Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22007 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22007 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/07/2025
Oggetto: società di comodo -interpello preventivo – periodo triennale rilevante ex art. 30 L. n. 724/94
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25458/2017 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa in forza di procura speciale in atti dall’avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL con domicilio eletto presso l’avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL
-ricorrente – contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del direttore pro tempore rappresentata e difesa come per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato (con indirizzo PEC: EMAILavvocaturastatoEMAIL)
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 1865/06/2017 depositata in data 04/04/2017; Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 12/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto accogliersi l’ottavo e il nono motivo di ricorso e rigettare i restanti motivi;
Rilevato che:
-la società RAGIONE_SOCIALE impugnava l’avviso di accertamento notificato con riferimento al periodo di imposta 2008, con il quale l’Amministrazione finanziaria rideterminava un maggior reddito ai fini Ires, Irap e recuperava l’ Iva ritenuta indebitamente compensata, oltre a richiedere interessi e sanzioni, in forza dell’applicazione alla società della disciplina di cui all’art. 30 L. n. 724 del 1994, riferita alle società c.d. ‘di comodo’;
-la CTP rigettava il ricorso; appellava la società;
-la CTR con la sentenza impugnata ha confermato la pronuncia di primo grado;
-ricorre a questa Corte la RAGIONE_SOCIALE con atto affidato a nove motivi di doglianza;
-l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso .
Considerato che:
-il primo motivo deduce la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5 del d. lgs. n. 218 del 1997, 12 comma 7 della L. n. 212 del 2000, 37bis c. 4 e c. 8 del d.P.R. n. 600 del 1973, ed è proposto ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere il giudice dell’appello erroneamente concluso per la legittimità dell’atto impugnato nonostante lo stesso non fosse stato preceduto dal preventivo invito al contraddittorio;
-il motivo è privo di fondamento;
-così come il giudice del merito ha accertato dandone conto in motivazione (pag. 4 della sentenza impugnata) ‘ l’invocata sanzione della nullità ex art. 37 bis c. 4 DPR 600/1973 – per preteso difetto di forme – non è applicabile nella fattispecie in quanto il contraddittorio preventivo, antecedentemente all’emanazione dell’avviso d’accertamento, per condotta elusiva, come previsto dall’art. 37 bis, c. 4, DPR 600/1973, vigente ratione temporis, si è regolarmente ed effettivamente svolto ‘;
-nella presente fattispecie, peraltro, l’Ufficio ha proceduto al controllo non contestando alcuna operazione elusiva ex art. 37 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 alla società contribuente, ma unicamente utilizzando il diverso strumento di accertamento presuntivo fondato sulla disciplina delle c.d. ‘società di comodo’ ai sensi dell’art. 30 della L. n. 724 del 1994. Ne deriva che, anche indipendentemente dalla valenza di contraddittorio anticipato che può assumere l’invio del questionario e conseguenti risposte, la disciplina contenuta nell’art. 37 bis d.P.R. n. 600 del 1973 non può trovare applicazione in quanto trattasi di accertamento il cui fondamento normativo non può riferirsi a detta disposizione;
-al riguardo, questa Corte ha già osservato che, a seguito dell’entrata in vigore della legge nr. 223/2006 che ha modificato l’art 30 l. 724/1994 la procedura del test di non operatività non richiede alcun contraddittorio con il contribuente (Cass. n. 25266 del 2020, non massimata, punto 3.14.). Il previo contraddittorio, già imposto dall’originario art. 30, comma 4 l. n. 724/94, deve difatti intendersi senz’altro abrogato, essendo svolta dall’istanza di interpello la funzione di presentazione delle ragioni del contribuente prima dell’emissione dell’accertamento. La modifica è coerente con la nuova
