Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14371 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14371 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26056/2019 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. dell’ABRUZZO n. 384/2018 depositata il 17/04/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
A seguito di pvc della Guardia di finanza l’Agenzia delle entrate emetteva nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE) avviso di accertamento per IRES, IVA e IRAP relative al 2012 sul presupposto del ricevimento di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, facente parte
dello stesso gruppo imprenditoriale (‘RAGIONE_SOCIALE‘) e avente come oggetto sociale l’attività di noleggio di imbarcazioni, sull’assunto che si trattasse di società di comodo in quanto i beni a questa intestati erano utilizzati dalle persone fisiche che detenevano le quote societarie.
La Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Teramo accoglieva il ricorso della contribuente osservando che la RAGIONE_SOCIALE non era società di comodo, poiché non ricorrevano i requisiti reddituali e patrimoniali di cui all’art. 30 l. n. 724/1994, e non vi era prova della natura fittizia della società.
La Commissione Tributaria Regionale (CTR) dell’Abruzzo, a sua volta, rigettava l’appello erariale ribandendo che la società RAGIONE_SOCIALE non costituiva società non operativa ma aveva sostenuto costi e svolto attività, anche nei confronti di soggetti terzi rispetto al gruppo RAGIONE_SOCIALE di cui faceva parte, conseguendo ricavi.
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi.
E’ rimasta intimata la società.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt.30 L.724/1994, 32 e sgg. D.P.R. 600/1973 e 53 Cost. , osservando che la normativa sulle società non operative, che in questo caso non era stata mai citata né dall’avviso di accertamento né dal pvc, non impedisce all’Amministrazione, sulla base di presunzioni, di ritenere « l’abuso della forma giuridica societaria per il perseguimento di risultati non consentiti dall’ordinamento »: in questo caso, secondo la ricorrente, vi era stata l’utilizzazione dello schermo societario per fini personali dei soci, i quali avevano conseguito la « segregazione
del loro patrimonio, la deducibilità dei beni fittiziamente intestati all’ente e la creazione di costi per altre società partecipate », premurandosi, attraverso il fatturato alla clientela esterna, di precostituirsi uno ‘scudo’ contro la verifica ex art. 30 l. n. 724/1994.
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., omessa pronuncia perché la CTR non aveva preso in considerazione le specifiche e analitiche censure mosse dall’appellante amministrazione finanziaria tendenti a dimostrare la fittizietà della intestazione dei beni alla società RAGIONE_SOCIALE, costituita al solo fine di gestione dei beni utilizzati dalle persone fisiche titolari delle quote societarie.
Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt.109 D.P.R. 917/1986, 115 c.p.c., 2697 c.c., laddove la CTR ha affermato che l’Amministrazione non aveva contestato l’inerenza dei costi, perché questa « alberga di per sé in quello di inesistenza »: l’affermazione della CTR era erronea perché l’inesistenza postula il difetto di inerenza e, in questo caso, non poteva esservi alcun nesso tra l’attività di noleggio natanti e quella di commercio pneumatici svolta dalla ricorrente.
Il primo motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi : la CTR non si è limitata ad escludere la ricorrenza dei presupposti delle società non operative di cui all’art. 30 l. n. 724/1994 ma ha disatteso la prospettazione dell’Ufficio secondo cui la RAGIONE_SOCIALE era mero schermo predisposto al fine di consentire ai soci di godere dei beni fittiziamente intestati alla società usufruendo dei benefici fiscali collegati. Secondo i Giudici d’appello, invero, la RAGIONE_SOCIALE era « una vera e propria società commerciale, con costi e ricavi dichiarati » sicché doveva escludersi che vi fosse stata una « simulazione assoluta dell’esercizio
dell’impresa »: aveva espletato attività anche a favore di terzi, estranei alla compagine sociale, conseguendo nel 2012 un volume d’affari di euro 458.000,00 e sostenendo costi deducibili.
Risulta inammissibile anche il secondo motivo perché la doglianza non riguarda l’omessa pronuncia su una domanda ma tende a rimette in discussione l’accertamento in fatto svolto dal giudice di merito, che è incensurabile di per sé nel giudizio di legittimità, mirando ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., Sez. Un., n. 34476 del 2019) e riproponendo gli argomenti svolti al fine di sostenere il proprio assunto.
5.1. In questo caso la ricorrente lamenta che non siano state esaminate le « anomalie contabili e documentali » evidenziate nel PVC, peraltro neppure riportate in ricorso, né sia stato spiegato perché « le strutturate argomentazioni defensionali della p.a. » non fossero condivisibili, ma è noto che spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 331 del 2020; Cass. n. 19547 del 2017; Cass. n. 24679 del 2013; Cass. n. 27197 del 2011; Cass. n. 2357 del 2004).
5.2. Il motivo insiste sulla natura di società di comodo della RAGIONE_SOCIALE, gestita dagli stessi soggetti titolari del ‘gruppo RAGIONE_SOCIALE‘, proponendo censure di ordine essenzialmente meritale e fattuale ben lontane dal vizio di violazione di legge – che consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica
necessariamente un problema interpretativo della stessae risolventesi nell’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta mediante le risultanze di causa inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, il cui sindacato è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione ( ex multis Cass., n. 26110 del 2015). Si rileva, invero, che « Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione » (Cass. n. 9097 del 2017).
6. Inammissibile, infine, è anche il terzo motivo, estraneo alla ratio decidendi : l’accertamento aveva contestato l’oggettiva inesistenza delle operazioni relative alle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE in quanto l’emissione di queste serviva a simulare una apparente attività di impresa; la CTR ha disatteso tale prospettazione riconoscendo che, invece, la RAGIONE_SOCIALE era una società ‘vera e propria’ che svolgeva una effettiva attività commerciale e, conseguentemente, che quelle operazioni erano effettive. Non risulta, peraltro, vi sia stata una specifica contestazione dell’inerenza dei costi così accertati: si osservi che già la CTP, accogliendo il ricorso della contribuente, aveva osservato che le operazioni erano esistenti, trattandosi di costo
« volto alla promozione di affari della RAGIONE_SOCIALE » e l’Agenzia non allega di aver proposto gravame in relazione a questo accertamento. L’affermazione della CTR relativa alla mancata contestazione dell’inerenza dei costi di cui alle fatture è un fuor d’opera, un obiter dictum rispetto al thema decidendum cosicché vale il consolidato principio secondo cui « In sede di legittimità sono inammissibili, per difetto di interesse, le censure rivolte avverso argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata e svolte “ad abundantiam” o costituenti “obiter dicta”, poiché esse, in quanto prive di effetti giuridici, non determinano alcuna influenza sul dispositivo della decisione » (tra le molte, Cass. n. 22380 del 2014).
Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato e non vi è da provvedere sulle spese in quanto la contribuente è rimasta intimata.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 12/03/2025.