Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13202 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13202 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/05/2024
ORDINANZA
Sul ricorso n. 9255-2022, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , cf CODICE_FISCALE, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende –
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE (P_IVA), rappresentata e difesa da ll’AVV_NOTAIO , che dichiara di voler ricevere tutte le comunicazioni presso l’indirizzo pec , presso il quale cui elegge il proprio domicilio telematico –
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 1136/03/2022 della Commissione tributaria regionale della Sicilia, depositata il 10.02.2022;
udita la relazione della causa svolta nell’ adunanza camerale del 22 novembre 2023 dal AVV_NOTAIO,
Rilevato che
Dalla sentenza impugnata si evince che la ‘RAGIONE_SOCIALE‘, con riguardo all’anno d’imposta 20 08, indirizzò all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
Società di comodo
RAGIONE_SOCIALE istanza di disapplicazione della disciplina sulle società non operative (cd. di comodo), prevista dall’art. 30 , comma 4 bis, della l. 23 dicembre 1994, n. 724 (introdotto dall’art. 35, comma 15, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni in l. 4 agosto 2006, n. 248, così sostituendo l’art. 37 bis, comma 8, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600). A giustificazione dell’istanza rappresentò che la società, esercente attività di gestione di alberghi e strutture turistiche, aveva subito nel 2008 un sequestro penale del complesso immobiliare, costituente il bene strumentale necessario all’esercizio dell’attività. L’immobile era stato dissequestrato solo nel 2013, così che solo in data 5 maggio 2014 aveva potuto depositare la richiesta di concessione edilizia in sanatoria.
L’interpello fu, tuttavia, rigettato dal Direttore Regionale dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE , che sosteneva l’assenza dei presupposti giustificativi .
Seguì il contenzioso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Palermo, che con sentenza n. 69/10/2019 accolse le ragioni della società. L’appello proposto dall’ufficio dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Sicilia fu respinto con sentenza n. 1136/03/2022. Il giudice regionale dopo aver rigettato la reiterata eccezione di inammissibilità del ricorso avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di disapplicazione, nel merito ha confermato le statuizioni del giudice di I grado, rilevando che con l’appe llo l’Amministrazione finanziaria si era limitata a riproporre le stesse ragioni e la stessa ricostruzione ‘fattuale’ esposta dinanzi al giudice provinciale, e da questi disattesa con motivazione congrua, che andava condivisa. A tal fine ha sostenuto che la pronuncia appellata fosse esente da carenze o erroneità.
L’RAGIONE_SOCIALE ha censurato la sentenza, e ne ha chiesto la cassazione, con tre motivi, cui ha resistito la società con controricorso, ulteriormente illustrato con memoria depositata ex art. 380 bis.1 cod. proc. civ.
La causa è stata trattata e decisa all’esito dell’adunanza camerale del 22 novembre 2023.
Considerato che
NUMERO_DOCUMENTO AVV_NOTAIO rel. COGNOME COGNOME il primo motivo di ricorso l’ufficio denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché dell’art. 6 del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. La commissione regionale non ha tenuto conto
che il provvedimento di rigetto dell’ istanza di disapplicazione non è impugnabile, così che doveva considerarsi inammissibile, come richiesto, il ricorso introduttivo della società.
Il motivo è infondato. La disciplina invocata dalla difesa erariale è RAGIONE_SOCIALEata in vigore a partire dall’1 gennaio 2016. La giurisprudenza di legittimità ha affermato che l’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 156 del 2015, secondo cui non sono impugnabili le risposte alle istanze di interpello di cui all’articolo 11 della I. n. 212 del 2000, non ha valenza interpretativa né portata di innovazione retroattiva, ridisciplinando per il futuro la materia, e, quindi, non dispone che per l’avvenire (Cass., 6 ottobre 2017, n. 23469; 27 ottobre 2021, n. 30227; 4 ottobre 2023, n. 27922). Nel caso di specie è incontestabile che l’istanza di disapplicazione , e soprattutto il ricorso introduttivo della presente controversia fu proposto in data anteriore all’1 gennaio 2016 (il 26 novembre 2015), così che la disciplina richiamata dall’RAGIONE_SOCIALE non trova applicazione.