disciplina, introdotta con la legge n. 296/2006 (v. art. 1 comma 109 che ha espunto l’inciso «salvo prova contraria» dal primo comma dell’art. 30, cit.), secondo cui la “non operatività” della società scaturisce automaticamente dal mancato superamento del test e gli effetti del reddito minimo discendono direttamente dal testo normativo, indipendentemente dall’intervento dell’ufficio impositore. Il richiamo all’art. 37 bis d.P.R. n.600/1973 non è dirimente nella fattispecie in esame, in quanto i commi 4 e 8 non prevedono la possibile compresenza e cumulabilità in un’unica fattispecie di un previo contraddittorio e di un’istanza di interpello, ma riservano il primo all’ipotesi di disconoscimento di vantaggi privi di valide ragioni economiche, con conseguente accertamento di attività elusiva, e il secondo alla disapplicazione di norme limitatrici di vantaggi (antielusive), richiesto dal contribuente che dimostri l’inesistenza di effetti elusivi nel suo caso. L’unica parte della norma operante per le società di comodo è quindi il comma 8 sulle modalità di presentazione dell’istanza disapplicativa; solo prima delle modifiche introdotte ai sensi del previgente art. 30, comma 4, l’Agenzia delle entrate doveva inviare una richiesta di chiarimenti, il cui mancato invio determinava la nullità del successivo avviso di accertamento. Il nuovo sistema, invece, prevede che sia la società contribuente che, se vuole sfuggire alle strette maglie della presunzione legale sulle società “di comodo”, ha la facoltà (non l’obbligo) di avviare la procedura di disapplicazione, restando diversamente esposta all’accertamento ex lege, sempre fatta salva la possibilità di prova contraria nei rigorosi limiti dettati dall’art. 30 novellato (Cass. 11/2/2022, n. 4445; Cass. 11/7/2025, n. 19129);
-né trova fondamento la censura di violazione dell’art. 12, comma 7, l. n. 212/00, in mancanza di presupposti della sua applicazione, posto
che l’accertamento in questione non è seguito ad accesso, ispezione o verifica, trattandosi invece di accertamento cd. a tavolino; laddove irrilevante è l’art. 5 del d.lgs. n. 218/97, posto che la previsione generalizzata che sia l’Ufficio a dover invitare con atto formale il soggetto verificato a contraddire sui rilievi, è stata introdotta solo dall’art. 4 octies del d.l. n. 34 del 2019, come conv. con l. n. 58 del 2019, che ha aggiunto l’art. 5 ter al d.lgs. n. 218 del 1997, disposizione con la quale si è previsto che l’ufficio, prima di emettere un avviso di accertamento, notifica al contribuente l’invito a comparire di cui all’art. 5 (Cass. 1/04/2021, n. 9076);
-inoltre, questa Corte ha chiarito (Cass. 8/7/2024, n. 18489) che, proprio in caso di accertamento cd. a tavolino, l’amministrazione finanziaria è tenuta a rispettare il contraddittorio endoprocedimentale in presenza di tributi armonizzati, ma le modalità per la sua realizzazione non sono a forma vincolata, essendo sufficiente assicurare l’effettività dello stesso, indipendentemente dagli strumenti in concreto adottati, quali il ricorso a procedure partecipative o l’impiego di altri meccanismi finalizzati all’interlocuzione preventiva, come l’inoltro di questionari o il riconoscimento dell’accesso agli atti; e nel caso in esame, si riferisce in sentenza (pag. 3) e si conferma in ricorso (pag. 20 e pag. 23) l’Ufficio ha inviato con atto notificato il 12 luglio 2011 apposito questionario;
-il motivo contiene poi un ulteriore profilo di censura con il quale si denuncia l’erroneità dell’affermazione della pronuncia impugnata secondo la quale la società contribuente avrebbe ‘ tenuto un volontario comportamento omissivo guardando bene dal difendersi e dal presentare interpello … per produrre documentazione e motivazioni giustificative ulteriori ‘; si sostiene nel motivo l’erroneità dell’affermazione qui espressa secondo la quale vi sarebbe un vero e
proprio obbligo di presentazione dell’interpello ai fini di sottrarsi alle conseguenze applicative della disciplina delle c.d. società di comodo;
-tale profilo di censura è inammissibile;
-lo stesso infatti non colpisce la ratio decidendi della pronuncia impugnata, che non ha riconosciuto la natura ‘di comodo’ alla società in quanto la stessa non ha presentato l’interpello disapplicativo – la cui presentazione è condizione per la disapplicazione procedimentale della normativa presuntiva in argomento, fermo restando che in difetto il contribuente può sempre, nel giudizio tributario di impugnazione dell’avviso di accertamento, dar la prova dell’insussistenza dei requisiti dedotti dall’ufficio per l’applicazione della presunzione – ma che, ben diversamente, ha invece confermato la legittimità dell’accertamento non avendo la società dato prova dell’esistenza di circostanze oggettive idonee ad escludere la percezione presuntiva dei ricavi derivante dall’applicazione della disciplina e cui all’art. 30 della L. n. 724 del 1994;
