Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7619 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7619 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17911/2016 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE I DI NAPOLIAGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE I DI NAPOLI
-intimati-
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-resistente-
Avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA CAMPANIA n. 154/2016 depositata il 13/01/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/01/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
Rilevato che:
La Commissione Tributaria Regionale della Campania ( hinc: CTR), con la sentenza n. 154/2016 depositata in data 13/01/2016, ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza n. 14092/2014, con la quale la Commissione Tributaria Provinciale di Napoli aveva, a sua volta, accolto il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE contro l’avviso di accertamento avente per oggetto la ripresa a titolo di IRES e IRAP per l’anno 2006.
La CTR ha rilevato che, secondo quanto emergeva dagli atti, la RAGIONE_SOCIALE, in data 14/03/1996, aveva locato la propria struttura alberghiera (sita in Forio di Ischia) per nove anni alla RAGIONE_SOCIALE a un canone annuo di cinquanta milioni di lire. Il contratto era stato, poi, rinnovato, per ulteriori sei anni, al canone annuo di poco superiore a Euro 33.000,00. Ha quindi evidenziato che la contribuente non avesse fornito elementi probatori tali da giustificare l’impossibilità di conseguire ricavi per l’anno 2007, con il conseguente diritto a fruire dell’invocata disapplicazione della norma antielusiva sulle società non operative. In particolare, non era stato dimostrato che il canone applicato corrispondesse ai prezzi di
mercato, tenuto conto anche della consistenza dell’albergo e della sua ubicazione in una nota località turistica, così come del fatto che l’attività ricettiva non fosse stagionale, ma si protraesse per l’intero anno. Non è poi comprensibile perché, una volta scaduto il primo contratto, RAGIONE_SOCIALE non avesse pattuito un canone più adeguato e corrispondente alle reali condizioni di mercato. Ha poi rilevato la composizione omogenea della compagine societaria della locatrice e della locataria: il sig. NOME COGNOME, socio e amministratore della RAGIONE_SOCIALE è stato anche amministratore della locataria RAGIONE_SOCIALE La parte appellata non ha, quindi, fornito idonee giustificazioni alla propria scelta imprenditoriale di locare la propria struttura alberghiera a un canone esiguo e non modificabile e non ha, quindi, dimostrato la propria oggettiva impossibilità di produrre ricavi nel periodo di imposta in esame.
Contro la sentenza della RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso in cassazione con due motivi.
L’Agenzia delle Entrate non si è costituita con controricorso, costituendosi al solo fine di partecipazione all’udienza.
…
Considerato che:
Con il primo motivo è stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 30, comma 1, legge 23/12/199 4, n. 724, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, c.p.c.
1.1. La ricorrente rileva che l’art. 30 cit . si fonda sul fatto che alcuni beni patrimoniali siano in grado di generare, oggettivamente, un livello minimo di reddito. Si tratta, quindi, di un metodo presuntivo di determinazione del reddito imponibile IRAP, imponibile IVA, applicato alle società commerciali indicate nella norma.
La disciplina opera, quindi, su due livelli. Il primo livello definisce la non operatività, che si verifica attraverso il confronto tra i proventi
di impresa risultanti dalla contabilità e quelli individuati applicando specifici coefficienti al valore di beni immobili, partecipazioni e altre immobilizzazioni della società. Il secondo livello -per chi abbia superato il test di operatività -attiene alla presunzione di un reddito minimo, determinato in rapporto al valore dei beni sopra citati, cui non sono applicabili altri coefficienti. Tale reddito minimo è, poi, alla base dell’ulteriore presunzione di un imponibile minimo ai fini IRAP, mentre per qu anto riguarda l’IVA si prevedono limitazioni all’uso dell’eccedenza di credito. La finalità della disciplina è quella di colpire l’uso dello schermo societario per l’intestazione d i beni non funzionali allo svolgimento dell’attività d’impresa e, quindi, per il possesso e/o la gestione passiva, in particolare di beni immobili, con finalità antielusiva e antievasiva. In tale quadro normativo l’interpello disapplicativo consente al contribuente di esplicitare situazioni oggettive, come ad es. l’impossibilità d i modificare i contratti di locazione in corso.
