Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15258 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15258 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8843/2023 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA della CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO della CAMPANIA n. 6850/2022 depositata il 18/10/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/03/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, con sentenza n. 6850/2022 depositata in data 18/10/2022, ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza n. 3298/2021, con la quale la Commissione provinciale di Caserta aveva accolto il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE contro l’avviso di accertamento, avente per oggetto le riprese a titolo di IRES e IRAP per l’anno d’imposta 2015 . Con la medesima sentenza è stato rigettato anche l’appello incidentale proposto dalla società contribuente, con il quale veniva censurato il capo della sentenza di primo grado che aveva disposto la compensazione delle spese di lite. 2. In sintesi, ai fini dell’esame dei contenuti del ricorso, è sufficiente evidenziare che la sentenza della CTR si incentra su due rationes decidendi .
2.1. La prima è che la presentazione dell’interpello cd. disapplicativo di cui all’art. 30, comma 4 -bis, legge n. 724 del 1994 non costituisce condizione di procedibilità e di limitazione della tutela giurisdizionale del contribuente al fine di superare la presunzione di non operatività stabilita dalla medesima norma.
2.2. La seconda -attinente ai requisiti di non operatività e alla situazione oggettiva che aveva reso impossibile la produzione di ricavi- si incentrava sulla considerazione che la mancata utilizzazione della struttura, conseguente al mancato collaudo da parte del Comune, in ragione di inadempienze della stessa società contribuente non potesse avere rilievo. Sul punto la CGT2 osserva,
in particolare, che: « La situazione oggettiva che rende impossibile la produzione del reddito va individuata in una situazione di fatto che abbia reso impossibile la produzione di ricavi -situazione oggettiva di impedimento -e va valutata con riferimento esclusivo al bene che fa parte del patrimonio della società. La sussistenza di tale situazione prescinde quindi dalla causa -esterna o riconducibile alla volontà dei soci -che l’abbia determinata. In questa ottica la non imputabilità della causa di impedimento va intesa nel senso che non deve trattarsi di una scelta di non conseguire ricavi; la situazione oggettiva straordinaria va, in altri termini, intesa non in termini assoluti, bensì elastici, identificandosi con uno specifico fatto, non dipendente dalla scelta consapevole dell’imprenditore, che impedisca lo svolgimento dell’attività produttiva con risultati reddituali conformi agli standards minimi legali ovvero ne ritardi l’avvio oltre il primo periodo di imposta. Così interpretata la norma, deve concludersi per la esistenza nel caso in esame della causa di non applicazione della norma antielusiva. »
Contro la sentenza della CGT2 l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in cassazione con un motivo.
La società contribuente ha resistito con controricorso e ha depositato memoria ex art. 380bis.1 c.p.c.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate ha denunciato la v iolazione e falsa applicazione dell’art. 30 , commi 4 bis e 4 ter, legge n. 724 del 1994 e dell’art. 2697 c .c., in relazione all’art. 360 , primo comma, n. 3, c.p.c.
1.1. La ricorrente, richiamata la motivazione della sentenza riportata, supra , sub 2.2. ha evidenziato come la presunzione di non operatività possa essere superata dalla parte contribuente solo
dimostrando la sussistenza di « oggettive situazioni », tali da impedire il raggiungimento di una determinata soglia di ricavi. Nel caso di specie, la società contribuente ha invocato come prova contraria il mancato collaudo dell’opera per inadempimenti contrattuali che l’ente concedente aveva imputato alla contribuente stessa e che avevano determinato l’insorgenza di un contenzioso . Era, quindi, oggettivamente impedito l’esercizio d’impresa per l’inutilizzabilità del fabbricato inserito nell’esercizio dell’a ttività economica, non essendo stato testato. Tale motivazione non costituisce, tuttavia, un elemento oggettivo impeditivo della realizzazione di ricavi minimi, essendo dipendente dalla volontà della società, che nulla adduce sull’esistenza di circostanze estranee che hanno impedito il collaudo . Peraltro, l’immobile non poteva essere testato a causa dello stato di abbandono del fabbricato per inadempimento della società intimata, ossia per fatto ascrivibile alla volontà della stessa impresa contribuente. Il mancato collaudo non costituisce, pertanto, circostanza oggettiva, indipendente dalla volontà della società, non prevedibile, né evitabile, ma è riconducibile piuttosto al comportamento della società contribuente, espressione della carenza di interesse all’utilizzo del bene aziendale per lo svolgimento dell’attività commerciale.
Il ricorso è fondato.
2.1. In via preliminare occorre precisare che in tema di società non operative, il contribuente può superare la presunzione relativa di non operatività di cui all’art. 30 della l. n. 724 del 1994, dando prova dell’esistenza di situazioni oggettive, indipendenti dalla sua volontà e da valutarsi in relazione alle effettive condizioni del mercato. L’affermazione, da parte del giudice di merito, dell’idoneità o meno dei fatti accertati – ove incontroversi – ad integrare tale ipotesi può essere oggetto di sindacato in sede di legittimità, per vizio cd. di
sussunzione, riconducibile al paradigma di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. (Cass., 16/05/2023, n. 16328).
