Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24731 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24731 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19510/2024 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME
COGNOME, COGNOME, RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME
-intimati-
Avverso la SENTENZA della CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO PUGLIA n. 518/2024 depositata il 09/02/2024. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/03/2025
dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia ( hinc: CGT2), con la sentenza n. 518/2024 depositata in data 09/02/2024, ha respinto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza n. 3807/2016, con la quale la Commissione tributaria provinciale di Bari, in data 02/02/2016, aveva accolto l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE contro il provvedimento della Direzione Regionale delle Entrate per la Puglia, che aveva rigettato l’istanza di disapplicazione delle dispos izioni in materia di società di comodo per l’anno 2014, presentata ai sensi dell’art. 37 bis d.P.R. n. 600 del 1973.
In sintesi, la CGT2 -richiamando la giurisprudenza di questa Corte (Cass., 03/11/2021, n. 31259) – ha ritenuto infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso della società contribuente, con la quale l’Agenzia delle Entrate aveva contestato che l’atto de quo fosse impugnabile ai sensi dell’art. 19 d.lgs. 31/12/1992, n. 546.
2.1. La CGT2 ha, poi, ritenuto infondato anche il motivo incentrato sull’erronea valutazione dei fatti di causa e sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 30, comma 4 -bis , legge n. 724 del 1994. In particolare, ha ritenuto che ricorressero, nel caso di specie, le
difficoltà di tipo oggettivo evocate dalla norma appena richiamata, in quanto l’attività di imbottigliamento dell’acqua minerale presupponeva, a sua volta, l’estrazione di quest’ultima, inibita o comunque resa difficile -se non, addirittura, impossibile – da decisioni assunte dai pubblici poteri, come sono da ritenere gli atti amministrativi con i quali sono stati introdotti i vincoli ambientali e idrogeologici.
Contro la sentenza della CGT2 l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in cassazione con due motivi.
Nessuno si è costituito per la parte intimata.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art . 36, comma 2, n. 4, d. lgs. n. 546 del 1992, dell’art . 132, comma 2, n. 4, e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art . 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
1.1. La ricorrente censura l’affermazione della CGT2 secondo cui l’amministrazione finanziaria « ripropone, infatti, la tesi secondo cui la RAGIONE_SOCIALE fosse, in realtà, da inquadrarsi nell’ambito delle società di comodo in quanto l’area di proprietà della società contribuente, in cui è sita la sorgente di acqua minerale ‘RAGIONE_SOCIALE‘, ha formato oggetto di vincoli ambientali ed idrogeologici insorti a partire dall’anno 2000. Tale stato di cose non forma oggetto di contestazione specifica fra le parti ».
Ad avviso di parte ricorrente si tratta di un’affermazione errata, in quanto RAGIONE_SOCIALE è stata considerata società di comodo, perché non ha superato il cd. test di operatività, non avendo raggiunto la soglia minima di reddito prevista dalla legge. La ricorrente ha, quindi, riportato -dalla sedicesima alla ventesima pagina del file (non numerato) contente il ricorso in cassazione – le
argomentazioni spese, nelle fasi di merito, per confutare le asserzioni della controparte, che ha giustificato la propria non operatività in ragione degli ingenti capitali necessari per l’esercizio dell’attività e dei vincoli idrogeologici posti sui terreni dove avrebbe dovuto essere esercitata l’attività estrattiva.
1.2. La ricorrente ha, poi, censurato le affermazioni contenute nella sentenza in ordine alle ragioni giustificative della non operatività della società, rilevando che la CGT2 avesse applicato il principio di non contestazione alla situazione fattuale, senza esaminarne le cause.
1.3. Il primo motivo di ricorso è infondato, sotto plurimi profili, sia perché veicola una nuova valutazione di circostanze fattuali rientranti nel sindacato del giudice di merito e non in quello di legittimità, sia perché la sentenza impugnata non presenta vizi motivazionali in relazione a quanto evocato con il primo motivo di ricorso, ma solamente argomentazioni non condivise dalla parte ricorrente.
