LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Società di fatto: la Cassazione e la prova mancata

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria contro un contribuente, accusato di far parte di una società di fatto esterovestita. La Corte ha stabilito che l’Agenzia non ha fornito prove concrete e specifiche per dimostrare l’esistenza del rapporto sociale, limitandosi a riproporre le proprie tesi senza confutare analiticamente la valutazione dei giudici di merito. La decisione sottolinea che, per provare una società di fatto, non basta indicare il ruolo operativo di un soggetto, ma è necessario dimostrare elementi come il fondo comune, la condivisione dei rischi (alea) e l’intento di collaborare (affectio societatis).

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di fatto: quando la prova non basta secondo la Cassazione

L’accertamento di una società di fatto è uno strumento cruciale per l’Amministrazione Finanziaria nella lotta all’evasione fiscale, specialmente in contesti internazionali complessi. Tuttavia, la sua esistenza non può essere presunta, ma deve essere rigorosamente provata in giudizio. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ribadisce questo principio, dichiarando inammissibile il ricorso del Fisco per mancanza di prove specifiche e analitiche. Vediamo nel dettaglio il caso e le importanti conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti di Causa: L’accertamento fiscale e la presunta società di fatto

La vicenda trae origine da una verifica fiscale della Guardia di Finanza nei confronti di una società di capitali olandese. Secondo gli investigatori, tale entità era in realtà una società di fatto esterovestita, con sede direttiva in Italia e composta da quattro soci. Sulla base di questi presupposti, l’Amministrazione Finanziaria emetteva un avviso di accertamento nei confronti di uno dei presunti soci, imputandogli per trasparenza una quota del reddito prodotto dalla società (pari al 20%) per l’anno d’imposta 2005.

Il Giudizio di Merito: La decisione dei giudici tributari

Il contribuente impugnava l’atto impositivo, ottenendo ragione sia in primo che in secondo grado. La Commissione Tributaria Provinciale prima, e quella Regionale poi, annullavano l’avviso di accertamento. I giudici di merito concludevano che mancavano elementi concreti per dimostrare l’esistenza di una società di fatto tra il contribuente e gli altri soggetti indicati. In particolare, il ruolo del contribuente, descritto dal Fisco come ‘Capo Area Finanze’ o ‘dirigente occulto’, veniva ritenuto compatibile con un rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione professionale, piuttosto che con la qualità di socio. Secondo la Commissione Regionale, l’Amministrazione non aveva provato gli elementi essenziali del vincolo sociale, come l’esistenza di un fondo comune, la condivisione dei rischi d’impresa (l’alea) e l’intento comune di perseguire un profitto (la cosiddetta affectio societatis).

Il Ricorso per Cassazione e la prova della società di fatto

L’Amministrazione Finanziaria proponeva ricorso per cassazione, lamentando principalmente la violazione delle norme sulla prova (artt. 2697 e 2729 c.c.). A suo dire, i giudici di merito non avevano correttamente valutato gli elementi indiziari offerti, che avrebbero dovuto condurre a ritenere provata per presunzioni l’esistenza della società di fatto. Tuttavia, il ricorso veniva giudicato generico e, di conseguenza, inammissibile.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha ritenuto il motivo di ricorso inammissibile perché l’Amministrazione Finanziaria non si è confrontata specificamente con la decisione impugnata. Invece di contestare punto per punto le argomentazioni della Commissione Tributaria Regionale, l’Agenzia si è limitata a riproporre la propria tesi, senza illustrare analiticamente quali prove, anche presuntive, sarebbero state trascurate o mal valutate.

I giudici supremi hanno evidenziato che l’appello del Fisco era già stato giudicato generico in secondo grado, poiché non specificava da quali elementi si sarebbe dovuta desumere l’esistenza di un investimento di risorse comuni finalizzato al profitto. Il ruolo di ‘cassiere’ o ‘dirigente’ del contribuente era stato correttamente ritenuto un dato ‘neutro’ dai giudici di merito, poiché le sue azioni avvenivano comunque ‘secondo le disposizioni operative di massima del dominus’ di un altro gruppo imprenditoriale.

In sostanza, la Cassazione ha affermato che il ricorso non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul fatto. La ricorrente avrebbe dovuto dimostrare l’errore di diritto commesso dalla Corte territoriale, non semplicemente contestarne l’apprezzamento dei fatti. L’Amministrazione Finanziaria non ha chiarito come avrebbe provato l’esistenza di un fondo comune, dell’affectio societatis e di un accordo sulla ripartizione di utili e perdite, elementi costitutivi di qualsiasi società, inclusa quella di fatto. L’inammissibilità del motivo principale ha reso irrilevanti le altre questioni sollevate, come quella sul litisconsorzio necessario e sull’efficacia della sentenza penale di assoluzione (che nel frattempo era intervenuta per gli stessi fatti).

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per l’Amministrazione Finanziaria e, in generale, per chiunque intenda agire in giudizio. Per contestare efficacemente una decisione, non è sufficiente riaffermare la propria posizione; è indispensabile confutare in modo specifico e analitico le fondamenta logico-giuridiche della sentenza impugnata. Nel contesto tributario, la pronuncia conferma che la prova di una società di fatto richiede un onere probatorio rigoroso. Non bastano indizi generici o ruoli operativi ambigui; è necessario fornire elementi concreti che dimostrino, in modo univoco, la sussistenza di tutti gli elementi caratteristici del contratto sociale, così come delineati dall’art. 2247 del codice civile.

Perché il ricorso dell’Amministrazione finanziaria è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché l’Amministrazione finanziaria non ha contestato in modo specifico le argomentazioni della sentenza di secondo grado. Si è limitata a riproporre le proprie tesi senza illustrare analiticamente le prove, anche presuntive, che avrebbero dimostrato l’esistenza della società di fatto e che sarebbero state ignorate o male interpretate dai giudici.

Quali elementi sono necessari per dimostrare l’esistenza di una società di fatto?
Sebbene la Corte non entri nel merito, si evince dalla decisione che per dimostrare una società di fatto sono necessari elementi concreti che provino l’esistenza di un fondo comune, l’affectio societatis (l’intento comune di collaborare per un profitto) e un accordo sulla ripartizione di utili e perdite. La sola prestazione di un’attività lavorativa, anche di alto livello, non è sufficiente.

La sentenza penale di assoluzione ha influenzato la decisione della Corte di Cassazione in questo caso?
No, in questo specifico caso la sentenza penale di assoluzione, sebbene menzionata, non ha influenzato la decisione finale. Poiché il motivo principale del ricorso dell’Agenzia delle Entrate è stato dichiarato inammissibile per ragioni procedurali (genericità), la Corte non ha avuto bisogno di esaminare la questione dell’applicabilità e dell’efficacia della sentenza penale nel giudizio tributario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati