della moglie, NOME COGNOME e dei figli, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
In data 4.9.2012, la Guardia di Finanza – Nucleo di Polizia Tributaria di Agrigento iniziava una verifica fiscale nei confronti di un’ipotizzata società di fatto costituita da NOME COGNOME e NOME COGNOME supponendo l’esercizio dell’attività d’impresa commerciale di costruzione e vendita di immobili.
In data 5.10.2012, la suddetta verifica si concludeva con la redazione di un processo verbale di constatazione recante rilievi in materia di imposte sui redditi, IRAP ed IVA per gli anni 2006, 2007, 2008 e 2009.
In data 12.12.2012, la Direzione Provinciale di Agrigento dell’Agenzia delle Entrate notificava a NOME COGNOME e ai predetti eredi di NOME COGNOME l’avviso di accertamento ai fini delle imposte sui redditi, dell’IRAP e dell’IVA per l’anno 2007, con
contestuale atto di irrogazione delle sanzioni, che ha dato origine alla presente controversia, recante il n. TY502T100107/2013.
L’Ufficio, in particolare, operava nei confronti della presunta società di fatto ‘RAGIONE_SOCIALE‘ un accertamento induttivo, ai sensi dell’art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600/1973, assumendo che quest’ultima, nel corso dell’anno 2007, a fronte di presunte ‘esistenze iniziali’ pari a euro 120.000,00 e di ‘acquisti relativi all’anno 2007 pari ad euro 247.832,00’ ed ‘in assenza di rimanenze finali al 31/12/2007’, avrebbe venduto beni conseguendo ricavi per un ammontare di euro 496.573,00, calcolati applicando ‘la percentuale di ricarico del 35%’ al ‘costo del venduto pari ad euro 367.832,00’. In tal senso, la società avrebbe maturato un reddito d’impresa di euro 128.741,00 pari alla differenza fra i predetti ricavi (euro 496.573,00) e i ‘costi riconosciuti per l’anno 2007’ ( euro 367.832,00). Ai fini dell’IRAP, l’Ufficio calcolava il valore della produzione netta imponibile di euro 120.741,00 sulla base del medesimo procedimento adottato ai fini dell’IRES, considerando la deduzione di euro 8.000,00 ai sensi dell’art. 1, comma 4bis , d.lgs. n. 446/1997 e liquidando così un debito d’imposta di euro 5.131,00.
Con riguardo all’IVA, invece, l’Ufficio accertava un volume d’affari di euro 896.573,00, assumendo l’omessa fatturazione e dichiarazione dei predetti presunti ricavi, pari a euro 496.573,00, nonché dell’acconto di euro 400.000,00 al quale si erano riferiti i verbalizzanti della Guardia di Finanza. L’Agenzia delle entrate liquidava così un debito d’imposta di euro 179.315,00.
L’avviso recava, infine, un contestuale provvedimento di irrogazione della sanzione di euro 458.966,20, per presunte violazioni consistenti nell’omessa presentazione delle dichiarazioni ai fini dell’IRAP e dell’IVA, nonché per ‘omessa, infedele, tardiva
registrazione di fatture emesse, corrispettivi, operazioni imponibili’ e per ‘mancata o irregolare tenuta, conservazione rifiuto di esibire, dei registri di cui agli artt. 23 e/o 24 e/ o 25 e/o 39’ e per ulteriori e violazioni relative al precedente periodo d’imposta. Tuttavia, ‘tenuto delle sanzioni già irrogate con gli atti relativi alle annualità precedenti, per un totale di euro 43.200,00’, l’Ufficio precisava che ‘la sanzione relativa all’anno 2007 è pari a euro 414.966,20’.
L’Ufficio emetteva altresì gli avvisi di accertamento, ai fini delle imposte sui redditi per l’anno 2007, sia nei confronti dei predetti eredi di NOME COGNOME (avviso n. TY502T103222/2012) sia nei confronti di NOME COGNOME (avviso n. TY502T103216/2012).
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME nella qualità di eredi di NOME COGNOME e NOME COGNOME impugnavano l’avviso di accertamento n. CODICE_FISCALE, proponendo ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Agrigento.
L’Agenzia delle entrate si costituiva in giudizio.
Con sentenza n. 3116/04/15 depositata il 29 giugno 15 la Commissione tributaria provinciale di Agrigento accoglieva il ricorso.
-Avverso tale pronuncia l’Agenzia delle entrate proponeva atto di appello.
La Commissione tributaria regionale di Palermo, con sentenza n. 7058/08/2022, rigettava l’appello dell’Ufficio .
-L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
I contribuenti si sono costituiti con controricorso.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con primo motivo di ricorso, si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 41 d .P.R. n. 600/1973 e dell’art. 2247 c.c., in relazione all’art . 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in quanto la sentenza di secondo grado, ritenendo non adempiuto l’onere della prova a carico dell’Ufficio circa l’esercizio di un’attività commerciale comune, ha escluso la configurabilità di una società di fatto finalizzata allo svolgimento di un’attività di impresa esercitata abitualmente.