-la censura in argomento si appunta su questioni del tutto estranee all’ordito motivazionale fornito dal giudice di merito senza muovere invece alcuna critica alla ratio decidendi posta a base della decisione impugnata (” in tema di ricorso per cassazione è necessario che venga contestata specificamente la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata “, Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19989 del 10/08/2017); secondo la giurisprudenza di questa Corte il motivo d’ impugnazione è rappresentato dall’ enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una
decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata;
-queste ultime, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi considerare nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo il motivo che non rispetti questo requisito; in riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. (Cass. Sez. 3, Sentenza 14/3/2017 n. 6496, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17330 del 31/08/2015; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 359 del 11/01/2005);
-venendo al nostro caso, la CTR ha qui ritenuto che ‘ l’inerzia operativa della società RAGIONE_SOCIALE non è dipesa da pretese e lungaggini burocratiche nei tempi di rilascio delle autorizzazioni (peraltro neanche richieste alla PA, tranne quella, insignificante, relativa al passo carrabile in loco) ma da una condotta volontariamente attendista, se non addirittura omissiva, nell’avviamento e nell’esecuzione dei lavori di riconversione aziendale dell’area, da parte dell’impresa medesima ‘ (pag. 6 della sentenza impugnata); ciò perché ‘… la società, sebbene costituita nell’anno 2006, solo due anni dopo, in data 18.11.2008, ebbe a richiedere alle autorità competenti una prima non significativa autorizzazione, in relazione alla mera regolarizzazione e riduzione di un passo carrabile nell’area ex – Alco Palmera, interessata al progetto di ristrutturazione ‘ (pag. 5); deve quindi ‘… imputarsi la non operatività ed il non conseguimento dei ricavi nell’esercizio 2008 alla società stessa… ‘;
-in ogni caso, con riguardo al quesito sotteso al presente ricorso, cioè se l’interpello disapplicativo implichi sempre e comunque la necessità della sua attivazione, a pena di sostanziale decadenza dalla possibilità di ottenere la disapplicazione della norma antielusiva, e, ove omesso, inibisca di conseguenza al giudice di valutare da sé la sussistenza, in concreto, dei presupposti per la disapplicazione stessa, questa Corte ha avuto modo di precisare che: « tale interpello disapplicativo non presenta, ad avviso di questo Collegio, natura di una condizione di procedibilità e di limitazione della tutela giurisdizionale del contribuente, né ha comportato l’elisione della facoltà, per quest’ultimo, di superare la presunzione legale di ‘non operatività’ (sancita dal primo comma della disposizione in esame) mediante la dimostrazione in giudizio di circostanze oggettive e non imputabili che abbiano reso impossibile il conseguimento di ricavi in misura pari alle soglie determinata ai sensi dell’art. 30; infatti, i principi costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.) non impediscono al contribuente sia di discostarsi dalla risposta negativa all’interpello resa dalla Amministrazione, senza doverla necessariamente impugnare, per evitarne la cristallizzazione, potendo comunque impugnare gli atti successivi di applicazione delle disposizioni antielusive, sia di esperire la piena tutela in sede giurisdizionale nei confronti dell’atto tipico impositivo che gli venga successivamente notificato, dimostrando in tale sede, senza preclusioni di sorta, la sussistenza delle condizioni per fruire della disapplicazione della norma antielusiva (cfr. Cass., ord., 24 febbraio 2021, n. 4946; Cass., ord., 28 maggio 2020, n. 10158 )» (così scrive, tra molte, Cass. n. 28251/2021; nello stesso senso Cass. n. 5953/2021);
