Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 28313 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 28313 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23795/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVAP_IVA che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. dell’EMILIA -ROMAGNA n. 220/2021 depositata il 16/02/2021.
Udita la relazione svolta dapprima nella camera di consiglio del 12/03/2025 e poi, a seguito di riconvocazione, nella camera di consiglio del 14/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, esercente attività di locazione immobiliare di beni propri, veniva emesso l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO in relazione all’anno d’imposta 2012. Con tale atto, si contestava alla contribuente la debenza di maggiori importi a titolo di IRES, IRAP e IVA, oltre agli interessi, e venivano contestualmente irrogate le relative sanzioni.
L’atto trae origine dal processo verbale di constatazione redatto dall’RAGIONE_SOCIALE, all’esito di una verifica fiscale relativa all’anno d’imposta 2012, nel corso della quale si ritenne che la società RAGIONE_SOCIALE rientrasse nella fattispecie RAGIONE_SOCIALE società non operative, c.d. ‘società di comodo’, ai sensi dell’art. 30 della legge n. 724/1994.
La verifica prendeva avvio dal parziale accoglimento dell’istanza di interpello disapplicativo della suddetta normativa antielusiva, presentata dalla società. La contribuente dichiarava di non aver percepito alcun dividendo dalle società partecipate. L’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, con provvedimento del 29 agosto 2013, accoglieva solo parzialmente l’istanza; da tale provvedimento scaturiva l’avviso di accertamento volto al recupero RAGIONE_SOCIALE imposte dovute (IRES, IRAP e IVA) sul maggior imponibile accertato.
Alla società veniva altresì contestata, ai fini IVA, la detrazione dell’imposta relativa alla consulenza affidata alla società RAGIONE_SOCIALE, concernente l’attività complessiva della RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE sue partecipate.
Nonostante le indicazioni fornite dall’Ufficio, la società si adeguava solo parzialmente in sede di dichiarazione fiscale per l’anno d’imposta 2012. In particolare, compilava erroneamente il rigo RF75, indicando un valore medio riferito esclusivamente alla partecipazione detenuta nella società RAGIONE_SOCIALE, omettendo di valorizzare le ulteriori partecipazioni possedute in altre società.
A fronte di ciò, l’Ufficio procedeva all’accertamento, applicando la disciplina RAGIONE_SOCIALE ‘società di comodo’ prevista dall’art. 30 della legge n. 724/1994, determinando maggiore materia imponibile ai fini RAGIONE_SOCIALE imposte dinanzi indicate.
La società impugnava l’atto di accertamento dinanzi alla Commissione Tributaria RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, che, con sentenza n. 146/02/2017, rigettava il ricorso e condannava la ricorrente alla refusione RAGIONE_SOCIALE spese processuali.
Successivamente, la contribuente proponeva appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia -Romagna, la quale, con sentenza n. 220/04/2021, emessa il 22 gennaio 2021 e depositata il 16 febbraio 2021, accoglieva parzialmente l’impugnazione.
In particolare, la CTR osservava che, con riferimento alle cause esimenti dall’applicazione della normativa sulle ‘società di comodo’, rilevava esclusivamente la situazione della società c.d. ‘madre’, ossia della RAGIONE_SOCIALE. La società versava in uno stato di crisi conclamata, tanto da aver fatto ricorso dapprima al piano di risanamento ex art. 67 L. fall., e successivamente all’istituto del concordato preventivo.
Il giudice regionale evidenziava come la società disponesse di un rilevante patrimonio immobiliare e di una considerevole esposizione debitoria nei confronti degli istituti bancari, che la facevano considerare un operatore economico effettivo e non una società ‘schermo’, ai sensi della legge n. 724/1994.
Quanto alla consulenza prestata da RAGIONE_SOCIALE, la CTR rilevava che si trattava di un’attività di consulenza ad ampio raggio, funzionale sia all’attuazione del piano di risanamento, sia alla dismissione degli asset propri e RAGIONE_SOCIALE partecipate, dismissione effettivamente realizzata negli anni 2013 e 2014.
Infine, la CTR respingeva l’eccezione dell’RAGIONE_SOCIALE concernente la genericità della documentazione, sottolineando che ‘ la
dichiarazione prodotta da RAGIONE_SOCIALE e proveniente da RAGIONE_SOCIALE analizza ed elenca tutta l’attività svolta da quest’ultima nel corso del 2012… ‘.