1.1. -Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
L’accertamento, ai fini fiscali, dell’esistenza di una società di fatto presuppone l’effettiva esistenza di tutti gli elementi costitutivi del vincolo societario – quali l’intenzionale esercizio in comune fra i soci di un’attività commerciale, anche occasionale, a scopo di lucro, ed il conferimento a tal fine dei necessari beni e servizi – che l’Amministrazione è tenuta a provare, anche in via presuntiva, poiché la sola apparenza del vincolo sociale nei confronti dei terzi non costituisce un autonomo titolo della responsabilità fiscale dei soci (nascendo l’obbligazione tributaria ex lege solo al concreto verificarsi del presupposto dell’imposizione), ma è uno dei possibili indici rivelatori della reale esistenza di tale società (Cass. n. 2123/2025; Cass. n. 27088/2008).
La mancanza della prova scritta del contratto di costituzione di una società di fatto o irregolare (non richiesta dalla legge ai fini della sua validità) non impedisce al giudice del merito l’accertamento “aliunde”, mediante ogni mezzo di prova previsto dall’ordinamento, ivi comprese le presunzioni semplici, dell’esistenza di una struttura societaria, all’esito di una rigorosa valutazione (quanto ai rapporti tra soci) del complesso delle circostanze idonee a rivelare l’esercizio in comune di una attività
imprenditoriale, quali il fondo comune costituito dai conferimenti finalizzati all’esercizio congiunto di un’attività economica, l’alea comune dei guadagni e delle perdite e l'”affectio societatis”, cioè il vincolo di collaborazione in vista di detta attività nei confronti dei terzi; peraltro, è sufficiente a far sorgere la responsabilità solidale dei soci, ai sensi dell’art. 2297 c.c., l’esteriorizzazione del vincolo sociale, ossia l’idoneità della condotta complessiva di taluno dei soci ad ingenerare all’esterno il ragionevole affidamento circa l’esistenza della società. Tali accertamenti, risolvendosi nell’apprezzamento di elementi di fatto, non sono censurabili in sede di legittimità, se sorrette da motivazioni adeguate ed immuni da vizi logici o giuridici (Cass. n. 8981/2016; Cass. n. 5961/2010).
L’Agenzia delle entrate ipotizza l’esistenza di una società di fatto tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, finalizzata alla realizzazione e successiva vendita di appartamenti siti in Agrigento, che sarebbe comprovata dai seguenti fatti, circostanze ed elementi che dimostrerebbero l’esercizio in comune di una attività d’impresa:
la concessione edilizia rilasciata dal Comune di Agrigento o per la costruzione di un fabbricato da adibire ad uffici amministrativi;
il contratto di appalto stipulato dai proprietari del fondo per la costruzione del fabbricato;
il contratto preliminare di vendita mista a permuta con NOME COGNOME e NOME COGNOME mediante il quale si impegnavano a vendere loro il fabbricato allo stato grezzo al prezzo di euro 2.000.000,00; le stesse a parziale pagamento del corrispettivo, cedevano le proprie quote, pari al 25% ciascuna, detenute nella società di fatto RAGIONE_SOCIALE con sede in Agrigento, (proprietaria di immobile in Agrigento –
Vill. Mosè) per un prezzo stimato di euro 800.000,00, imputati per la metà ad acconto e per metà a caparra confirmatori (poi non conclusa).
Tali elementi non appaiono di per sé decisivi al fine di dimostrare l’esistenza di una società di fatto, essendo l’Agenzia delle entrate onerata della prova – oltre al requisito dell’apparenza del vincolo societario nei confronti di terzi, quale indice rivelatore della reale esistenza della società – dell’intenzionale esercizio in comune fra i soci di un’attività commerciale, anche occasionale, a scopo di lucro, e del conferimento a tal fine dei necessari beni e servizi (art. 2247 c.c.), tenuto conto anche dei legami di parentela intercorrenti tra le parti.
Il fine di lucro, peraltro, presente nella realizzazione di appartamenti destinati alla vendita, non è l’ elemento decisivo per dimostrare l’ esistenza di una società di fatto. Il fine lucrativo è infatti comune a qualunque operazione economica, che di per sé non implica la creazione di un vincolo sociale se vi partecipa più di una persona. Diversamente argomentando -con riferimento al caso di specie -qualunque costruzione di un immobile su un terreno in comproprietà, e poi messo a rendita, dovrebbe dar luogo a una fattispecie societaria.
2. -Con il secondo motivo di ricorso, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., degli artt. 36 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992, per carenza di motivazione, ovvero per assoluta contraddittorietà o illogicità delle argomentazioni a sostegno della decisione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per aver il giudice di seconde cure reso un’apparente motivazione, essendosi limitato a motivare per relationem alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa.
2.1. -Il motivo è infondato.
In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del ‘ minimo costituzionale ‘ richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. (Cass. n. 13248/2020; Cass. n. 17196/2020), che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. n. 7090/2022).
Non si ravvisa, nella specie , nessuna violazione del ‘minimo costituzionale’, né la pronuncia si è limitata a recepire apoditticamente la pronuncia di prime cure, avendo la Commissione tributaria regionale dato conto delle ragioni poste alla base del rigetto dell’impugnazione.
-Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.900,00 per compensi, oltre euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali e accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 27 giugno 2025.
Il Presidente
NOME COGNOME