Peraltro, in materia, si è anche affermato che «La risposta negativa del fisco a un interpello disapplicativo è atto impugnabile, anche se non riRAGIONE_SOCIALEa tra quelli elencati dall’art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992: l’ente impositore, infatti, attraverso tale atto porta a conoscenza del contribuente una pretesa tributaria ben individuata e quest’ultimo, senza necessità che la stessa si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dal citato art. 19, già al momento della ricezione della notizia è portatore di un interesse, ex art. 100 c.p.c., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva» (Cass., 27 gennaio 2023, n. 2634; n. 27922/2023 cit.).
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 277 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. Il giudice regionale avrebbe omesso di esaminare le doglianze articolate dall’Amministrazione finanziaria. C iò sia in riferimento alla eccepita inammissibilità del ricorso introduttivo della contribuente, sia con riguardo alla insussistenza dei presupposti per l’accoglimento dell’istanza di disapplicazione.
Con il terzo motivo l’RAGIONE_SOCIALE si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., nonché degli artt. 132 cod. proc. civ. e 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.; inoltre d ella violazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. La pronuncia impugnata sarebbe affetta da una motivazione apparente, non potendo dedursene la correttezza neppure invocando che essa sia stata motivata per relationem alle motivazioni della sentenza di primo grado. Di contro la sentenza non ha tenuto conto che doveva gravare sul contribuente la prova -documentaledella sussistenza dei presupposti per la disapplicazione della disciplina RAGIONE_SOCIALE società di comodo.
Il secondo motivo, per quanto riferibile alla inammissibilità del ricorso introduttivo, è assorbito dal rigetto del primo.
Quanto alle critiche rivolte alla decisione, sia in riferimento al mancato esame RAGIONE_SOCIALE doglianze illustrate dall’ufficio, sia con riguardo all’apparenza della motivazione, e comunque alla eccRAGIONE_SOCIALEicità della pronuncia rispetto alla motivazione per relationem , si tratta di censure del tutto infondate, che possono essere trattate unitariamente, perché tra loro logicamente ed intrinsecamente connesse.
Va intanto ribadito che sussiste l’apparente motivazione della sentenza ogni qual volta il giudice di merito ometta di indicare su quali elementi abbia fondato il proprio convincimento, nonché quando, pur indicandoli, a tale elencazione ometta di far seguire una disamina almeno chiara e sufficiente, sul piano logico e giuridico, idonea a permettere un adeguato controllo sull’esattezza e logicità del suo ragionamento (Sez. U, 3 novembre 2016, n. 22232; cfr. anche 23 maggio 2019, n. 13977; 1 marzo 2022, n. 6758). In sede di gravame, la decisione può essere legittimamente motivata per relationem ove il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di RAGIONE_SOCIALEambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto, ovvero purché il rinvio sia operato così da rendere possibile ed agevole il controllo, dando conto RAGIONE_SOCIALE argomentazioni RAGIONE_SOCIALE parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata. Essa va invece cassata quando il giudice si sia limitato
ad aderire alla pronuncia di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (cfr. Cass., 19 luglio 2016, n. 14786; 7 aprile 2017, n. 9105). La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione è apparente quando, ancorché graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta RAGIONE_SOCIALE norme che regolano la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (Cass., 30 giugno 2020, n. 13248; cfr. anche 5 agosto 2019, n. 20921). È altrettanto apparente ogni qual volta evidenzi una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio (Cass., 14 febbraio 2020, n. 3819).
Nel caso di specie la motivazione del giudice regionale, sia pur sintetica, ha rigettato le censure dell’ufficio , facendo espresso richiamo alla decisione del giudice di primo grado. Nella motivazione di tale pronuncia, riportata nelle medesime difese erariali, si afferma che «la disapplicazione risulta richiesta sulla base di una situazione oggettivamente peculiare, discendente dal sequestro preventivo in sede penale del complesso i mmobiliare nell’anno 2008, seguito dal dissequestro intervenuto nel 2013, cui seguiva la richiesta di concessione edilizia in sanatoria proposta in data 5 maggio 2014. Alla luce di tale situazione oggettiva, il provvedimento di rigetto non risulta adeguatamente motivato, in relazione alla sufficiente dimostrazione, offerta dall’istante, dell’esistenza di una causa oggettiva che possa legittimare la disapplicazione della disciplina RAGIONE_SOCIALE società di comodo. Invero, alla luce del lungo periodo in cui il complesso immobiliare è rimasto in sequestro, i tempi della richiesta di concessione in sanatoria edilizia possono considerarsi congrui».
