Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33259 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33259 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13274/2016 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in Roma INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso Sentenza delle Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 10402/2015 depositata il 20/11/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
A seguito di diniego di istanza di disapplicazione della disciplina sulle società di comodo emesso dall’Agenzia delle Entrate Direzione Regionale della Campania per l’anno d’imposta 2006, l’Agenzia delle Entrate Direzione provinciale di Avellino emetteva nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE (d’ora innanzi: RAGIONE_SOCIALE avviso di accertamento n.
TFK030500235/2011, relativo all’anno d’imposta 2006, determinando un reddito imponibile ai fini IRES per € 124.932,1 ex art. 30, comma 3, legge 23 dicembre 1994, n. 724.
Proposta, dalla società contribuente, impugnazione dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Avellino questa, con sentenza n. 143/01/2013 rigettava il ricorso.
Proposto gravame dalla contribuente dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania, questa, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava l’appello.
Avverso tale ultima sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società RAGIONE_SOCIALE sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la società contribuente ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 37, 40 e 41-bis del DPR 29 settembre 1973, n. 600, nonché dell’art. 2697 c.c., nonché, ancora, insufficiente motivazione ed omessa valutazione critica degli elementi di prova raccolti nel corso del procedimento, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e 5) c.p.c., per non avere considerato, la C.T.R., che il bene immobile di proprietà della ricorrente, in corso di ristrutturazione, era carente di autorizzazione del SSN, e quindi in esso non era stata svolta la progettata attività.
Con il secondo motivo di ricorso la RAGIONE_SOCIALE eccepisce sempre violazione e falsa applicazione degli artt. 37, 40 e 41-bis del DPR 29 settembre 1973, n. 600, nonché dell’art. 2697 c.c., nonché, ancora, insufficiente motivazione ed omessa valutazione critica degli elementi di prova raccolti nel corso del procedimento, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e 5), c.p.c., per non avere considerato che l’immobile in questione era in fase di ristrutturazione, ed obiettivamente inutilizzabile, evidenziando che, in un’economia di mercato, non si possono dettare ai contribuenti i
tempi per lo svolgimento di impegnative e costose attività di recupero edilizio.
I due motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, e devono essere dichiarati inammissibili.
3.1. L’accertamento impugnato riguarda il reddito minimo ex art. 30, comma 3, l. n. 724/1994, accertato per l’anno 2006.
La società RAGIONE_SOCIALE aveva richiesto la disapplicazione della disciplina delle società di comodo ex art. 37bis , comma 8, DPR n. 600/1973, per l’anno di imposta in esame, ma tale istanza era stata rigettata.
3.2. Va rilevato che la contribuente, nei due motivi di ricorso, censura, sostanzialmente, l’accertamento in fatto e la valutazione probatoria effettuata dalla CTR in merito alla insussistenza delle condizioni per ritenere la società non operativa nell’anno oggetto di accertamento, lamentando la mancata presa in considerazione di alcuni elementi probatori (quali il fatto che l’immobile acquistato dalla ricorrente fosse in ristrutturazione e fosse carente di autorizzazione per lo svolgimento di attività) ritenuti rilevanti ai fini della decisione.
Trattasi di valutazioni in mero fatto, peraltro basate su una doppia decisione conforme (in primo e secondo grado), ragion per cui il ricorso appare inammissibile, anche ai sensi dell’art. 348 -ter , quarto e quinto comma, c.p.c.
3.3. Deve rilevarsi, inoltre, che entrambi i motivi prospettano una medesima questione sotto profili tra loro incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto , che presuppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere la violazione o falsa applicazione della norma, e quello del vizio di motivazione , che intende rimettere in discussione
quegli elementi di fatto sub specie di errore di giustificazione della decisione di merito sul fatto.
Anche sotto questo aspetto, entrambi i motivi sono inammissibili (Cass. 9 luglio 2020, n. 14634; Cass. 23 settembre 2011, n. 19443; Cass. 29/07/2022, n. 23803, tra le medesime parti, relativa all’anno di imposta 2007).
Con il terzo strumento di impugnazione la ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 111, sesto comma, Cost. e dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., per difetto di esposizione delle ragioni di fatto e diritto della decisione.
4.1. Il motivo è infondato.
L’assenza della motivazione, la sua mera apparenza, o ancora la sua intrinseca illogicità, implicano una violazione di legge costituzionalmente rilevante e, pertanto, danno luogo ad un error in procedendo, la cui denuncia è ammissibile dinanzi al giudice di legittimità ai sensi del n. 4 dell’art. 360, ponendosi come violazione delle norme poste a presidio dell’obbligo motivazionale (Cass. S.U. sentenze 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054). In sostanza, il vizio di motivazione che solo può dar luogo alla cassazione della sentenza è quello che attinge il nucleo fondamentale della sentenza, il cosiddetto minimo costituzionale di esplicitazione delle ragioni poste a base della sentenza.
4.2. Va ancora rammentato che «La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le
risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.» (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Cass. Sez. 1, 03/03/2022 n. 7090).
5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 28/11/2024.