-col secondo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 della L. n. 241 del 1990, 7 della L. n. 212 del 2000, 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., là dove il giudice d’appello ha ritenuto che gli elementi riportati nell’atto impugnato configurassero legittima motivazione;
-il motivo è infondato;
-esso urta col motivato apprezzamento in fatto contenuto nella sentenza impugnata, in cui si legge che ‘… la insufficiente documentazione giustificativa, prodotta dalla contribuente ed opportunamente valutata dall’Amministrazione, non ha dimostrato la sussistenza di una situazione di oggettiva impossibilità a conseguire ricavi nel 2008 e di ciò l’Ufficio capitolino, dopo avere esaminato i relativi documenti, ha tenuto conto nell’emanazione dell’avviso di accertamento, consentendo così alla RAGIONE_SOCIALE di conoscere mediante una motivazione effettiva e non ‘di stile’ – i presupposti di fatto e di diritto, emessi a fondamento dell’atto impositivo a suo carico ‘, come del resto emerge dall’ampio apparato motivazionale dell’avviso, riportato alle pagine 4 -8 del ricorso;
-il terzo motivo lamenta la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c. 2 n. 4 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 4 c.p.c. per avere il giudice dell’impugnazione reso motivazione carente delle rappresentazioni delle ragioni per le quali ha ritenuto le produzioni documentali della RAGIONE_SOCIALE non dirimenti e atte addirittura a smentire gli assunti della contribuente;
-il quarto motivo propone analoga censura motivazionale con riferimento all’altro capo della sentenza impugnata con la quale il giudice del merito ha ritenuto -alla luce di nozioni di scienza privata secondo la prospettazione di parte ricorrente- che l’immobile oggetto
dei lavori non fosse invero fatiscente e degradato come sostenuto dalla RAGIONE_SOCIALE in quanto lo stesso richiedeva esclusivamente interventi di ordinaria manutenzione;
-i motivi ridetti, suscettibili di trattazione congiunta in quanto censure motivazionali, sono infondati;
-nella fattispecie può evincersi chiaramente dalla sentenza impugnata l’iter logico giuridico che ha condotto il giudice a ritenere legittimo l’avviso di accertamento impugnato: anzitutto, quanto all’attività di progettazione, si legge in sentenza che ‘ in realtà al di là delle unilaterali allegazioni e spiegazioni della parte circa i propri progetti e studi di fattibilità (in realtà, a p. 14 dell’atto di appello, si elencano, tra gli altri, atti, riferiti al 2008 provenienti non già dalla Stabilimento srl, ma dalla provincia di Bari e dal consorzio area RAGIONE_SOCIALE)… ‘; inoltre, la CTR ha sottolineato che dopo la ‘ isolata e marginale richiesta di autorizzazione del passo carrabile ‘, la comunicazione di mera manutenzione ordinaria e la proposta ‘ in via interlocutoria e preistruttoria ‘ al locale Consorzio RAGIONE_SOCIALE di fare eseguire la riqualificazione funzionale dell’area, soltanto il 5.8.2010 la società ha comunicato al Comune di Bari l’avvenuto inizio delle attività; sicché il giudice d’appello ha esaminato la documentazione e ha indicato le ragioni per le quali l’ha ritenuta irrilevante;
-alla luce di tale considerazione, risulta evidentemente inammissibile il prosieguo censorio del motivo dalla pagina 35 alla pagina 41 del ricorso per cassazione, nella quale si enumerano e descrivono i documenti in oggetto -la maggioranza dei quali peraltro riferiti ad anni successivi al periodo d’imposta oggetto di accertamento – nel tentativo evidentemente inammissibile di sollecitare questa Corte a
un riesame del merito che non le è consentito in quanto giudice di legittimità;
-inoltre, quanto al secondo punto, la CTR ha chiaramente argomentato il percorso decisorio seguito, senza affatto ricorrere alla propria scienza privata, là dove fatto leva sulla circostanza che ‘ la RAGIONE_SOCIALE, il giorno 27.5.2009, ebbe a comunicare al Comune di Bari-Ripartizione Urbanistica ed Edilizia privata che, in pari data, sarebbe iniziata l’attività di manutenzione ordinaria del complesso immobiliare ex Alco Palmera ‘;
-il quinto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 30 c. 1 e 4bis della L. n. 724 del 1994, in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. richiamato dall’art. 62 c. 1 del d. Lgs. n. 546 del 1992 per non avere la pronuncia di merito ritenuta provata la sussistenza di una oggettiva situazione di carattere straordinario che ha reso impossibile nell’anno 2008 il conseguimento di ricavi, situazione rappresentata dalle lungaggini burocratiche per l’ottenimento delle autorizzazioni amministrative per svolgere l’attività seppur richiesta tempestivamente;