Ebbene, a fronte RAGIONE_SOCIALE valutazioni espresse dal giudice di primo grado, il rinvio operato dalla Commissione regionale non rappresenta solo il prodotto di una ‘acritica’ condivisione RAGIONE_SOCIALE stesse, ma manifesta una consapevole adesione al procedimento logico che sottende a quelle argomentazioni, tanto più che il giudice regionale avverte, come premessa, che l’appellante ufficio
si era limitato a ‘riproporre’ «la stessa ricostruzione fattuale, già esposta in primo grado, sulla quale il giudice di prime cure ha congruamente motivato ancorando la sua decisione a prove documentali».
La motivazione per relationem si rivela dunque una disamina chiara e sufficiente sul piano logico e giuridico, ossia dimostra un adeguato controllo sull’esattezza e logicità del ragionamento seguito dalla sentenza di primo grado, che viene pertanto confermata, anche alla luce del dato, obiettivo, che le censure proposte con l’appello nulla avevano aggiunto rispetto all’originaria prospettazione difensiva dell’Amministrazione finanziaria . Questa infatti si era rivelata una mera ripetizione, che non criticava direttamente le carenze o i vizi della decisione appellata, ma reiterava difese già vagliate in primo grado e ritenute già recessive rispetto ai motivi di ricorso della società rispetto alla denegata disapplicazione.
Ne discende un ponderato e consapevole vaglio di correttezza della sentenza d’appello e per l’effetto è assente il vizio di apparenza della motivazione, formulato dalla difesa erariale con il ricorso per cassazione.
Né quelle censure coglievano nel segno quando con il terzo motivo l’RAGIONE_SOCIALE ha preteso di denunciare la violazione dell’art. 2697 del cod. civ., sostenendo che era stato trascurato, nel riparto dell’onere della prova, che sul contribuente doveva gravare la prova documentale della sussistenza dei presupposti per la disapplicazione della disciplina RAGIONE_SOCIALE società di comodo.
A parte che risulta incomprensibile, quando non del tutto vuota, la pretesa di un onere probatorio documentale, va chiarito che in materia di società di comodo questa Corte ha affermato che l’art. 30 della l. n. 724 del 1994, al comma 1, prevede una presunzione legale relativa, in base alla quale una società si considera “non operativa” se la somma di ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi (esclusi quelli straordinari), imputati nel conto economico, sia inferiore a un ricavo presunto, calcolato applicando determinati coefficienti percentuali al valore degli “asset” patrimoniali intestati alla società (cd. “test di operatività dei ricavi”), senza che abbiano rilievo le intenzioni e il comportamento dei soci. Il successivo comma 4-bis (inserito dall’ art. 35, comma 15, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni in l. 4 agosto 2006, n. 248) ha consentito la presentazione dell’istanza di interpello, chiedendo la disapplicazione RAGIONE_SOCIALE “disposizioni
antielusive”, in presenza di situazioni oggettive (ossia non dipendenti da una scelta consapevole dell’imprenditore), che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito di cui al precedente comma 1, così rispondendo all’esigenza di dare piena attuazione al principio di capacità contributiva, di cui la disciplina antielusiva è espressione. Il mancato raggiungimento del risultato minimo, secondo le regole di calcolo previste dall’art. 30 cit., riRAGIONE_SOCIALEa pertanto in un concetto di i mpossibilità, in termini oggettivi, che supera la presunzione di un uso improprio dello strumento societario.
Il giudice d’appello , come quello di primo grado, ha ritenuto di disattendere le ragioni della difesa erariale, atteso che ai fini della disapplicazione della disciplina antielusiva era sopraggiunta una situazione oggettiva (il sequestro preventivo del compendio), che aveva reso impossibile il conseguimento dei ricavi minimi.
