Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11742 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11742 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27206/2019 R.G. proposto da:
NOME RAGIONE_SOCIALE NOME RAGIONE_SOCIALEc. (02158430047), NOME (CODICE_FISCALE), in qualità di socia e legale rappresentante pro tempore, NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), in qualità di soci, nonchè NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), in qualità di socia ed erede di NOME (CODICE_FISCALE), NOME ( CODICE_FISCALE), NOME (CODICE_FISCALE), NOME ( CODICE_FISCALE) e NOME (MRNRCE79C59G647T), in qualità di eredi di NOME Franco, ex socio, tutti rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME del Foro di Torino ed elettivamente domiciliati preso il suo studio, giusta procura speciale in atti
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO -controricorrente –
E NEI CONFRONTI DI
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro p.t.
-intimato- avverso la sentenza n. 174/1/2019 della Commissione tributaria regionale del Piemonte, depositata in data 6.2.2019 e non notificata;
udita la relazione svolta all’udienza camerale del 20.3.2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.A seguito di un controllo fiscale avente ad oggetto gli anni di imposta 2009 e 2010, l’Agenzia delle Entrate -Direzione provinciale di Cuneo emetteva a carico della società in epigrafe l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO per l’anno di imposta 2009 e l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO per l’anno di imposta 2010, sulla base della ritenuta natura ‘di comodo’ della società. Seguivano gli avvisi di accertamento a carico dei soci.
Tutti gli avvisi venivano tempestivamente impugnati davanti alla Commissione Provinciale di Cuneo che, riuniti i ricorsi, li rigettava, con condanna al pagamento delle spese processuali.
La decisione veniva confermata dalla C.T.R., la quale respingeva il gravame e condannava gli appellanti al pagamento delle spese processuali.
Avverso la precitata sentenza hanno proposto ricorso la società, i soci e gli eredi di NOMECOGNOME già socio, affidato ad un unico motivo.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
In Ministero dell’Economia e delle Finanze è rimasto intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va in primo luogo rilevata d’ufficio l’inammissibilità del ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, rimasto intimato, atteso che, come più volte statuito da questa Corte (da
ultimo v. Cass. 06/05/2024, n. 12204, e Cass. 31/10/2024, n. 28187), nei giudizi tributari introdotti, come quello che qui ci occupa, successivamente al 1° gennaio 2001, data in cui è divenuta operativa l’istituzione delle agenzie fiscali previste dall’art. 57, comma 1, del D. Lgs. n. 300, del 1999, spetta unicamente a queste ultime la legittimazione ad causam e ad processum (cfr. Cass. Sez. U. n. 3118/2006, Cass. n. 29183/2017). Non a caso il detto Ministero non ha preso parte ai gradi di merito del presente giudizio.
Ciò posto, con il primo ed unico motivo di ricorso -rubricato «violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360,comma 1, n. 3, c.p.c., dell’art. 30 della legge 27 dicembre 1994 n. 724; omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. -i ricorrenti lamentano che la C.T.R., da un lato, avrebbe enfatizzato determinate circostanze fattuali del tutto irrilevanti; dall’altro avrebbe omesso di valutare alcuni elementi oggettivi, travisandoli o escludendone artatamente l’inequivoca portata probatoria, con ciò erroneamente ritenendo che non fosse stata fornita la prova dei fatti impeditivi, oggettivi ed indipendenti dalla volontà dei soci, che avevano reso impossibile il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto, prova che i contribuenti hanno la facoltà di fornire. In particolare: la C.T.R. aveva ritenuto prova dell’intento elusivo, che doveva essere fornita dall’Agenzia delle Entrate, l’inserimento di dati falsi nel quadro RS, reputandolo non giustificato da un errore, ma volontariamente preordinato ad evitare il mancato superamento del test ed ad ottenere un rimborso IVA indebito, pur avendo essi sempre ammesso che l’inserimento di dati falsi era stato volontario, proprio al fine di evitare il mancato superamento del test di operatività e giustificando tale condotta con la discutibile impostazione del software di controllo automatizzato RAGIONE_SOCIALE che, se fossero stati inseriti dati veritieri, avrebbe automaticamente qualificato la
