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Società di comodo: test non vale per le nuove Srl

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 11426/2025, ha stabilito che la disciplina sulle società di comodo non si applica alle imprese di recente costituzione. Se una società non ha completato almeno due esercizi prima dell’anno d’imposta accertato, il Fisco non può utilizzare il test di operatività presuntivo. In questi casi, spetta all’Amministrazione Finanziaria dimostrare con prove concrete la natura non operativa della società, senza poter invertire l’onere della prova sul contribuente.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di comodo: la Cassazione tutela le aziende di nuova costituzione

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione stabilisce un principio fondamentale per le nuove imprese: la disciplina fiscale sulle società di comodo non può essere applicata se l’azienda non ha almeno due anni di vita prima del periodo d’imposta oggetto di verifica. Questa decisione rafforza la tutela del contribuente e chiarisce i limiti del potere di accertamento presuntivo del Fisco.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda una società a responsabilità limitata, costituita nel 2006, che aveva ricevuto un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2007. L’Amministrazione Finanziaria le contestava la qualifica di società di comodo ai sensi dell’art. 30 della Legge n. 724/1994, applicando la relativa disciplina penalizzante ai fini IRES e IRAP.

La società aveva impugnato l’atto, ma il ricorso era stato respinto in primo grado. Tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale aveva ribaltato la decisione, accogliendo l’appello della contribuente. L’Agenzia delle Entrate, non soddisfatta, ha quindi portato la questione dinanzi alla Corte di Cassazione, basando il proprio ricorso su tre motivi.

La disciplina delle società di comodo e il test di operatività

La normativa sulle società di comodo mira a contrastare l’uso di società create al solo scopo di detenere beni (immobili, partecipazioni, etc.) senza svolgere una vera e propria attività commerciale, al fine di beneficiare di un trattamento fiscale più vantaggioso.

Per individuare tali entità, la legge prevede un “test di operatività”. Questo meccanismo confronta i ricavi della società con il valore dei suoi beni patrimoniali. Se i ricavi sono inferiori a una soglia minima calcolata su una media triennale (l’anno accertato e i due precedenti), la società si presume non operativa, con conseguente tassazione su un reddito minimo presunto.

Le motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, fornendo chiarimenti cruciali sull’applicazione della normativa.

L’inapplicabilità del test triennale alla società neocostituita

Il primo e principale motivo di rigetto si fonda sull’impossibilità di applicare il test di operatività. La legge richiede esplicitamente di considerare un triennio, composto dall’esercizio in verifica e dai due precedenti. Poiché la società era stata costituita nel 2006, per l’accertamento relativo al 2007 mancava il requisito dei due esercizi precedenti.

La Corte ha specificato che non è possibile per il Fisco modificare il periodo di osservazione, ad esempio riducendolo a un biennio. Se mancano i presupposti di legge (i due esercizi anteriori chiusi), l’intero meccanismo presuntivo non può essere utilizzato. Di conseguenza, l’onere di provare l’eventuale natura non operativa della società torna interamente in capo all’Amministrazione Finanziaria, che deve farlo con prove concrete e non tramite presunzioni legali.

L’irrilevanza della mancata presentazione dell’istanza di disapplicazione

L’Agenzia lamentava che la società non avesse presentato la cosiddetta “istanza di disapplicazione”, uno strumento con cui il contribuente può chiedere preventivamente al Fisco di non applicare la normativa sulle società di comodo in presenza di oggettive situazioni che hanno impedito il raggiungimento dei ricavi minimi.

La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: la mancata presentazione di tale istanza non limita in alcun modo il diritto del contribuente alla difesa in giudizio. L’interpello non è una condizione di procedibilità dell’azione legale. Il contribuente ha sempre la facoltà di dimostrare direttamente davanti al giudice l’insussistenza delle condizioni per essere considerato una società di comodo, in piena attuazione dei principi costituzionali di tutela giurisdizionale (art. 24 e 53 Cost.).

Le conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un importante baluardo a tutela delle imprese, in particolare quelle nella fase di startup. La Corte di Cassazione ha chiarito che gli automatismi fiscali, come il test per le società di comodo, non possono essere applicati in modo distorto o quando mancano i loro presupposti fondanti. Per le società con meno di due anni di vita pregressi, il Fisco non può avvalersi della comoda presunzione legale, ma deve assumersi l’onere di dimostrare, con prove fattuali, la natura elusiva dell’entità. Questo principio garantisce maggiore certezza del diritto e protegge le nuove iniziative imprenditoriali da accertamenti fiscali basati su presunzioni non applicabili al loro specifico ciclo di vita.

A una società costituita da meno di due anni si può applicare la disciplina delle società di comodo?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il test di operatività previsto dalla legge richiede un periodo di osservazione che include l’anno in verifica e i due precedenti. Se la società non ha chiuso almeno due esercizi anteriormente a quello oggetto di accertamento, la presunzione legale non è applicabile.

Se un contribuente non presenta l’istanza di disapplicazione, può comunque difendersi in giudizio contro un accertamento per società di comodo?
Sì. La mancata presentazione dell’istanza di disapplicazione non è una condizione che impedisce l’accesso alla tutela giurisdizionale. Il contribuente conserva il pieno diritto di dimostrare in sede di contenzioso l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione della normativa antielusiva.

Se il test di operatività non è applicabile, su chi ricade l’onere di provare che una società è “di comodo”?
L’onere della prova ricade interamente sull’Amministrazione Finanziaria. Venendo meno la presunzione legale, spetta all’Ufficio dimostrare con altri strumenti probatori, anche indiziari, che la società è stata costituita per scopi elusivi e non per svolgere una reale attività d’impresa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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