-il motivo è inammissibile; esso nel concreto sollecita questa Corte a una revisione del merito, non consentita a questo Giudice della legittimità;
-come è noto (si veda in argomento Cass. Sez. 5, Sentenza n. del 19/09/2024) in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge ed implica, pertanto, un problema interpretativo di quest’ultima, laddove l’allegazione di un’erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è
mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa ed inerisce, pertanto, alla tipica valutazione del giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione;
-si richiamano ad ogni modo le considerazioni svolte, in relazione ad analoga censura in relazione ad altro anno d’imposta, da Cass. 20/5/2025, n. 13506;
-il sesto motivo si incentra ancora sulla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 30 c. 1 e 2 della L. n. 724 del 1994 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la pronuncia gravata erroneamente ritenuto legittimo l’accertamento dell’Ufficio nonostante sia stata assoggettata la società contribuente al test di operatività mentre invece difettava la possibilità di sottoporla a verifica delle risultanze su base triennale non essendo l’anno 2006, anno di costituzione della stessa, indicativo ai fini della verifica sulla base della disciplina applicata;
-il motivo è fondato quanto all’IVA, alla luce della recente giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione; lo stesso è parimenti fondato quanto all’imposizione reddituale alla luce della situazione di fatto alla quale vanno applicate le considerazioni che seguono;
-con riguardo all’IVA basterà dire che trova qui applicazione la giurisprudenza recente della Corte Unionale secondo la quale, proprio in materia di società di comodo o non operative (CGUE, sentenza 7 marzo 2024 in causa C-341/22, RAGIONE_SOCIALE), si è dichiarata l’incompatibilità della relativa disciplina interna di cui all’art. 30 L. n. 724 del 1994 con la direttiva 2006/112/CE e i principi generali della neutralità dell’IVA e di proporzionalità della limitazione del diritto alla detrazione dell’IVA.
Sulla scia di tale pronuncia, questa Corte nella sentenza n. 22249 del 06/08/2024 ha affermato il seguente principio di diritto: « in tema di società di comodo, l’art. 30 della l. n. 724 del 1994, nell’escludere il diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte per le società i cui introiti siano inferiori ad una determinata soglia (presumendone il carattere non operativo), si pone in contrasto con gli artt. 9, par. 1, e 167 della dir. 2006/112/CE e va, quindi, disapplicato da parte del giudice nazionale, in conformità ai principi espressi dalla sentenza della Corte di giustizia UE n. 341 del 7 marzo 2024, secondo cui le misure adottate dagli Stati membri per la lotta contro frodi, evasione fiscale ed abusi non devono eccedere quanto necessario per raggiungere tale obiettivo ed essere utilizzate in modo da mettere in discussione il principio di neutralità dell’IVA ». Successivamente, con ordinanza n. 24442 dell’11 settembre 2024 si è affermato che, « in materia di società non operative, alla stregua della pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE, sent. 7 marzo 2024 in causa C341/22, RAGIONE_SOCIALE), l’art. 9, par. 1, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, va interpretato nel senso che esso non può condurre a negare la qualità di soggetto passivo IVA al soggetto che, nel corso di un determinato periodo d’imposta, effettui operazioni rilevanti ai fini di tale imposta il cui valore economico non raggiunga la soglia fissata da una normativa nazionale, che corrisponda ai ricavi che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui tale soggetto dispone, in quanto nessuna disposizione della direttiva subordina il diritto a detrazione al requisito che l’importo delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA, effettuate a valle da un soggetto passivo nel corso di un determinato periodo, raggiunga una certa soglia. Pertanto, ciò che rileva ai sensi dell’art. 30 della legge n. 724