Con il secondo motivo è stata censurata la violazione e falsa applicazione dell’articolo 30, commi 1 e 4 -bis, legge 23/12/ 1994, n. 724, degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e dell’art . 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
2.1. La ricorrente -richiamato quanto affermato da Cass., 16/05/2023, n. 13336 -ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che: « l’attività di imbottigliamento dell’acqua minerale presuppone l’effettiva possibilità, da parte dell’impresa concessionaria, di estrarre effettivamente l’acqua dalla sorgente. Se, però, siffatta attività estrattiva è inibita o resa estremamente difficile, per non dire impossibile, da decisioni assunte dai pubblici poteri quali sono da ritenersi, indubbiamente, gli atti amministrativi con i quali sono stati introdotti tali vincoli ambientali ed idrogeologici,
siffatte scelte amministrative si pongono come altrettanti limiti all’esercizio della libertà dell’iniziativa economica privata dell’imprenditore su cui non possono ricadere gli effetti negativi di siffatte decisioni. Ne discende la non ascrivibilità a responsabilità della società contribuente dei fattori impeditivi dell’attività estrattiva che, insieme all’imbottigliamento, costituisce l’oggetto sociale dell’attività economica svolta dalla contribuente».
La ricorrente evidenzia che le ragioni poste alla base dell’istanza disapplicativa ex art. 30, comma 4-bis, legge n. 724 del 1994 ad opera della parte ricorrente ( i.e. gli ingenti capitali necessari per la costruzione dell’opificio e l’apposizione di vincoli idrogeologici e ambientali sui terreni della società contribuente) non fossero impedimenti oggettivi idonei a giustificare la disapplicazione della normativa antielusiva. Difatti, per oggettive situazioni di impedimento all’esercizio di un’attività comm erciale devono intendersi quelle circostanze in nessun modo riconducibili alle scelte imprenditoriali e, quindi, non ricadenti nella sfera decisionale e programmatica dell’imprenditore. La carenza di risorse finanziarie, per rilevare ai fini della potenziale disapplicazione delle norme antielusive, deve essere un fatto sopravvenuto rispetto all’iniziale stanziamento delle risorse necessarie per la realizzazione di un determinato progetto e deve essere generata da un evento esterno alla sfera di azione dell’ impresa, connotato dalla imprevedibilità e dalla imponderabilità. Neppure il sopravvenire dall’anno 2000 dei vincoli ambientali e idrogeologici, per il cui superamento era stata indetta la conferenza di servizi, appare conferente ai fini della legittimazione alla disapplicazione delle disposizioni antielusive: la circostanza che determina l’impedimento all’esercizio dell’attività commerciale deve essere temporanea, altrimenti verrebbe a configurarsi una situazione di definitiva inoperatività e con essa una
condizione di irreversibile staticità degli immobili ricadenti nel patrimonio dell’impresa.
Passando all’esame del secondo motivo di ricorso occorre rilevare che la ratio della disciplina delle società di comodo è quella di disincentivare il fenomeno dell’uso improprio dello strumento societario, utilizzato come involucro per raggiungere scopi, anche di risparmio fiscale, diversi -quale l’amministrazione dei patrimoni personali dei soci – da quelli previsti dal legislatore per tale istituto, al punto che si è parlato (anche) di società senza impresa o di mero godimento (Cass., 21/10/2015, n. 21358).
È stato altresì rilevato come la funzione dell’art. 30 legge n. 724 del 1994 sia da individuare nel contrasto all’utilizzo dello statuto fiscale dell’impresa commerciale per il mero godimento di beni patrimoniali.
In ogni caso, il meccanismo deterrente consiste nel fissare un livello minimo di ricavi e proventi correlato al valore di determinati beni patrimoniali, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società (nel senso ora indicato), con conseguente presunzione di un reddito minimo, stabilito in base a coefficienti medi di redditività dei detti elementi patrimoniali di bilancio (Cass., 21/10/2015, n. 21358, cit. ).
3.1. La presunzione relativa di non operatività, di cui all’art. 30 legge n. 724 del 1994, può essere superata dal contribuente attraverso la prova dell’esistenza di situazioni oggettive, indipendenti dalla sua volontà e da valutarsi in relazione alle effettive condizioni del mercato. L’affermazione, da parte del giudice di merito, dell’idoneità o meno dei fatti accertati, ove incontroversi, ad integrare la fattispecie astratta di riferimento può essere oggetto di sindacato per vizio cd. di sussunzione, riconducibile al paradigma di
cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. (v. Cass., 03/03/2023, n. 6459).
3.2. L’ onere della prova contraria deve essere inteso non in termini assoluti quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni di mercato (Cass., 23/05/2022, n. 16472; Cass. 20/06/2018 n. 16204; Cass. 12/02/2019, n. 4019; Cass. 01/02/2019, n. 3063; Cass. 28/05/2020, n. 10158).