Avverso tale pronuncia, l’RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione, fondato su due motivi. La contribuente rimane intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 30, L. n. 724/1994 nonché dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., per aver la CTR motivato la propria decisione valorizzando in senso assorbente un non meglio identificato ‘stato di crisi’ in capo alla contribuente, laddove, si obietta, ‘non vi è stata dimostrazione di uno stato di crisi nell’anno 2012 non dipendente dalla volontà dell’imprenditore’.
Con il secondo motivo di ricorso si contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 19 d.P.R. 633/1972 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., con riguardo alle prestazioni rese dalla società RAGIONE_SOCIALE, senza valutare l’esistenza di documentazione idonea a dimostrarne la natura, nonché la congruità ed esistenza RAGIONE_SOCIALE voci relative.
Il primo motivo è infondato e deve essere respinto.
Col mezzo di censura il ricorrente lamenta la presunta violazione e falsa applicazione dell’art. 30 della legge n. 724/1994 (nonché la violazione dell’art. 2697 c.c.), sostenendo che la Commissione tributaria regionale avrebbe erroneamente valorizzato lo ‘stato di crisi’ della società, genericamente rappresentato e non dimostrato, come elemento idoneo a supportare la disapplicazione della disciplina RAGIONE_SOCIALE società di comodo. La ricorrente deduce quindi un errore di sussunzione (come chiarito da Cass. n. 13328 del 2023), il quale «postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di
merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicché è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito» (Cass., n. 6035 del 2018; n. 19651 del 2024). Sono per conseguenza inammissibili i profili volti alla contestazione in fatto dell’accertamento svolto dal giudice di merito.
La disciplina di riferimento è nell’art. 30 legge n. 724 del 1994. Il comma 1 stabilisce che le società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, si considerano non operative se l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi RAGIONE_SOCIALE rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico, ove prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando le percentuali ivi espressamente previste. I commi 3 e 3 -bis prevedono, poi, che, fermo l’ordinario potere di accertamento, ai fini dell’imposta sul reddito e dell’IRAP, si presume che la base imponibile non sia inferiore ai valori determinati secondo criteri predeterminati. Il successivo comma 4 -bis prevede, tuttavia, che « in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi, nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4, la società interessata può richiedere la disapplicazione RAGIONE_SOCIALE relative disposizioni antielusive ai sensi dell’art. 37 bis, comma 8, del DPR 29 settembre 1973, n. 600 ». Originariamente la disposizione faceva riferimento a oggettive situazioni « di carattere straordinario », ma detta locuzione è stata eliminata dal 1° gennaio 2007, a seguito dell’art. 1, comma 109, lett. h, legge n. 296 del
2006 (legge finanziaria 2007). Infine, il comma 4 -ter (inserito dall’art. 1, comma 128, lett. f) legge 24 dicembre 2007, n. 244) prevede che con provvedimento del Direttore dell’RAGIONE_SOCIALE possano essere individuate « determinate situazioni oggettive », in presenza RAGIONE_SOCIALE quali non trovano applicazione le disposizioni dettate per le società di comodo.
Il Direttore dell’RAGIONE_SOCIALE, con decreto n. 23681 del 2008, ha individuato i casi di disapplicazione automatica. Nel medesimo decreto si prevede che costituiscono, inoltre, situazioni oggettive che consentono la disapplicazione della disciplina sulle società di comodo per il periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2007, senza necessità di presentare istanza di interpello, anche le nuove fattispecie individuate dall’art. 1, comma 128, lett. b) e c), della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008). Per completezza, va aggiunto che il provvedimento è stato integrato nel 2012 con ulteriori cause di esclusione automatica (Provv. Direttore RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 2012/87956).
La disciplina RAGIONE_SOCIALE c.d. ‘società di comodo’ o ‘non operative’ contemplata dall’art. 30 della legge n. 724/1994, ai commi 1, 3, 3 -bis e 4 -bis, è chiaramente finalizzata a colpire le società costituite non per esercitare un’attività imprenditoriale effettiva, bensì per amministrare patrimoni dei soci e beneficiare di regimi fiscali più favorevoli. Tale finalità antielusiva giustifica l’istituto della presunzione relativa di ‘non operatività’, superabile esclusivamente mediante prova contraria di circostanze oggettive, indipendenti dalla volontà degli amministratori (cfr. Cass. 5 luglio 2016, n. 13699; Cass. 24 gennaio 2022, n. 1898).