2.2. Ciò premesso, l’art. 30, comma 4 -bis, legge n. 724 del 1994 prevede che la presunzione di non operatività sancita dal primo comma della stessa norma possa essere superata dalla prova contraria del contribuente, che viene tipizzata dal legislatore con la previsione di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi.
Sebbene la tipizzazione della prova contraria avvenga mediante il ricorso a una clausola generale è evidente, in primo luogo, che il legislatore nel qualificare come oggettivo il carattere della situazione impeditiva e nel prevedere che quest’ultima abbia reso impossibile il conseguimento dei ricavi fa riferimento non all’assenza di una mera volutas di non conseguire i ricavi stessi , ma bensì all’assenza di condotte del contribuente che si inseriscano nella dinamica causale che porti a non superare le sogli e cd. di operatività stabilite nell’art. 30 legge n. 724 del 1994. Secondo questa Corte, infatti, la caratteristica di «oggettività» delle situazioni che il contribuente può far valere, nella ratio del comma 4-bis dell’art. 30, non ha, infatti, la funzione di distinguere tra cause esterne, che si impongono al soggetto, e cause che derivano (anche solo in parte) da libere determinazioni di quest’ultimo, ma quella di richiedere che quest’ultimo sia in grado di dimostrare oggettivamente la non fittizietà di quanto dichiarato (Cass. 13/05/2021, n. 12862).
Per provare la presenza di una situazione oggettiva che rende impossibile il conseguimento dei ricavi il contribuente deve quindi provare l’esistenza di un impedimento che fuoriesce dal suo ambito di controllo o non è, comunque, superabile per la presenza di concomitanti fattori impeditivi estranei alla sua sfera organizzativa, da valutare non in termini assoluti quanto piuttosto in una
prospettiva economica, con riguardo alle effettive condizioni di mercato (Cass. 23/05/2022, n. 16472; Cass. 20/06/2018 n. 16204; Cass. 12/02/2019, n. 4019; Cass. 04/12/2019, n. 31626; Cass. 01/02/2019, n. 3063; Cass. 28/05/2020, n. 10158).
Di conseguenza, se il rilascio di un permesso abilitativo può, in generale, costituire una situazione impeditiva rilevante ai sensi -bis, legge n. 724 del 1994, poiché estranea è altrettanto a dirsi nell’ipotesi in cui il rilascio di un permesso abilitativo all’esercizio dell’attività economica o di un collaudo di stesso.
dell’art. 30, comma 4 alla sfera organizzativa e decisoria del contribuente, non un’opera sia riconducibile a inadempienze del contribuente Anche l’eventuale presenza di un contenzioso con l’amministrazione che debba rilasciare un titolo allo svolgimento dell’attività (come ad es. un’autorizzazione) deve essere oggetto di valutazione ai fini della verifica, da parte del giudice di merito, della situazione oggettiva che determini l’impossibil ità di conseguire ricavi.
2.3. Occorre, infine, precisare che assumere quale criterio dirimente per l’applicazione dell’art. 30, comma 4 -bis, legge n. 724 del 1994 la sola assenza di volontà, da parte del contribuente, di non conseguire ricavi idonei a superare le soglie previste dal primo comma della norma appena richiamata -come ritenuto nella sentenza impugnata, dove si legge che « la non imputabilità della causa di impedimento va intesa nel senso che non deve trattarsi di una scelta di non conseguire ricavi» – verrebbe a frustrare, con una singolare eterogenesi dei fini, proprio la ratio della disciplina delle cd. società di comodo, che presenta non solo finalità antievasive (funzionali a far emerge redditi non dichiarati), ma anche antielusive, dirette, cioè, a contrastare l’uso strumentale della forma della società commerciale (Cass., n. 12862 del 2021). Sul punto questa Corte ha, infatti, precisato che: « Il disfavore dell’ordinamento
per tale incoerente impiego del modulo societario – ricavabile, oltre che dalla disciplina fiscale antielusiva, dal più generale divieto, desumibile dall’art. 2248 cod. civ., di regolare la comunione dei diritti reali con le norme in materia societaria – trova spiegazione nella distonia tra l’interesse che la società di mero godimento è diretta a soddisfare e lo scopo produttivo al quale il contratto di società è preordinato. » (Cass. 24/02/2021, n. 4946 ripresa da Cass., 23/05/2022, n. 16472, cit. ). Di conseguenza, l’art. 30 della legge n. 724 del 1994 ha la finalità di fungere da antidoto al dilagare di società anomale, utilizzate quale involucro per il perseguimento di finalità estranee alla causa contrattuale, spesso prive di un vero e proprio scopo lucrativo e talvolta strutturalmente in perdita, al fine di eludere la disciplina tributaria» (Cass. 23/11/2021, n. 36365, richiamata e citata anche da Cass., 23/05/2022, n. 16472 cit. e da Cass. 18/01/2022, n. 1506).
3. Alla luce di quanto sin qui evidenziato il ricorso è fondato e deve essere accolto. La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
…
P.Q.M.
accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 12/03/2025.