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Società di comodo: stato di crisi esclude la disciplina

La Corte di Cassazione ha confermato che un’azienda in un comprovato e profondo stato di crisi non può essere classificata come “società di comodo” ai fini fiscali. La pronuncia respinge il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, la quale contestava a una S.r.l. l’applicazione della disciplina antielusiva. Secondo la Corte, una situazione di crisi oggettiva, che impedisce il conseguimento dei ricavi minimi previsti dalla legge, costituisce una valida causa di disapplicazione della normativa. La sentenza ha inoltre confermato la legittimità della detrazione IVA per i costi di consulenza finalizzati alla ristrutturazione aziendale, in quanto inerenti all’attività economica complessiva della società.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di Comodo: lo Stato di Crisi è una Causa di Esclusione

La disciplina delle società di comodo rappresenta uno degli strumenti più incisivi a disposizione del Fisco per contrastare l’uso di schermi societari a fini elusivi. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e deve tenere conto delle reali condizioni operative dell’impresa. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: un’azienda che versa in un comprovato stato di crisi non può essere considerata una società di comodo. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Una società a responsabilità limitata, operante nel settore della locazione immobiliare, riceveva un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2012. L’Amministrazione Finanziaria contestava maggiori imposte (IRES, IRAP e IVA) sulla base della disciplina delle società di comodo, ritenendo che la società non avesse raggiunto i ricavi minimi presunti dalla legge.

La contribuente impugnava l’atto, sostenendo di trovarsi in una situazione di profonda crisi aziendale, tale da averla costretta a ricorrere prima a un piano di risanamento e, successivamente, a un concordato preventivo. La Commissione Tributaria Regionale accoglieva parzialmente le ragioni della società, riconoscendo che lo “stato di crisi conclamata” costituiva una causa oggettiva che impediva l’applicazione della normativa antielusiva. L’Amministrazione Finanziaria, non soddisfatta della decisione, proponeva ricorso in Cassazione.

La Disciplina delle Società di Comodo e la Prova Contraria

L’articolo 30 della Legge n. 724/1994 introduce una presunzione legale: si considerano non operative (o “di comodo”) le società che non superano un “test di operatività”, ovvero i cui ricavi effettivi sono inferiori a una soglia minima calcolata in percentuale sul valore dei beni patrimoniali. L’effetto è l’obbligo di dichiarare un reddito minimo presunto, a prescindere dalle perdite reali.

Tuttavia, la stessa legge prevede la possibilità per il contribuente di fornire la prova contraria, dimostrando l’esistenza di “oggettive situazioni” che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi minimi. Lo stato di crisi aziendale rientra a pieno titolo in queste situazioni, a condizione che non dipenda da scelte volontarie dell’imprenditore ma da fattori esterni e oggettivi.

La Decisione della Corte sulla Società di Comodo

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia Fiscale, confermando la decisione dei giudici di merito. I magistrati hanno sottolineato che la ratio della normativa non è quella di penalizzare l’imprenditore in difficoltà, ma di colpire le società create al solo scopo di gestire patrimoni personali beneficiando indebitamente di un regime fiscale favorevole.

Secondo la Corte, uno stato di crisi “penetrante”, documentato e tale da sfociare in procedure come il piano di risanamento o il concordato, è una prova sufficiente dell’esistenza di una situazione oggettiva che esclude l’applicazione della disciplina delle società di comodo. La valutazione dei giudici di merito, che avevano ritenuto provata tale situazione, è stata considerata corretta e non sindacabile in sede di legittimità.

La Questione della Detrazione IVA per le Consulenze

Un secondo motivo di ricorso riguardava la detrazione dell’IVA su costi di consulenza forniti da un’altra società. Tali consulenze erano finalizzate alla valutazione delle partecipate e alla dismissione degli asset, nell’ambito del piano di risanamento. L’Amministrazione Finanziaria ne contestava l’inerenza.

Anche su questo punto, la Cassazione ha dato ragione alla società. Citando i principi della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ha stabilito che i costi sostenuti per una consulenza strategica, anche se preparatoria a future operazioni di vendita, sono inerenti all’attività economica complessiva della società. Pertanto, l’IVA relativa a tali costi è pienamente detraibile, in quanto tali servizi sono funzionali alla ristrutturazione e alla sopravvivenza stessa dell’impresa.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una corretta interpretazione della finalità della norma sulle società di comodo. I giudici chiariscono che la presunzione di non operatività può essere superata dimostrando circostanze oggettive, indipendenti dalla volontà dell’imprenditore, che hanno impedito il raggiungimento dei ricavi minimi. La crisi economica, documentata e così grave da richiedere l’attivazione di strumenti previsti dalla legge fallimentare, è stata considerata una di queste circostanze. La Corte ha ritenuto che il giudice di merito avesse correttamente valutato le prove, riconoscendo che la crisi era “talmente penetrante da costringere la società a ricorrere agli strumenti previsti dalla legge fallimentare”. Questo apprezzamento di fatto, adeguatamente motivato, non può essere riesaminato in Cassazione.

Per quanto riguarda la detrazione IVA, la motivazione risiede nel principio consolidato a livello europeo del “nesso diretto e immediato”. Anche se la consulenza non è direttamente collegata a una specifica operazione a valle che genera IVA, essa rientra nelle “spese generali” dell’impresa, in quanto funzionale alla sua gestione e ristrutturazione. Questi costi, essendo elementi costitutivi del prezzo dei beni o servizi che l’impresa fornirà, hanno una connessione diretta con l’intera attività economica del soggetto passivo, legittimando così il diritto alla detrazione.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre importanti spunti pratici. In primo luogo, consolida il principio che le imprese in reale difficoltà economica possono difendersi efficacemente dall’applicazione automatica della disciplina sulle società di comodo, a patto di poter documentare in modo rigoroso e oggettivo la propria situazione di crisi. In secondo luogo, riafferma un principio di civiltà giuridica: le norme antielusive devono colpire i comportamenti fraudolenti, non le imprese che lottano per sopravvivere sul mercato. Infine, la decisione sulla detraibilità dell’IVA sui costi di ristrutturazione garantisce la neutralità dell’imposta e supporta gli sforzi delle aziende per riorganizzarsi e superare momenti di difficoltà.

Uno stato di crisi aziendale è sufficiente per evitare la disciplina delle società di comodo?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che una situazione di crisi oggettiva, profonda e documentata, che ha impedito di conseguire i ricavi minimi, è una causa di disapplicazione della normativa sulle società di comodo, in quanto la finalità della legge non è sanzionare l’imprenditore incapace ma colpire le società-schermo.

Come deve essere provato lo stato di crisi per essere considerato valido ai fini fiscali?
La prova deve essere rigorosa. Nel caso esaminato, è stato ritenuto sufficiente dimostrare uno stato di crisi “talmente penetrante” da aver costretto la società a ricorrere a strumenti come il piano di risanamento (ex art. 67 L. fall.) e, successivamente, al concordato preventivo. È fondamentale che la crisi sia documentata e non dipendente da scelte consapevoli dell’imprenditore.

L’IVA sui costi di consulenza per una ristrutturazione aziendale è detraibile?
Sì. La Corte ha stabilito che i costi per consulenze finalizzate alla ristrutturazione, alla valutazione e alla dismissione di asset aziendali sono inerenti all’attività economica complessiva dell’impresa. Essi costituiscono spese generali e, pertanto, l’IVA assolta su tali prestazioni è detraibile, anche se non sono direttamente collegate a una specifica operazione a valle che genera IVA.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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