del 1994 è esclusivamente il fatto che detto soggetto, in un determinato periodo d’imposta, abbia esercitato effettivamente un’attività economica, ponendosi detta disposizione in contrasto con l’art. 167 della direttiva IVA nella parte in cui, invece, prevede la perdita del diritto a detrazione al mancato raggiungimento di determinate soglie di ricavi ». È stato, infine, precisato da Cass. n. 33424 del 2024 (conf. Cass. n. 33427 del 2024) che « in tema di società non operative, anche alle società in perdita fiscale che, ai sensi dei commi 36 decies ed undecies, del d.l. n. 138 del 2011, introdotti in sede di conversione dalla legge n. 148 del 2011, vigente ratione temporis, sono equiparate a quelle di comodo di cui all’art. 30, commi 1 e 2, della legge n. 724 del 1994, va applicato il principio affermato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza 7 marzo 2024 in causa C-341/22 (RAGIONE_SOCIALE, in base al quale l’art. 9, par. 1, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, va interpretato nel senso che esso non può condurre a negare la qualità di soggetto passivo IVA -e quindi il diritto alla detrazione, alla compensazione, alla cessione dell’eccedenza di credito IVA e al rimborso, che non siano invocati in modo fraudolento o abusivo – al soggetto che, nel corso di un determinato periodo d’imposta, effettui operazioni rilevanti ai fini di tale imposta »;
-la sentenza va quindi cassata, quanto all’iva, perché calibrata sull’applicazione del meccanismo presuntivo previsto per le società di comodo anche in relazione all’iva, con rinvio al giudice di merito, che dovrà attenersi ai principi dinanzi indicati;
-con riguardo all’imposizione reddituale, si anticipava, il motivo è parimenti fondato;
-è incontroverso che l’avviso di accertamento oggetto del presente giudizio sia relativo ai tributi riferiti al periodo d’imposta 2008 e che la società RAGIONE_SOCIALE sia stata costituita nell’anno 2006;
-sul punto, si legge nella sentenza impugnata (pag. 9, primo capoverso) che ‘ la media reddituale dei ricavi del triennio è, quindi, appostata su dati temporali certi e che in concreto sono stati osservati dall’Ufficio, in sede di test di operatività, retroagendo correttamente di due esercizi rispetto a quello in osservazione (2008) ‘; né la contribuente mostra di dubitare che nel 2006, anno di costituzione, si fosse concluso un esercizio, posto che la censura è calibrata sul’ l’inutilizzabilità del 2006, in quanto anno di costituzione della RAGIONE_SOCIALE‘ (pag. 67 del ricorso, secondo capoverso);
-ciò ricordato, rileva il Collegio che sul punto questa Corte ha di recente ribadito (con la pronuncia resa da Cass. Sez. Trib., Sentenza n. del 26/12/2024) che, in tema di società di comodo, il periodo di osservazione dei ricavi e dei proventi nonché dei valori dei beni e delle immobilizzazioni, ai fini dell’applicazione del test di operatività previsto dall’art. 30, comma 1, primo periodo, della L. n. 724 del 1994, riguarda le ‘ risultanze medie dell’esercizio e dei due precedenti ‘;
-ne consegue che, quando il test predetto e la connessa presunzione di un reddito minimo imponibile, stabilita in caso di suo mancato superamento dai successivi commi 3 e 3-bis del citato articolo, non sono applicabili nei confronti delle società e degli enti per non avere chiuso almeno due esercizi anteriormente a quello oggetto di accertamento, l’Amministrazione finanziaria è tenuta a provare l’eventuale non operatività di tali soggetti senza potersi avvalersi del descritto meccanismo presuntivo legale;
-va tenuto presente che la previsione del suddetto arco di osservazione tende ad assicurare l’attendibilità dei risultati del test di operatività, in quanto la valutazione dei ricavi e dei proventi, nonché dei beni e delle immobilizzazioni, in base alle risultanze medie dell’esercizio in verifica e dei due precedenti consente di apprezzare l’andamento dell’impresa in un momento in cui la stessa ha già prevedibilmente superato le difficoltà di avviamento che spesso si incontrano nella fase iniziale dell’attività d’impresa;
-diviene quindi risolutivo determinare se rileva lo svolgimento di attività nell’anno 2006, in cui la società si è costituita;
-va ricordato preliminarmente che secondo l’art. 56 del TUIR ” il reddito d’impresa è determinato secondo le disposizioni della sezione I del capo II del titolo II, salvo quanto stabilito nel presente capo “. Conseguentemente il reddito d’impresa è determinato con riferimento al conto dei profitti e delle perdite ” relativo all’esercizio chiuso nel periodo d’impost a” (art. 83 del TUIR);