3.3. Ai fini della ricostruzione del quadro interpretativo e applicativo occorre rilevare, poi, che nel caso di specie -dove l’impugnazione riguarda il rigetto dell’interpello disapplicativo relativo all’anno d’imposta 2014 viene in rilievo la formulazione dell’art. 30 legge n. 724 del 1994, successiva alle modifiche apportate dall’art. 1, comma 109, lett. a) e h), legge 27/12/2006, n. 296. Di conseguenza, l’art. 30, comma 1, legge n. 724 del 1994 non contiene più l’inciso salvo prova contraria, e la disposizione prevede che le società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, si considerano non operativi se l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico, ove prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando le percentuali espressamente indicate nelle lettere a), b) e c).
Allo stesso tempo, il comma 4bis dell’art. 30 legge n. 724 del 1994 è stato interessato dall’espunzione dell’inciso di carattere straordinario, con la conseguenza che la prova contraria del contribuente in ordine al mancato superamento del cd. test di operatività ruota attorno alla presenza di oggettive situazioni. Se è vero che l’apprezzamento di queste ultime non può comportare
alcuna forma di sindacato del giudice tributario sulle scelte imprenditoriali e sulle capacità dell’imprenditore, è altrettanto vero che la soppressione dell’inciso salva prova contraria dal primo comma dell’art. 30 legge n. 724 del 1994, fa sì che l’onere della prova contraria da parte del contribuente finisca per essere tipizzato dal legislatore, attraverso il riferimento a situazioni oggettive, con la conseguenza che i margini di elasticità sono riconducibili al ricorso a una clausola generale, il cui significato deve essere, tuttavia, individuato anche tenendo conto delle finalità della disciplina delle società di comodo , che è quella non di sanzionare l’imprenditore incapace che non sia stato in grado di conseguire ricavi, ma di precludere l’applicazione della norma tiva fiscale prevista per le società commerciali a una situazione statica o di mero godimento.
È pertanto da escludere che l’eliminazione dell’espressa previsione della facoltà di prova contraria nell’ambito del cd. test di operatività abbia mutato la natura della presunzione legale. Infatti, alla soppressione dell’inciso «salvo prova contraria» non si è accompagnata l’esplicita previsione dell’inammissibilità della prova contraria, con la conseguenza, che, in linea con l’insegnamento della Corte costituzionale (sentenza n. 200 del 15 luglio 1976) – secondo il quale, a fronte del diritto del legislatore, volto a salvaguardare un interesse effettivamente meritevole di tutela, di formulare «previsioni logicamente valide ed attendibili, non è peraltro consentito trasformare tali previsioni in certezze assolute, imperativamente statuite, senza la possibilità che si ammetta la prova del contrario e si salvaguardi, quindi, accanto all’esigenza indiscutibile di garantire l’interesse della pubblica finanza alla riscossione delle imposte, il ricordato ed altrettanto indiscutibile diritto del contribuente alla prova dell’effettività del reddito soggetto ad imposizione» -, deve ritenersi che la predetta soppressione non
abbia avuto alcuna effettiva incidenza sulla portata del meccanismo presuntivo delineato dalla norma. Deve, in definitiva, ritenersi che le modifiche apportate dalla legge n. 296 del 2006 non hanno eliminato la possibilità per il contribuente di vincere la presunzione legale della finalità elusiva delle società non operative attraverso la prova contraria qualificata – contenutisticamente tipizzata all’art. 30, comma 4-bis, della legge n. 724 del 1994 – della ricorrenza di una situazione oggettiva a sé non imputabile che ha reso impossibile il conseguimento di ricavi e la produzione di reddito entro la soglia minima stabilita ex lege (Cass. 29/02/2021, n. 4946).
All’interno di tali coordinate devono essere apprezzate le oggettive situazioni cui fa riferimento il comma 4bis dell’art. 30. In particolare, se il requisito dell’oggettività allude a un impedimento estraneo alla sfera di controllo causale dell’imprenditore è altrettanto vero che la condotta di quest’ultimo sul modo di confrontarsi con l’evento impeditivo che preclude il superamento del test di operatività non è sindacabile nella misura in cui sia riconducibile a una scelta imprenditoriale (per quanto sbagliata), ma non quando il protrarsi di tale evento sia tale da comportare l’impossibilità assoluta e oggettiva di esercitare l’attività d’impresa .