società come di comodo; la C.T.R. aveva poi ritenuto prova dell’intento elusivo anche la mancata presentazione dell’interpello disapplicativo, pur riconoscendo che non era obbligatorio, respingendo con motivazione incongrua la doglianza relativa all’omessa instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale, che secondo il giudice del merito sarebbe stato garantito mediante l’inoltro del questionario, cui la società aveva risposto depositando la documentazione richiesta, il che secondo i ricorrenti sarebbe un ragionamento contraddittorio. Quanto alle fatture, contrariamente a quanto ritenuto dalla C.T.R., esse fornivano prova sufficiente dei plurimi tentativi della società di dare in gestione l’albergo, non essendo tenuti a conservare anche gli annunci pubblicitari; la missiva dell’avvocato al comune di Pinerolo, diversamente da quanto ritenuto dal giudice del gravame, era da sola sufficiente a dimostrare che la società non aveva potuto edificare un terreno a causa di un progetto di variante; i tentativi di dare in gestione l’albergo erano sufficientemente provati a mente dei due contratti menzionati dall’A.F. nell’atto di accertamento, anche se non erano stati prodotti in giudizio; la C.T.R non aveva infine tenuto in considerazione la grave crisi del mercato immobiliare e turistico e neppure che il vincolo di destinazione decennale imposto per ottenere il finanziamento pubblico aveva impedito loro di modificare la destinazione dell’albergo ad edificio residenziale e quindi di venderlo.
Il motivo è inammissibile.
Va in primo luogo ricordato che l’art. 360, comma 4, c.p.c. dispone che quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni inerenti ai medesimi fatti posti a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione può essere proposto solo per i motivi di cui al primo comma, nn. 1, 2, 3 e 4. Questa Corte ha chiarito che tale inammissibilità si verifica non solo quando la decisione di secondo grado è interamente
corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Cass. n. 7724/2022, n. 29715/2018). Ne consegue che in caso di cd. doppia conforme, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c., deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse. (Cass. n. 26774/2016; conf. Cass. n. 20994/2019; Cass. n. 8320/2021).
5. Nel caso in esame, i ricorrenti, non solo non hanno specificato quale sarebbe il fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia formato oggetto di discussione tra le parti, in tesi pretermesso dal giudice di merito e che sarebbe decisivo ai fini di una diversa soluzione della controversia (tra le tante, Cass. 17251/2016), ma neppure hanno indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, al fine di dimostrare che esse sono tra loro diverse.
6. Inoltre, esula dal vizio di legittimità ex art. 360, n. 5 c.p.c. qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il giudice di merito si è formato, ex art. 116, c. 1 e 2 c.p.c., in esito all’esame del materiale probatorio ed al conseguente giudizio di prevalenza degli elementi di fatto, operato mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, essendo esclusa, in ogni caso, una nuova rivalutazione dei fatti da parte della Corte di legittimità» (Cass. 15276/2021).
7. I ricorrenti, invero, invocando contestualmente la violazione e falsa applicazione dell’art. 30 della legge 23 dicembre 1994, n.
724, lamentano piuttosto l’errata valutazione delle risultanze istruttorie, a loro dire idonee ad integrare la prova contraria, che peraltro essi erano onerati e non già meramente facoltizzati a fornire, chiedendo, in sostanza, che la Corte proceda ad una rivalutazione del materiale probatorio esaminato e valutato dal giudice del merito, preclusa al giudice di legittimità.
Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Nulla per le spese con riguardo all’intimato Ministero dell’Economia e delle Finanze, rimasto intimato.
P.Q.M .
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna i ricorrenti, in solido, alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità in favore dell’Agenzia delle Entrate, che liquida in € 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza, in capo ai ricorrenti, dei presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 20.3.2025.