È significativo che il motivo di censura ora in esame riguardi esclusivamente II.DD. e IRAP, senza estendersi all’IVA; in tale contesto, non assume, invero, rilievo la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, sedimentatasi in particolare nella sentenza Feudi
San Gregorio (causa C -397/09), che esclude l’applicabilità tout court della disciplina antielusiva alle imposte armonizzate.
Il mancato superamento della c.d. soglia di operatività fissata dall’art. 30 cit. costituisce presunzione legale, relativa, della natura non operativa dell’ente e comporta l’applicazione della disciplina ivi dettata. In particolare, al ricorrere della presunzione sancita dall’art. 30, comma 1, legge cit. il legislatore correla, con il comma 3, una seconda presunzione, anch’essa relativa, di reddito minimo fondata su coefficienti medi di redditività degli elementi patrimoniali di bilancio (Cass. 24 gennaio 2022, n. 1898).
La disciplina, pertanto, opera su due diversi livelli; ad un primo livello, fornisce la definizione di non operatività degli enti (c.d. test di operatività), attraverso un confronto tra i proventi derivanti dall’attività d’impresa, emergenti dalla contabilità, e quelli individuati applicando specifici coefficienti al valore dei beni immobili, RAGIONE_SOCIALE partecipazioni e RAGIONE_SOCIALE altre immobilizzazioni della società; ad un secondo livello, per i soggetti che non hanno superato il test, fa scattare la presunzione di un reddito minimo determinato in rapporto ad altri coefficienti (Cass. n. 1898 del 2022 cit.). In tale contesto, questa Corte ha già chiarito che la rilevanza RAGIONE_SOCIALE oggettive situazioni, di cui al comma 4 -bis della disposizione, RAGIONE_SOCIALE quali qui si discute, si colloca nell’ambito della prima presunzione, giacché, fornendo la relativa prova, la società si sottrae alla classificazione come di società non operativa (e quindi all’eventuale applicazione della successiva e concatenata presunzione di reddito minimo), nonostante l’esito del test inferiore alla soglia legale di operatività.
Quanto alla prova contraria che il contribuente è tenuto a fornire, si è precisato che deve essere intesa, non in termini assoluti, quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni di mercato (Cass. 20/06/2018 n. 16204; Cass.
12/02/2019, n. 4019; Cass. 05/04/12/2019, n. 31626; Cass. 01/02/2019, n. 3063; Cass. 28/05/2020, n. 10158).
Nel caso in esame, sebbene l’iter del concordato preventivo, causa automatica di disapplicazione della disciplina antielusiva (v. Cass. n. 10720/2023, non massimata), si sia avviato soltanto nel 2016, il giudice regionale, lungi da valorizzare acriticamente un generico stato di crisi, ha evidenziato l’esistenza di uno ‘stato di crisi talmente penetrante da costringere la società a ricorrere agli strumenti previsti dalla legge fallimentare’; questo stato di crisi, ‘esistente nel 2012’, era ‘provato con la documentazione prodotta ed indicata in precedenza, forse anche riferibile ad annualità precedenti’, visto il documentato ricorso al piano di risanamento previsto dall’art. 67 l.fall.
Corretta è quindi la valutazione del giudice di merito che ha ritenuto assolta la prova contraria per mezzo della dimostrazione della ‘penetrante’ situazione di crisi indicata in sentenza. Il riferimento alle situazioni oggettive, difatti, sconta margini di elasticità insiti nel ricorso a una clausola generale, il cui significato deve essere, tuttavia, individuato anche tenendo conto della finalità della disciplina RAGIONE_SOCIALE società di comodo, che non è sanzionare l’imprenditore incapace che non sia stato in grado di conseguire ricavi, ma precludere l’applicazione della normativa fiscale prevista per le società commerciali a una situazione statica o di mero godimento (cfr., fra le più recenti, Cass. n. 24731/25). Le circostanze in questione non devono quindi essere individuate alla stregua di un criterio rigido e stringente, dovendo, piuttosto, ritenersi idoneo a vincere la presunzione legale di non operatività ogni specifico fatto, non dipendente dalla scelta consapevole dell’imprenditore, che abbia impedito di conseguire ricavi nella misura minima legale dal concreto svolgimento dell’attività (tra varie, cfr. Cass. n. 8856/24). E senz’altro la penetrante situazione di crisi accertata in sentenza, talmente irredimibile da sfociare
dapprima nel piano attestato di risanamento e poi nella procedura concordataria, non consente di ravvisare alcun vizio di sussunzione. Il secondo motivo è infondato.