Le conclusioni depongono nella direzione del rispetto dell’art. 2697 cod. civ. Infatti, posto che la disciplina sulle società di comodo è stata introdotta a presidio da condotte antielusive, essa è estranea ad intenti ontologicamente ‘punitivi’, perseguendo invece solo la finalità di evitare vantaggi fiscali non spettanti, nel rispetto del principio di capacità contributiva.
La circostanza sulla quale l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha insistito, l’ irrilevanza del sequestro penale preventivo sopportato dalla società (per reati riconducibili a violazioni edilizie commesse dal dante causa della società, ancorché legale rappresentate della società acquirente), non poteva costituire un evento del quale la società medesima potesse essere ritenuta responsabile. Non può riconoscersi una sovrapponibilità soggettiva tra alienante e acquirente, se non altro perché l’Amministrazione finanziaria non si è neppure premurata di allegare documentazione, da cui tale sovrapposizione soggettiva risultasse palese (manca ogni riscontro sulla composizione sociale della società, men che meno che essa fosse costituita quale società unipersonale).
Il sequestro del compendio immobiliare, senza del quale la società non poteva operare e percepire redditi, costituiva pertanto un evento obiettivo e non voluto dalla società medesima. Infatti, ai fini della corretta interpretazione della disciplina, il rigetto dell’istanza di disapplicazione , per
l’impossibilità del raggiungimento della redditività minima , va ancorato ad un concetto economico più che a termini assoluti (cfr. Cass., 24 agosto 2021, n. 23384; 12 febbraio 2019, n. 4019). Deve, cioè trattarsi di un fatto non dipendente dalla volontà dell’imprenditore, o, se da lui dipendente, di un fatto da cui dipendano scelte consapevoli ma necessitate dell’imprenditore . Solo in tal senso la disciplina risulta indenne da dubbi di coerenza con la normativa euro-unitaria, laddove si afferma che il meccanismo di determinazione presuntiva del reddito, di cui all’art. 30 cit., superabile mediante prova contraria, non si pone in contrasto con il principio di proporzionalità, rispetto al quale, la Corte di Giustizia UE (sentenza 13 marzo 2007, in causa C-524/04) ha affermato che una normativa nazionale che si fondi sull’esame di elementi oggettivi e verificabili per stabilire se un’operazione consista in una costruzione di puro artificio ai soli fini fiscali, e quindi elusiva, va considerata come non eccedente quanto necessario per prevenire pratiche abusive, ove il contribuente sia messo in grado, senza oneri eccessivi, di dimostrare le eventuali ragioni commerciali che giustificano detta operazione (Cass., n. 23384 del 2018, cit.).
Il sopraggiungere di un sequestro preventivo, che di certo ha reso totalmente inutilizzabile il complesso immobiliare deputato all’attività economica, costituisce un dato obiettivo e non voluto. E ritenere il dato irrilevante sulla sola considerazione che le violazioni edilizie erano state commesse dal precedente proprietario dell’immobile, poi ceduto alla società (anche questa circostanza riportata dall’amministrazione finanziaria in modo del tutto astratto, senza cioè neppure premurarsi di spiegare cosa fosse in realtà avvenuto e quale esito avesse avuto l’inchiesta penale, il cui unico dato oggettivo è, di contro, quello del dissequestro del compendio e della possibilità di ottenere una concessione in sanatoria), cioè da soggetto non sovrapponibile alla società, prova troppo.
Anche sotto il profilo degli oneri probatori, dunque, il ragionamento seguito dal giudice regionale aderisce correttamente ai principi giuridici che presidiano la disciplina introdotta con l’art. 30 della l. 724 del 1994 .
In conclusione, il ricorso è infondato e va rigettato.
Le spese di causa seguono la soccombenza nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, condanna l’RAGIONE_SOCIALE alla rifusione in favore della società RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura di € 6.500,00 per competenze, € 200,00 per esborsi, oltre spese generali calcolate forfettariamente nel 15% RAGIONE_SOCIALE competenze, e accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il giorno 22 novembre 2023