Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7616 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7616 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23835/2018 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo st udio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
Avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE dell’EMILIA ROMAGNA n. 1346/2018 depositata il 21/05/2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/01/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
Rilevato che:
La Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna ( hinc: CTR), con la sentenza n. 1346/2018 depositata in data 21/05/2018, ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza n. 261/2014 con la quale la Commissione Tributaria Provinciale di Forlì aveva accolto il ricorso della RAGIONE_SOCIALE ( hinc: la contribuente) contro il diniego di rimborso dell’IVA (per l’importo di Euro 1.300.000) relativo all’anno 2010.
La CTR ha rilevato come l’appello dell’Agenzia delle Entrate fosse interamente incentrato sulla questione se la contribuente rientrasse o meno nell’ambito di applicazione della legge n. 724 del 1994 relativa alle società di comodo, evidenziando, tuttavia, come tale questione fosse già oggetto di un altro contenzioso definito in senso favorevole per il contribuente, sia in primo grado che in secondo grado.
2.1. Rileva, quindi, che l’art. 67 bis e l’art. 69, commi 1 e 4, d.lgs. n. 546 del 1992 hanno stabilito che le sentenze delle commissioni tributarie favorevoli ai contribuenti e di condanna dell’agenzia sono immediatamente esecutive. Di conseguenza, il rimborso del credito IVA, maturato dalla contribuente e mai contestato nella sostanza dall’Agenzia delle Entrate – ma oggetto di diniego del 21/03/2013, solo perché erano stati emessi due avvisi di accertamento ai sensi dell’art. 30 legge n. 724 del 1994 – de ve essere eseguito e l’appello
deve essere rigettato. La CTR ha, poi, ritenuto non necessario il rilascio di apposita garanzia da parte della contribuente, considerato l’esito favorevole del giudizio di secondo grado pronunciato sugli avvisi di accertamento.
Contro la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in cassazione con quattro motivi.
La contribuente ha resistito con controricorso e ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c., dove ha affermato che: « nelle more, ma da tempo, l’Agenzia delle Entrate ha provveduto ad erogare il rimborso richiesto dalla ricorrente ed incontestato su profili diversi da quello oggetto del presente giudizio.
Anche vista l’insistenza dell’Agenzia in un contesto ormai pacifico, appare vieppiù opportuna la condanna della stessa alle spese anche del presente grado come per legge. »
…
Considerato che:
In via preliminare occorre rilevare che non risultano provati i presupposti per dichiarare la cessazione della materia del contendere. La dichiarazione della controricorrente -relativa all’erogazione del rimborso contenuta nella memoria ex art. 378 c.p.c., depositata in data 18/01/2025 – non risulta supportata dalla prova di alcun pagamento. In ogni caso, posto che la stessa ricorrente fa riferimento all’insistenza dell’Agenzia delle Entrate nel coltivare il contenzioso (al punto da chiederne la condanna al pagamento delle spese di lite), non risultano riscontrabili elementi tali da ricondurre la condotta dell’amministrazione a una sostanziale acquiescenza alla sentenza di secondo grado che l’ha vista soccombente nei confronti del contribuente.
1.1. Ciò premesso, con il primo motivo di ricorso la ricorrente ha denunciato la nullità della sentenza per violazione e falsa
applicazione dell’art. 36, comma 2, d.lgs. 31/12/1992, n. 546 e dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.
1.2. Ad avviso della ricorrente la sentenza impugnata incorre nel vizio di motivazione omessa o apparente, non essendo possibile evincerne le ragioni. Il giudice di seconde cure ha, infatti, ritenuto che la parte appellante avesse incentrato le proprie censure contro la sentenza di primo grado in relazione alla violazione della legge n. 724 del 1994. Tuttavia, proprio la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale impugnata aveva richiamato un proprio precedente (n. 161 del 2013), in cui era stata rigettata la tesi dell’ufficio che riteneva applicabile al caso di specie la disciplina di cui all’art. 30 legge n. 724 del 1994. Di conseguenza, nell’articolare i motivi d’appello davanti al giudice di seconde cure l’amministrazione finanzaria aveva richiamato le censure evocate nel precedente (n. 161 del 2013) citato nella sentenza impugnata. La CTR ritiene, addirittura, che il rimborso non sia stato neppure contestato dall’amministrazione finanziaria, ma oggetto di diniego solo in considerazione dell’emissione di due avvisi di accertamento fondati sulla qualificazione della società contribuente come società di comodo. La CTR non ha, quindi, illustrato i motivi della decisione e non si è neppure pronunciata sullo status di società di comodo della contribuente.