-in base all’art. 76, comma 2, del TUIR, peraltro, ‘ Il periodo di imposta è costituito dall’esercizio o periodo di gestione della società o dell’ente, determinato dalla legge o dall’atto costitutivo. Se la durata dell’esercizio o periodo di gestione non è determinata dalla legge o dall’atto costitutivo, o è determinata in due o più anni, il periodo di imposta è costituito dall’anno solare ‘; quindi, la regola generale è che il periodo d’imposta coincide con l’esercizio sociale, con la conseguente corrispondenza di tempi;
-secondo i principi contabili, inoltre, i documenti di bilancio, sia di previsione che di rendicontazione, sono predisposti con cadenza annuale, in base appunto al principio di annualità, salva possibilità di deroga (cfr. art. 2364, comma 2, c.c.);
-il principio di annualità trova quindi di regola applicazione anche ai fini in questione (v. Cass., ordinanza n. 7610 dell’11/3/2025, secondo cui ‘ l’art. 30 cit. fa riferimento agli esercizi sociali e occorre tener conto del principio di annualità dell’esercizio sociale ‘ );
-tornando più da vicino alle disposizioni da applicare nella presente fattispecie, si deve qui porre a confronto e interpretare l’uno per mezzo dell’altro sia l’art. 30 c. 2 della L. n. 724 del 1994, secondo il quale ‘ ai fini dell’applicazione del comma 1, i ricavi e i proventi nonché i valori dei beni e delle immobilizzazioni vanno assunti in base alle risultanze medie dell’esercizio e dei due precedenti. Per la determinazione del valore dei beni si applica l’articolo 110, comma 1 …’ (sottolineatura aggiunta) sia l’art. 30 c. 1 della L. n. 724 del 1994, secondo il quale ‘ Le disposizioni del primo periodo non si applicano: …. 2) ai soggetti che si trovano nel primo periodo di imposta ‘ (sottolineatura aggiunta);
-la ratio del sistema in materia di società di comodo sopra delineato -con riguardo alla identificazione dei caratteri che legittimano l’esclusione dalla disciplina in argomento – risulta essere quella di escludere da tale determinazione in via presuntiva del reddito quei soggetti la cui appena verificatasi costituzione rende del tutto plausibile la loro inidoneità oggettiva a produrre reddito;
-l’intero primo periodo d’imposta, per i soggetti neocostituiti, non viene quindi in rilievo alcuno non potendo assumere significato ‘elusivo’ la perdita autentica che generalmente in modo del tutto fisiologico la società registra in quella fase, dovendo al suo esordio affacciarsi sul mercato affrontando le più varie difficoltà; superato tale momento, però, la presunzione viene ad applicarsi con riguardo a un intervallo triennale, il quale risulta significativo poiché
comprensivo di un lasso temporale adeguatamente indicativo della forza economica effettiva, al netto delle difficoltà di avvio;
-in questo senso va letta l’affermazione, centrale, ‘risultanze medie dell’esercizio e dei due precedenti’, quale presa a riferimento da parte del legislatore poiché i dati ivi risultanti, nel loro complesso, permettono di rappresentare in modo espressivo e attendibile la realtà economica dell’impresa;
-ricostruita in tal modo la ratio del sistema, come emerge specialmente dal tenore letterale delle previsioni normative, che è allora quella di far rilevare ai fini dell’applicazione delle disposizioni in tema di ‘società di comodo’ un periodo triennale, risulta non complessa l’attribuzione di significato corretta alle espressioni linguistiche ‘primo periodo d’imposta’, da un lato e ‘esercizio e dei due precedenti’ dall’altro;
-per le società di capitali, come si è visto, il primo periodo d’imposta corrisponde di norma al primo esercizio sociale (né nel caso in esame si prospettano deroghe), con la conseguenza che di esso non si può tener conto nell’arco del periodo di osservazione ;
-è invero significativo in argomento il precedente di questa Corte già richiamato (la già citata Cass. n. 34472/2024) che al punto 2.4 sottolinea proprio come ‘ dalla lettura coordinata dei commi innanzi citati può, dunque, ricavarsi che: le disposizioni in tema di società ed enti non operativi non sono applicabili, per espresso dettato normativo (comma 1, secondo periodo, numero 2), ai soggetti che si trovano nel primo periodo di imposta; il test volto a verificare l’eventuale non operatività di una società o ente deve essere condotto sulla base delle risultanze medie dei ricavi e dei proventi, nonché dei valori dei beni e delle immobilizzazioni, osservati nell’arco di un triennio comprendente l’esercizio relativo al periodo d’imposta in