Per il suo tramite il ricorrente deduce la presunta violazione o falsa applicazione dell’art. 19 del d.P.R. n. 633/1972, sostenendo che le prestazioni di consulenza rese e fatturate dalla società RAGIONE_SOCIALE non sarebbero inerenti all’attività economica della contribuente, e conseguentemente non si rivelerebbe legittima la detrazione dell’IVA.
La censura si risolve, in realtà, in un tentativo di sindacato di merito sui fatti accertati dal giudice d’appello, senza che emergano vizi di diritto o errate interpretazioni dei principi normativi e giurisprudenziali applicabili.
La Commissione tributaria regionale, con motivazione sufficientemente analitica e circostanziata, ha rilevato che la consulenza RAGIONE_SOCIALE, che ha ritenuto puntualmente comprovata, era finalizzata alla valutazione RAGIONE_SOCIALE società partecipate dalla contribuente, con riferimento alla gestione e alla successiva dismissione dei ‘valori’ aziendali. Ha inoltre escluso che lo scostamento temporale tra la fase preparatoria e l’effettiva alienazione potesse inficiare l’inerenza RAGIONE_SOCIALE spese, trattandosi di un intervallo reputato fisiologico tra analisi e operazioni economiche.
Tale apprezzamento di fatto trova utile conferma nei principi enunciati dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (causa C -42/19, RAGIONE_SOCIALE c. Autoridade Tributária e Aduaneira , punti 41 e 42), secondo cui:
« La sussistenza di un nesso diretto ed immediato tra una specifica operazione a monte ed una o più operazioni a valle, che conferiscono il diritto a detrazione, è necessaria, in via di principio, affinché il diritto a detrazione dell’IVA assolta a monte sia
riconosciuto al soggetto passivo e al fine di determinare la portata di siffatto diritto » (punto 41).
« Il diritto a detrazione è tuttavia parimenti ammesso a beneficio del soggetto passivo, anche in mancanza di un nesso diretto e immediato tra una specifica operazione a monte e una o più operazioni a valle che conferiscono un diritto a detrazione, qualora i costi dei servizi in questione facciano parte RAGIONE_SOCIALE spese generali del soggetto passivo e, in quanto tali, siano elementi costitutivi del prezzo dei beni o dei servizi che esso fornisce. Costi di tal genere presentano, infatti, un nesso immediato e diretto con il complesso dell’attività economica del soggetto passivo » (punto 42).
Tali principi si inseriscono nel solco di una giurisprudenza consolidata in tema di società holding ‘miste’, che esercitano parallelamente attività non economiche di mera partecipazione e attività economiche mediante prestazioni di servizi soggetti ad IVA. In chiave di sistema, d’altronde, la giurisprudenza unionale ha ribadito che servizi infragruppo, forniti da una società madre alla propria società figlia e contrattualmente precisati configurano prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso rientranti nell’ambito di applicazione dell’imposta sul valore aggiunto (CGUE, 4 settembre 2025, causa C -726/23, RAGIONE_SOCIALE). Nel caso di specie, ha accertato la CTR, la consulenza RAGIONE_SOCIALE ha riguardato prestazioni strettamente connesse all’attività economica della controllante, fornendo un supporto ritenuto indispensabile alla gestione e alla dismissione RAGIONE_SOCIALE partecipate anche perché ‘è oltremodo logico che qualsiasi piano di ristrutturazione deve provvedere alla valutazione RAGIONE_SOCIALE attività della ristrutturanda e, dunque, anche alla valutazione RAGIONE_SOCIALE società partecipate’. L’accertamento della CTR, che ha riconosciuto la rilevanza economica RAGIONE_SOCIALE prestazioni e la loro connessione con l’attività della società, si appalesa conforme ai principi stabiliti dalla Corte di giustizia e non presenta alcun vizio di diritto.
Pertanto, anche il secondo motivo deve essere respinto in quanto privo di fondamento.
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato. Non v’è luogo per la liquidazione RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio, in mancanza di attività difensiva.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 12/03/2025 e il 14/07/2025.
La Presidente
NOME–NOME COGNOME