1.3. Il motivo di ricorso è infondato.
1.4. In via preliminare occorre precisare (v. pag. 5-6 del controricorso) che il contenzioso in esame scaturisce da un PVC, con il quale, è stata contestata l’esiguità dei ricavi conseguiti dalla società contribuente, affermandone l’assoggettabilità alla disc iplina di cui all’art. 30 legge n. 724 del 1994. In esito a tale PVC sono stati notificati due avvisi di accertamento (in data 20/11/2012) e l’atto di
diniego (notificato in data 21/03/2013) impugnato nel presente procedimento. La sentenza richiamata dalla CTR (che ha definito in senso favorevole al contribuente gli avvisi di accertamento) è, pertanto, collegata a quella relativa al diniego di rimborso d ell’IVA, traendo entrambe origine dalla (ritenuta) applicabilità dell’art. 30 legge n. 724 del 1994.
1.5. Ciò premesso, secondo un consolidato orientamento di questa Corte: « Ricorre il vizio di motivazione apparente della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture.(Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto affetta da tale vizio la sentenza impugnata che aveva dichiarato inammissibile l’appello perché tardivo, senza indicare la documentazione esaminata e la valenza probatoria della stessa ai fini della decisione assunta). » (Cass., 23/05/2019, n. 13977).
Per considerare una motivazione apparente non basta che la decisione e le argomentazioni poste a suo fondamento non siano condivise dalla parte soccombente, essendo sufficiente che il giudice indichi le ragioni e gli elementi ritenuti dirimenti -sul piano probatorio e in esito a una valutazione comparativa delle prove portate dalle parti -ai fini della decisione. Nel caso in esame il giudice di seconde cure ha ritenuto dirimente -per escludere la qualifica di società di comodo -l’accertamento compiuto in un diverso contenzioso alla società contr ibuente e all’esecutività
connessa a tale decisione dagli artt. 67 bis e dall’art. 69, commi 1 e 4, d.lgs. n. 546 del 1992.
Con il secondo motivo è stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. e l’omessa applicazione dell’art. 295 c.p.c. e dell’art. 39, comma 1 bis, d.lgs. n. 546 del 1992 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.
2.1. La ricorrente espone che, secondo la CTR, la questione relativa all’assoggettamento o meno della società alla disciplina delle società non operative fosse oggetto di separato contenzioso, deciso con sentenza n. 2406/04/2017, confermativa della sentenza di primo grado già favorevole al contribuente. Ad avviso della ricorrente la CTR avrebbe dovuto sospendere il giudizio instaurato sul diniego di rimborso, in attesa del passaggio in giudicato della sentenza emessa sugli avvisi di accertamento, oggetto di ricorso in cassazione da parte dell’Agenzia delle Entrate (R.G. n. 7573/2018).
2.2. Il motivo è inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse. L’impugnazione di quest’ultima sentenza davanti a questa Corte (R.G. n. 7573/2018), risulta definita con decreto di estinzione n. 20677/2022, ai sensi dell’art. 6, comma 13, d.l. n. 119 del 2018. A tal proposito occorre precisare che, secondo questa Corte, nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile di ufficio anche quando il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, e, nel caso in cui consegua ad una sentenza della Corte di cassazione, la cognizione di quest’ultima può avvenire pure mediante quell’attività di istituto (relazioni, massime ufficiali) che costituisce corredo della ricerca del collegio giudicante, in tal senso deponendo il duplice dovere incombente sulla Corte di prevenire il contrasto tra giudicati, in coerenza con il divieto del “ne
bis in idem”, e di conoscere i propri precedenti, nell’adempimento del dovere istituzionale derivante dall’esercizio della funzione nomofilattica di cui all’art. 65 dell’ordinamento giudiziario (Cass., 30/12/2011, n. 30780).
Con il terzo motivo è stata censurata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 30, comma 4, legge n. 794 del 1994 e dell’art. 30, comma 1, lett. c), legge n. 724 del 1994, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
3.1. La ricorrente rileva che il diniego di rimborso di fonda proprio sul fatto che la società, negli anni d’imposta 2009 e 2010, fosse risultata non operativa. Ha quindi richiamato il contenuto dell’art. 30, comma 4, legge n. 724 del 1994 e, successivamente, la previsione dell’art. 30, comma 1, lett. c), legge n. 724 del 1994, secondo la quale le previsioni dettate nel primo periodo della norma appena citata non si applicano ai soggetti per i quali, in relazione alla particolare attività svolta, è fatto obbligo di costituirsi sotto forma di società di capitali. Ha quindi rilevato che tale obbligo -per rilevare ai fini dell’esclusione della disciplina prevista per le società di comodo -deve derivare da norme di rango legislativo e non può, invece, derivare da impegni contrattuali o libere scelte dell’imprenditore. Non rientra quindi nell’ambito di applicazione dell’art. 30, comma 1, lett. c), legge n. 724 del 1994 l’ipotesi descritta nell’art. 156, comma 1, d.lgs. 12/04/2006, n. 163, che consente all’aggiud icatario, dopo l’aggiudicazione, di costituire una società di progetto in forma di società per azioni.