Questa Corte ha difatti già avuto modo di chiarire che occorre vagliare se l’impedimento al conseguimento dell’oggetto sociale non dipenda dalle pur legittime scelte imprenditoriali effettuate dall’imprenditore, che ha conservato in vita la società per anni, dopo che lo svolgimento dell’attività imprenditoriale risultava evidentemente precluso per il mancato conseguimento delle autorizzazioni amministrative (Cass. 8/07/2024, n. 18657). Merita in proposito di essere ricordato come questa Corte regolatrice abbia già evidenziato che il protrarsi per anni e lustri dell’inattività di una impresa ben possa – almeno potenzialmente – risolversi in una scelta
soggettiva dell’imprenditore, e non essere perciò riconducibile ad una circostanza oggettiva (cfr. Cass. 16/05/2023, n. 13336).
La normativa sulle società di comodo intende disincentivare la permanenza in vita di organismi societari che non siano in condizione di svolgere attività d’impresa, al fine di evitare che possano trasformarsi in centri di imputazione di costi che ricadrebbero sulla collettività. La disciplina legale prescinde quindi dall’effettivo godimento, o anche dalla semplice richiesta, di un’agevolazione fiscale. Nel caso di specie occorre verificare se la conservazione in vita per anni di una società che ammette essa stessa di trovarsi in condizioni di inoperatività, e neppure prospetta di poter intraprendere in futuro un’attività d’impresa, si ponga in contrasto con le previsioni e pure con la finalità della disciplina legale in materia di società non operative.
3.4. Alla luce di questi principi risulta sussistente il denunciato vizio di sussunzione.
Nel caso di specie la sentenza impugnata ha, invero, concluso che la società contribuente avesse assolto all’onere della prova contraria, ritenendo che i vincoli idrogeologici e ambientali fossero sufficienti a giustificare il mancato esercizio di una concessione rilasciata nel 1998, evidenziando che l’attività di imbottigliamento dell’acqua minerale presuppone l’effettiva possibilità, da parte dell’impresa concessionaria, di estrarre effettivamente l’acqua dalla sorgente. Se, però, siffatta attività estrattiva è inibita o resa estremamente difficile, per non dire impossibile, da decisioni assunte dai pubblici poteri quali sono da ritenersi, indubbiamente, gli atti amministrativi con i quali sono stati introdotti tali vincoli ambientali ed idrogeologici, siffatte scelte amministrative si pongono come altrettan ti limiti all’esercizio della libertà dell’iniziativa economica
privata dell’imprenditore su cui non possono ricadere gli effetti negativi di siffatte decisioni.
In sostanza, la prospettiva della CGT2 è che l’esercizio dell’attività imprenditoriale consistente nell’attività di imbottigliamento dell’acqua minerale fosse, in concreto, preclusa in ragione di circostanze non addebitabili all’imprenditore, quanto piutto sto alla presenza di vincoli ambientali e idrogeologici conseguenti a decisioni assunte dai pubblici poteri. Queste ultime erano, tuttavia, riconducibili a un periodo assai risalente (2000) rispetto all’anno d’imposta interessato dall’interpello disapplicativo (2014). Si legge, infatti, nella sentenza impugnata che: « l’area di proprietà della società contribuente, in cui è sita la sorgente di acqua minerale ‘Acquaviva’, ha formato oggetto di vincoli ambientali ed idrogeologici insorti a partire dall’anno 2000 ».
3.5. Nel caso di specie la CGT2 ha, quindi, errato, nella misura in cui ha dato rilievo a un risalente vincolo idrogeologico e ambientale, senza verificare se fosse temporaneo (e se la società fosse in grado di riprogrammarsi in funzione dell’esercizio di un’attività economica adattata a tali vincoli esterni) o se avesse definitivamente compromesso l’attività imprenditoriale, integrando un’impossibilità assoluta e definitiva.
3.7. Il secondo motivo di ricorso è, pertanto, fondato, rendendo necessario un nuovo apprezzamento da parte del giudice del rinvio.
Alla luce di quanto sin qui evidenziato deve essere accolto il secondo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione e deve essere rigettato il primo motivo.
4.1. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia che, in diversa composizione deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione e rigetta il primo motivo;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 12/03/2025 e a seguito della riapertura della