esame e i due precedenti, giusta quanto disposto dal comma 2 con previsione specificamente diretta a precisare le modalità di applicazione del comma 1 … ‘; e ancora, al punto 2.8 si specifica che ‘ sotto il secondo profilo, va tenuto presente che la previsione di un arco triennale di osservazione tende ad assicurare l’attendibilità dei risultati del test di operatività, in quanto la valutazione dei ricavi e dei proventi, nonché dei beni e delle immobilizzazioni, in base alle risultanze medie dell’esercizio in verifica e dei due precedenti consente di apprezzare l’andamento dell’impresa in un momento in cui la stessa ha già prevedibilmente superato le difficoltà di avviamento che spesso si incontrano nella fase iniziale dell’attività ‘;
-di qui la fondatezza del motivo, con riguardo all’imposizione diretta;
-ne segue l’affermazione del seguente principio di diritto: ‘ in materia di società c.d. ‘di comodo’ e al cospetto di una società di capitali, posto che a norma dell’art. 76, comma 2, del TUIR il periodo d’imposta è di norma costituito dall’esercizio sociale, la previsione dell’art. 30 c. 2 della L. n. 724 del 1994, secondo la quale ai fini dell’applicazione del comma 1, i ricavi e i proventi nonché i valori dei beni e delle immobilizzazioni vanno assunti in base alle risultanze medie «dell’esercizio e dei due precedenti», va inteso nel senso di escludere la rilevanza del primo esercizio sociale, che non va quindi compreso nei due precedenti ‘ ;
-venendo quindi ad applicare le superiori considerazioni ai fatti di causa, la pacifica costituzione della società nel 2006, attribuisce rilevanza ai nostri fini anche a tale esercizio: poiché il periodo d’imposta sottoposto ad accertamento è il 2008, il test di operatività per tale annualità non può essere svolto, in quanto -muovendo a ritroso, partendo dal 2008 -non sussistono ‘i due esercizi precedenti’ utili rispetto al periodo d’imposta oggetto di controllo;
-l’operato dell’Ufficio è quindi errato e la censura risulta, sotto il presente profilo, quanto all’imposizione reddituale, fondata;
-risultano assorbiti il settimo motivo, col quale si lamenta la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 72 del d.P.R. n. 917 del 1986 e degli artt. 24 e 53 Cost. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. richiamato dall’art. 62 c. 1 del d. Lgs. n. 546 del 1992 per non avere la CTR rilevato che la pretesa impositiva si basava esclusivamente su presunzioni di presunzioni, con ciò confliggendo con la nozione di reddito di impresa ex art. 72 d.P.R. n. 917 del 1986; l’ottavo motivo , col quale si denuncia la violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 18 c. 2 e c. 4, oltre che dell’art. 52 del d. Lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360 c. 1 n. 4 c.p.c. richiamato dall’art. 62 c. 1 del d. Lgs. n. 546 del 1992 per avere la CTR ritenuto erroneamente inammissibile, in quanto ‘generica’ e ‘immotivata’ la richiesta formulata in appello di riduzione delle sanzioni irrogate dall’Ufficio in forza del principio del favor rei ex art. 3 del d. Lgs. n. 472 del 1997, nonché il nono motivo, col quale si lamenta la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 3 c. 3 del d. Lgs. n. 472 del 1997 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. richiamato dall’art. 62 c. 1 del d. Lgs. n. 546 del 1992 per avere il giudice di appello mancato, in violazione delle norme surriportate, di applicare il principio del favor rei di cui al d. Lgs. n. 158 del 2015;
-in conclusione, va accolto il sesto motivo, con assorbimento del settimo, dell’ottavo e del nono ; nel resto il ricorso va rigettato;
-la sentenza impugnata va cassata con rinvio al giudice di merito limitatamente al motivo oggetto di accoglimento;
-il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità;
p.q.m.
accoglie il sesto motivo di ricorso , assorbiti il settimo, l’ottavo e il nono; rigetta il ricorso nel resto; cassa la sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio in diversa composizione, alla quale demanda provvedere anche in ordine alle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 12 marzo 2025.