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Società di comodo: sequestro giustifica disapplica

Una società, classificata come ‘società di comodo’, ha ottenuto la disapplicazione della relativa disciplina fiscale. La Corte di Cassazione ha confermato che il sequestro penale dell’unico bene strumentale all’attività costituisce una situazione oggettiva di impossibilità ad operare che giustifica l’esclusione dal regime, anche se il sequestro derivava da illeciti del precedente proprietario. La decisione sottolinea che la normativa sulle società di comodo ha finalità antielusive e non punitive.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di Comodo: Sequestro Penale dell’Immobile Giustifica la Disapplicazione

La disciplina sulla società di comodo rappresenta uno strumento cruciale per l’amministrazione finanziaria nella lotta all’elusione fiscale. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e deve tenere conto di situazioni oggettive che impediscono a un’impresa di operare. Con l’ordinanza n. 13202/2024, la Corte di Cassazione ha chiarito che un sequestro penale sull’unico bene aziendale costituisce una causa di forza maggiore che legittima la disapplicazione di tale regime, proteggendo il principio di capacità contributiva.

I Fatti del Caso

Una società a responsabilità limitata, operante nel settore turistico-alberghiero, si era vista notificare un provvedimento di rigetto da parte dell’Agenzia delle Entrate riguardo a un’istanza di disapplicazione della normativa sulle società di comodo per l’anno d’imposta 2008. La società aveva motivato la sua richiesta sulla base di una circostanza eccezionale: l’intero complesso immobiliare, bene strumentale indispensabile per l’esercizio dell’attività, era stato sottoposto a sequestro penale proprio nel 2008. Il dissequestro era avvenuto solo nel 2013.

Nonostante questa evidente impossibilità operativa, l’Agenzia delle Entrate aveva respinto l’istanza. La società aveva quindi avviato un contenzioso tributario, ottenendo ragione sia in primo che in secondo grado. La Commissione Tributaria Regionale, in particolare, aveva confermato la decisione del primo giudice, ritenendo che l’appello del Fisco fosse una mera riproposizione di argomentazioni già respinte e che il sequestro costituisse una valida causa oggettiva per la disapplicazione. L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso per cassazione.

L’Appello del Fisco e la Disciplina sulla Società di Comodo

L’Agenzia delle Entrate ha basato il proprio ricorso su tre motivi principali:
1. Inammissibilità dell’atto introduttivo: Secondo l’Ufficio, il provvedimento di rigetto dell’istanza di disapplicazione non sarebbe un atto impugnabile.
2. Omessa pronuncia: Il giudice d’appello non avrebbe esaminato le specifiche doglianze mosse dall’amministrazione finanziaria.
3. Motivazione apparente e violazione dell’onere della prova: La sentenza regionale sarebbe viziata da una motivazione apparente, in quanto si sarebbe limitata a un rinvio acritico alla sentenza di primo grado, senza considerare che l’onere di provare i presupposti per la disapplicazione gravava sul contribuente.

Il cuore della questione ruotava attorno all’interpretazione della normativa sulla società di comodo, la quale presume che una società sia non operativa se i suoi ricavi sono inferiori a una soglia minima calcolata sul valore degli asset patrimoniali. Il contribuente può tuttavia superare questa presunzione dimostrando l’esistenza di ‘situazioni oggettive’ che hanno reso impossibile il raggiungimento di tale soglia.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando la legittimità della disapplicazione della disciplina.

L’Impugnabilità del Rigetto dell’Interpello

In primo luogo, la Corte ha respinto la tesi dell’inammissibilità del ricorso originario. Ha ribadito un principio consolidato: la risposta negativa a un interpello disapplicativo è un atto impugnabile. Questo perché, attraverso tale atto, l’ente impositore comunica al contribuente una pretesa tributaria ben definita, facendo sorgere in capo a quest’ultimo un interesse concreto e attuale a ottenere una pronuncia giudiziale che chiarisca la sua posizione fiscale.

La Prova dell’Impossibilità Oggettiva e la Legittimità della Motivazione ‘Per Relationem’

La Corte ha poi affrontato congiuntamente gli altri due motivi, ritenendoli infondati. La motivazione della Commissione Regionale, sebbene sintetica e ‘per relationem’ a quella di primo grado, non è stata giudicata apparente. Al contrario, è stata considerata una ‘consapevole adesione’ al percorso logico-giuridico del primo giudice, pienamente legittima dato che l’appello dell’Ufficio non aveva introdotto nuovi elementi ma si era limitato a ripetere le difese iniziali.

Nel merito, la Cassazione ha chiarito che il sequestro preventivo di un compendio immobiliare costituisce un evento oggettivo, non voluto dalla società, che ha reso materialmente impossibile lo svolgimento dell’attività e, di conseguenza, il conseguimento dei ricavi minimi. La normativa sulla società di comodo ha una finalità antielusiva, volta a colpire l’uso improprio dello strumento societario, ma non ha intenti punitivi. Pertanto, di fronte a un’impossibilità oggettiva e non dipendente da una scelta consapevole dell’imprenditore, la presunzione di non operatività viene meno.

È irrilevante, secondo la Corte, che le violazioni edilizie all’origine del sequestro fossero state commesse dal precedente proprietario. Non si può creare una sovrapposizione soggettiva tra alienante e acquirente, specialmente quando l’Amministrazione finanziaria non ha fornito alcuna prova in tal senso. Il sequestro è un dato di fatto che ha interrotto la capacità produttiva della società.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un importante principio di giustizia tributaria: la disciplina sulla società di comodo non può essere applicata in modo meccanicistico. È necessario valutare le circostanze concrete che hanno inciso sulla vita dell’impresa. Un evento esterno, involontario e oggettivamente ostativo come un sequestro penale è una causa sufficiente per disapplicare il regime fiscale penalizzante. La decisione riafferma che l’onere della prova a carico del contribuente è soddisfatto quando si dimostra l’esistenza di una tale causa di forza maggiore, tutelando così le imprese che, pur volendo operare, ne sono state materialmente impedite.

Una società può essere esentata dalle regole sulla ‘società di comodo’ se i suoi beni sono sotto sequestro penale?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che il sequestro penale dell’unico bene strumentale necessario all’attività costituisce una ‘situazione oggettiva’ di impossibilità a operare. Tale circostanza, se non dipende dalla volontà dell’imprenditore, giustifica la disapplicazione della disciplina fiscale prevista per le società di comodo.

Il rigetto da parte dell’Agenzia delle Entrate di un’istanza di disapplicazione è un atto che si può contestare in tribunale?
Sì, la risposta negativa a un’istanza di interpello disapplicativo è un atto impugnabile davanti al giudice tributario. Questo perché tale provvedimento manifesta una pretesa fiscale definita da parte dell’amministrazione, facendo sorgere nel contribuente l’interesse a ottenere una sentenza che accerti la legittimità della sua posizione.

Su chi ricade l’onere di dimostrare che una società non ha potuto operare per cause di forza maggiore?
L’onere di provare l’esistenza di situazioni oggettive che hanno impedito il raggiungimento dei ricavi minimi ricade sul contribuente. Tuttavia, la Corte ha chiarito che tale prova è fornita dimostrando l’evento oggettivo, come il sequestro dell’immobile, che ha reso materialmente impossibile lo svolgimento dell’attività economica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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