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Società di comodo: prova contraria e oneri del Fisco

La Corte di Cassazione ha esaminato il caso di una società ritenuta non operativa, o società di comodo, per aver concesso in affitto la propria azienda alberghiera a un canone ritenuto incongruo. L’ordinanza conferma la decisione della Commissione Tributaria Regionale, rigettando il ricorso della società. La Corte ha stabilito che il contribuente non aveva fornito prove sufficienti e oggettive per giustificare l’impossibilità di conseguire ricavi superiori, non riuscendo così a superare la presunzione di non operatività prevista dalla legge. La decisione ribadisce che l’onere della prova grava interamente sul contribuente.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di comodo: non basta affittare l’azienda per evitare il Fisco

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna a fare luce sulla disciplina delle società di comodo, ribadendo i rigidi oneri probatori a carico del contribuente che intende sottrarsi a tale qualifica. Il caso in esame riguarda una società proprietaria di un albergo che, a seguito di un accertamento fiscale per IRES e IRAP, era stata classificata come non operativa a causa di ricavi da locazione ritenuti troppo bassi. La decisione sottolinea un principio fondamentale: per vincere la presunzione di non operatività, non è sufficiente addurre generiche giustificazioni, ma è necessario fornire prove concrete e oggettive.

I fatti del caso

Una società a responsabilità limitata, proprietaria di una struttura alberghiera in una nota località turistica, aveva concesso in affitto la propria azienda a un’altra società. Il canone di locazione pattuito era stato considerato dall’Agenzia delle Entrate non adeguato rispetto alle condizioni di mercato e alla consistenza del bene. Di conseguenza, i ricavi dichiarati risultavano inferiori alla soglia minima richiesta dalla normativa sulle società di comodo (art. 30 della Legge 724/1994), facendo scattare l’accertamento per un reddito presunto superiore.

La società si era difesa sostenendo l’esistenza di una situazione oggettiva che le impediva di conseguire ricavi maggiori. Tuttavia, sia la Commissione Tributaria Regionale che, in ultima istanza, la Corte di Cassazione, hanno respinto le argomentazioni della contribuente.

Analisi della disciplina sulla società di comodo e i motivi del ricorso

La normativa sulle società di comodo è uno strumento antielusivo volto a contrastare l’utilizzo di schermi societari per la gestione passiva di patrimoni (come immobili), anziché per lo svolgimento di una reale attività d’impresa. La legge presume che una società sia non operativa se i suoi ricavi sono inferiori a una percentuale del valore degli asset patrimoniali.

La società ricorrente ha basato la sua difesa su due motivi principali:
1. Violazione di legge: Ha sostenuto che la Commissione Tributaria non avesse correttamente applicato l’art. 30 della L. 724/1994, non valutando adeguatamente le prove fornite circa l’impossibilità oggettiva di ottenere un canone più elevato.
2. Vizio di motivazione: Ha lamentato che la sentenza d’appello fosse carente di motivazione, limitandosi a sposare la tesi dell’Agenzia delle Entrate senza un’analisi critica delle prove e delle specifiche circostanze del caso, come la continuità del rapporto contrattuale e l’aumento, seppur modesto, del canone nel tempo.

Le motivazioni della decisione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso in parte infondato e in parte inammissibile. I giudici hanno chiarito che il vizio di motivazione, dopo la riforma dell’art. 360 c.p.c., è sindacabile solo se si traduce in una motivazione totalmente assente, apparente o intrinsecamente contraddittoria, cosa non riscontrata nel caso di specie.

Nel merito, la Corte ha confermato l’impianto accusatorio, evidenziando che la Commissione Tributaria Regionale aveva correttamente basato la propria decisione sulla mancanza di prove concrete da parte della società. La contribuente non aveva dimostrato in modo oggettivo che il canone applicato fosse in linea con i prezzi di mercato, tenuto conto di fattori cruciali come la consistenza dell’albergo, la sua ubicazione in una rinomata località turistica e il fatto che l’attività ricettiva si svolgesse per tutto l’anno.

La Cassazione ha ribadito che l’onere della prova di una situazione oggettiva, straordinaria ed economica che rende impossibile il conseguimento del reddito presunto grava interamente sul contribuente. Non è sufficiente affermare l’impossibilità, ma bisogna dimostrarla con elementi specifici e verificabili.

Conclusioni

L’ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso in materia di società di comodo. Per superare la presunzione di non operatività, il contribuente deve fornire una prova contraria robusta e dettagliata, che non si limiti a mere affermazioni ma si fondi su dati oggettivi e riscontri di mercato. Affittare l’unica azienda a un canone basso, senza poter dimostrare che tale scelta sia economicamente giustificata da condizioni di mercato avverse o da altre circostanze eccezionali, non è sufficiente a evitare le pesanti conseguenze fiscali previste per le società non operative. Questa pronuncia serve da monito per tutte le società che gestiscono patrimoni immobiliari: la trasparenza e la solidità delle giustificazioni economiche sono essenziali per non incorrere nelle maglie del Fisco.

Che cos’è una società di comodo secondo la legge?
È una società che viene presunta non operativa quando l’ammontare dei ricavi e altri proventi è inferiore a una soglia minima calcolata in percentuale sul valore dei beni patrimoniali. La legge presume che non svolga una vera attività d’impresa, ma sia usata per gestire passivamente dei beni.

Cosa deve dimostrare un contribuente per evitare la tassazione prevista per le società di comodo?
Il contribuente deve fornire la prova contraria, dimostrando l’esistenza di situazioni oggettive, anche di natura economica, che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi minimi presunti dalla legge. Questa prova deve essere concreta, specifica e non basata su mere affermazioni.

L’affitto dell’unica azienda a terzi esclude automaticamente una società dal regime delle società di comodo?
No, l’affitto dell’azienda non è di per sé sufficiente. Se il canone di affitto è così basso da non permettere il superamento del test di operatività, la società deve comunque dimostrare con prove oggettive che quel canone era l’unico conseguibile sul mercato o che sussistevano altre ragioni economiche valide per accettarlo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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