3.2. Il motivo di ricorso è infondato, dovendosi tenere conto di quanto recentemente precisato -proprio in materia di IVA -dalla giurisprudenza europea, cui ha fatto seguito la presente Corte. In particolare, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza 07/03/2024, (C-341/22, RAGIONE_SOCIALE ), ha
stabilito in sede pregiudiziale che: 1) l’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che esso non può condurre a negare la qualità di soggetto passivo dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) al soggetto che, nel corso di un determinato periodo d’imposta, effettui operazioni rilevanti ai fini dell’IVA il cui valore economico non raggiunge la soglia fissata da una normativa nazionale, la quale soglia corrisponde ai ricavi che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui tale persona dispone; 2) l’articolo 167 della direttiva 2006/112 nonché i principi di neutralità dell’IVA e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale in forza della quale il soggetto passivo è privato del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte, a causa dell’importo, considerato insufficiente, delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA effettuate da tale soggetto passivo a valle. La CGUE cit. (§§ 32, 33 e 34) ha rilevato che: « fraudolentemente o abusivamente delle norme del
il diritto alla detrazione dell’IVA può essere negato al soggetto passivo qualora sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che esso è invocato fraudolentemente o abusivamente. Occorre infatti ricordare che la lotta contro frodi, evasione fiscale ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva IVA e che la Corte ha dichiarato in più occasioni che i singoli non possono avvalersi diritto dell’Unione. Pertanto, quand’anche siano soddisfatte le condizioni sostanziali del diritto a detrazione, le autorità e i giudici nazionali devono negare il beneficio di tale diritto se è dimostrato, sulla base di elementi obiettivi, che detto diritto viene invocato in modo fraudolento o abusivo [v., in tal senso, sentenze del 3 marzo 2005, Fini H, C-32/03, EU:C:2005:128, punti 34 e 35, nonché del 25
maggio 2023, Dyrektor Izby Administracji Skarbowej w Warszawie (IVA -Acquisto simulato), C-114/22, EU:C:2023:430, punto 41 e giurisprudenza ivi citata]. Poiché il diniego del diritto a detrazione è un’eccezione all’applicazione del principio fondamentale che tale diritto costituisce, incombe alle autorità tributarie dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo ha commesso un’evasione dell’IVA o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in una tale evasione. Spetta poi ai giudici nazionali verificare se le amministrazioni finanziarie interessate abbiano dimostrato l’esistenza di detti elementi oggettivi . »
3.3. A seguito dell’intervento della CGUE questa Corte ha recentemente precisato che, in tema di società di comodo, l’art. 30 della legge n. 724 del 1994, nell’escludere il diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte per le società i cui introiti siano inferiori ad una determinata soglia (presumendone il carattere non operativo), si pone in contrasto con gli artt. 9, par. 1, e 167 della dir. 2006/112/CE e va, quindi, disapplicato da parte del giudice nazionale, in conformità ai principi espressi dalla sentenza della Corte di giustizia UE n. 341 del 7 marzo 2024, secondo cui le misure adottate dagli Stati membri per la lotta contro frodi, evasione fiscale ed abusi non devono eccedere quanto necessario per raggiungere tale obiettivo ed essere utilizzate in modo da mettere in discussione il principio di neutralità dell’IVA (Cass., 06/08/2024, n. 22249, v. anche Cass., 11/09/2024, n. 24442).
Con il quarto motivo è stata denunciata la violazione dell’art. 69 d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.
4.1. Ad avviso della ricorrente è privo di pregio il riferimento della CTR all’immediata esecutività delle sentenze tributarie di cui agli artt. 67 bis e 69, commi 1 e 4, d.lgs. n. 546 del 1992, dal momento che le nuove disposizioni sono applicabili con riferimento alle sentenze depositate dal 01/06/2016 oppure dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di attuazione (28/03/2017).
4.2. Il motivo deve considerarsi assorbito, in conseguenza dell’infondatezza del terzo motivo di ricorso.
Alla luce di quanto sin qui evidenziato il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente, in base al principio di soccombenza.
…
P.Q.M.
rigetta il ricorso condanna la ricorrente al pagamento, in favore del/la controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 13.800 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 30/01/2025.