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Società di comodo: stop al diniego del rimborso IVA

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, confermando il diritto di una società al rimborso IVA. La qualifica di società di comodo, secondo la Corte, non è sufficiente per negare il rimborso, in linea con i principi della Corte di Giustizia UE. La normativa nazionale che presume l’assenza di operatività basandosi solo su ricavi insufficienti deve essere disapplicata in materia IVA.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di comodo: La Cassazione salva il rimborso IVA

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha stabilito un principio fondamentale in materia di IVA, affermando che la qualifica di società di comodo non è di per sé sufficiente a giustificare il diniego di un rimborso. Questa decisione, allineandosi con la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, impone all’Amministrazione Finanziaria di disapplicare la normativa nazionale che limita il diritto alla detrazione IVA per le società considerate non operative sulla base di criteri meramente presuntivi.

Il caso: un rimborso IVA negato

Una società a responsabilità limitata si era vista negare dall’Amministrazione Finanziaria il rimborso di un cospicuo credito IVA relativo all’anno 2010. La ragione del diniego risiedeva nel fatto che la società era stata classificata come ‘società di comodo’ o ‘non operativa’ ai sensi dell’art. 30 della legge n. 724 del 1994. Questa normativa presume che una società non sia economicamente attiva se non raggiunge un livello minimo di ricavi, calcolato in percentuale sul valore dei suoi beni patrimoniali.

La società ha impugnato il diniego e ha ottenuto ragione sia in primo che in secondo grado. La Commissione Tributaria Regionale, in particolare, aveva rigettato l’appello dell’Agenzia, sottolineando che la questione sulla qualifica di ‘società di comodo’ era già stata risolta a favore del contribuente in un altro contenzioso relativo agli avvisi di accertamento. Nonostante ciò, l’Amministrazione Finanziaria ha proseguito la sua azione, portando il caso dinanzi alla Corte di Cassazione.

L’intervento della Corte di Cassazione e la disciplina delle Società di comodo

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia, basando la sua decisione su argomenti decisivi che rafforzano la tutela del contribuente e l’armonizzazione del diritto tributario nazionale con quello europeo.

L’impatto della Sentenza della Corte di Giustizia Europea

Il punto centrale della decisione è il richiamo a una recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (causa C-341/22). La CGUE ha chiarito che la Direttiva IVA europea osta a una normativa nazionale che neghi a un soggetto passivo il diritto alla detrazione dell’IVA per il solo fatto che i suoi ricavi non raggiungono una soglia minima predeterminata.

Secondo i giudici europei, il diritto alla detrazione è un principio cardine del sistema IVA e può essere limitato solo in casi eccezionali, come la frode o l’abuso, che devono essere provati dall’autorità fiscale con elementi oggettivi. La presunzione automatica di non operatività, prevista dalla legge italiana per le società di comodo, si pone in diretto contrasto con questo principio.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha recepito integralmente l’orientamento europeo. Ha affermato che l’art. 30 della legge n. 724/1994, nella parte in cui esclude il diritto alla detrazione (e, di conseguenza, al rimborso) dell’IVA per le società considerate ‘di comodo’, deve essere disapplicato dai giudici nazionali.

I giudici di legittimità hanno spiegato che la normativa nazionale introduce una presunzione assoluta di non operatività che non lascia spazio a una valutazione concreta dell’attività svolta dal contribuente. Questo approccio è sproporzionato rispetto all’obiettivo di contrastare l’evasione e l’abuso, e finisce per penalizzare anche soggetti che, pur avendo ricavi bassi in un determinato periodo, svolgono un’effettiva attività economica. Pertanto, il diniego del rimborso basato unicamente su tale qualifica è illegittimo. Per negare il diritto, l’Amministrazione Finanziaria avrebbe dovuto dimostrare l’esistenza di un intento fraudolento o abusivo.

le conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte Suprema stabilisce un importante precedente. Le società non possono vedersi negare il diritto al rimborso del credito IVA solo perché classificate come ‘di comodo’ secondo i parametri della legge nazionale. Il diritto alla detrazione IVA, garantito a livello europeo, prevale sulla normativa interna contrastante. Questa decisione obbliga l’Amministrazione Finanziaria a un approccio più sostanziale e meno formale, richiedendo la prova di un effettivo abuso prima di poter limitare i diritti fiscali del contribuente, in piena coerenza con i principi di neutralità e proporzionalità dell’IVA.

Una società qualificata come ‘di comodo’ può vedersi negare il rimborso del credito IVA?
No. Secondo la Corte di Cassazione, che si allinea a una sentenza della Corte di Giustizia UE, la normativa nazionale che nega il diritto alla detrazione o al rimborso IVA alle società di comodo, basandosi unicamente su ricavi inferiori a una soglia presuntiva, deve essere disapplicata perché contrasta con il diritto europeo.

Cosa deve dimostrare l’Amministrazione Finanziaria per negare il diritto alla detrazione IVA?
L’Amministrazione Finanziaria deve dimostrare, sulla base di elementi oggettivi, che il diritto alla detrazione è invocato in modo fraudolento o abusivo. La semplice qualifica di ‘società non operativa’ secondo parametri presuntivi non è sufficiente.

Che valore ha una sentenza della Corte di Giustizia UE per i giudici nazionali?
Ha un valore vincolante. Come dimostra questa ordinanza, i giudici nazionali hanno l’obbligo di interpretare il diritto interno in conformità con il diritto dell’Unione Europea e, se necessario, di disapplicare le norme nazionali che si pongono in contrasto con esso, come l’art. 30 della legge n. 724/1994 in materia di IVA.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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