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Società di comodo: quando la prova contraria è valida?

La Corte di Cassazione ha stabilito che una società di comodo non può giustificare la propria non operatività adducendo il mancato collaudo di un immobile se tale mancanza è dovuta a proprie inadempienze. Per superare la presunzione fiscale, è necessario dimostrare l’esistenza di ‘situazioni oggettive’ realmente indipendenti dalla volontà dell’impresa, che abbiano reso impossibile la produzione di ricavi. La sentenza chiarisce che le difficoltà auto-inflitte non costituiscono una valida prova contraria.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di Comodo: L’Inadempimento Contrattuale Non è una Scusa Valida

La disciplina della società di comodo è uno strumento cruciale per l’Amministrazione Finanziaria per contrastare l’uso elusivo dello schermo societario. Tuttavia, la legge prevede che il contribuente possa fornire una prova contraria, dimostrando l’esistenza di ‘situazioni oggettive’ che hanno impedito la produzione di ricavi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale su cosa possa essere considerato una valida giustificazione, escludendo le difficoltà derivanti da inadempienze della stessa società.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda una società a responsabilità limitata che aveva ricevuto un avviso di accertamento per IRES e IRAP, in quanto ritenuta fiscalmente ‘non operativa’ per l’anno d’imposta 2015. La società si era difesa sostenendo di non aver potuto produrre ricavi a causa della mancata utilizzazione di un fabbricato di sua proprietà. Tale inutilizzabilità derivava dal mancato collaudo dell’opera da parte del Comune, situazione che, a dire della società, costituiva una causa di forza maggiore. Sia in primo che in secondo grado, i giudici tributari avevano dato ragione al contribuente, ritenendo che la mancata approvazione dell’immobile costituisse una valida ‘situazione oggettiva’ di impedimento. L’Agenzia delle Entrate, non condividendo questa interpretazione, ha proposto ricorso in Cassazione.

La Prova Contraria per la Società di Comodo

La normativa di riferimento, contenuta nell’art. 30 della Legge n. 724/1994, stabilisce una presunzione legale relativa di non operatività per le società che non raggiungono determinate soglie di ricavi rispetto al valore dei loro asset patrimoniali. Questa presunzione può essere superata dal contribuente fornendo la prova dell’esistenza di ‘situazioni oggettive’ che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi minimi. La controversia, quindi, si è concentrata sull’esatta interpretazione di questa locuzione: una difficoltà causata da una propria inadempienza può essere considerata ‘oggettiva’?

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ribaltando la decisione dei giudici di merito. Il ragionamento della Corte si è basato su una rigorosa interpretazione del concetto di ‘oggettività’.

Secondo gli Ermellini, una situazione può essere definita ‘oggettiva’ solo se è esterna alla sfera di controllo e decisionale del contribuente. Non può rientrare in tale categoria un impedimento che, sebbene formalmente proveniente da un terzo (come il mancato collaudo da parte del Comune), è in realtà la conseguenza diretta di inadempimenti contrattuali o di una condotta inerte della società stessa. Nel caso specifico, il mancato collaudo era riconducibile a inadempienze della società contribuente, che avevano generato un contenzioso con l’ente pubblico. Di conseguenza, la causa dell’impedimento non era esterna o imprevedibile, ma interna alla gestione e alla volontà dell’impresa.

La Corte ha inoltre precisato che la finalità della norma sulle società di comodo non è solo antievasiva, ma anche antielusiva. Essa mira a contrastare l’uso strumentale della forma societaria per finalità diverse da quelle produttive, come la mera gestione di patrimoni immobiliari per eludere la disciplina tributaria. Permettere a una società di giustificare la propria inattività a causa di problemi auto-provocati frustrerebbe completamente la ratio della legge.

Le Conclusioni

La decisione della Corte di Cassazione stabilisce un principio di diritto chiaro e rigoroso: per superare la presunzione di non operatività, il contribuente deve dimostrare l’esistenza di un impedimento che fuoriesce dal suo ambito di controllo e che non sia superabile tramite l’ordinaria diligenza imprenditoriale. Le difficoltà derivanti da proprie negligenze, inadempienze contrattuali o scelte gestionali non costituiscono ‘situazioni oggettive’ valide a tal fine. Questa pronuncia rappresenta un importante monito per le imprese, che non possono invocare come scusante una situazione di stallo da esse stesse creata.

Una società può giustificare la propria non operatività a causa di un mancato collaudo di un immobile?
No, secondo la Corte di Cassazione, se il mancato collaudo è riconducibile a inadempienze o alla volontà della società stessa, non costituisce una ‘situazione oggettiva’ valida per superare la presunzione di non operatività.

Cosa si intende per ‘situazioni oggettive’ che rendono impossibile il conseguimento di ricavi per una società di comodo?
Si intendono impedimenti che fuoriescono dalla sfera di controllo della società o che non sono superabili a causa di fattori esterni all’organizzazione aziendale. Non rientrano in questa categoria le situazioni causate da libere scelte o inadempienze del contribuente.

La presentazione dell’interpello disapplicativo è obbligatoria per difendersi in giudizio contro un accertamento per non operatività?
No, la sentenza ha evidenziato che la mancata presentazione dell’interpello disapplicativo non costituisce una condizione di procedibilità e non limita la tutela giurisdizionale del contribuente, che può sempre dimostrare in sede di giudizio le ragioni della sua non operatività.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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