1.2. La ricorrente ha, quindi, censurato la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’obbligo di motivazione su un punto fondamentale della controversia, con particolare riferimento alla parte in cui la CTR ha ritenuto RAGIONE_SOCIALE come società non operativa o di comodo. Sul punto -nonostante il giudice di prime cure si fosse espresso nel senso della piena operatività della società contribuente e dell’assenza di intenti fraudolenti sottesi all’operazione contrattuale non ha statuito alcunché sull’art. 30 legge n. 724 del 1994, sebbene oggetto di uno specifico motivo di appello. La CTR avrebbe, invece, dovuto valutare, in via preliminare, il presunto abuso della persona giuridica e precisare, quindi, perché il contratto di affitto d’azienda tr a RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE consentisse di ritenere che l’immobile adibito ad albergo non fosse
funzionale all’attività d’impresa svolta, ma al godimento, diretto o indiretto, dei soci.
Nel caso in esame RAGIONE_SOCIALE aveva concesso già da nove anni (prima del 2006) l’azienda a terzi e la circostanza che il sig. COGNOME detenesse una partecipazione nella società di gestione non toglie che la disponibilità dell’immobile e dell’azienda RAGIONE_SOCIALE sse in capo alla società stessa e non al socio, essendo, peraltro, circostanza non contestata che l’Hotel fosse in funzione. La corretta verifica delle condizioni di non operatività ex art. 30 legge n. 794 del 1994 avrebbe, quindi, richiesto il confronto tra i componenti positivi effettivamente realizzati dall’impresa nell’ultimo triennio e i componenti positivi minimi determinati in base ai coefficienti previsti dalla norma. Peraltro, l’interpello disapplicativo è stato introdotto dal d.l. n. 223 del 2006, che ha innalzato proprio i coefficienti per determinare la non operatività. Tale norma è successiva alla contrattualizzazione del nuovo canone di affitto rinnovato nel maggio 2006, per cui la valutazione di non operatività da parte dell’Agenzia delle Entr ate è stata fatta secondo il vecchio canone non aggiornato, poiché la decorrenza contrattuale è successiva al primo trimestre 2006 e il periodo di riferimento, per quanto non ne sia stato dato conto nell’accertamento , avrebbe dovuto essere il triennio 2004-2006. La CTR si appiattisce, quindi, sulle considerazioni svolte dall’Agenzia delle Entrate, senza precisare perché la RAGIONE_SOCIALE fosse da considerare una società a schermo.
Con il secondo motivo è stata censurata la violazione e falsa applicazione dell’art. 30, comma 4 bis, legge n. 724 del 1994, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. e quale omessa motivazione in relazione all’art. 2697 c.c. e 116 c.p.c.
2.1. La ricorrente denuncia che la sentenza impugnata non abbia fornito un iter argomentativo che porti a giustificare il superamento
delle prove contrarie offerte dalla contribuente rispetto alle ipotesi normativamente predeterminate. Rileva, poi, che il d.l. n. 223 del 2006 ha completamente stravolto la procedura di accertamento prevista dall’art. 30 legge n. 724 del 1994. Prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 223 del 2006 il quarto comma dell’art. 30 cit. prevedeva che l’accertamento del reddito delle società non operative dovesse avvenire, pena la nullità, previa richiesta al contribuente di chiarimenti da inviare per iscritto entro sessanta giorni dalla data di ricezione della richiesta. Gli uffici dovevano, quindi, attivare un contraddittorio preventivo. Diversamente il comma 4bis dell’art. 30 cit. introdotto dal d.l. n. 223 del 2006 prevede che, in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi, nonché del reddito determinati ai sensi dell’art. 30 stesso ovvero n on hanno consentito di eseguire operazioni rilevanti ai fini IVA, il soggetto interessato può chiedere la disapplicazione delle disposizioni antielusive ai sensi dell’art. 37 bis, comma 8, d.P.R. n. 600 del 1973.
2.2. Rileva che la motivazione sul punto è assente e che costituisce una mera petizione di principio l’affermazione secondo cui la RAGIONE_SOCIALE non avrebbe dimostrato che il canone applicato fosse rispondente ai prezzi di mercato, tenuto conto anche della consistenza dell’albergo, della sua ubicazione in una nota località turistica e del fatto che l’attività recettiva non fosse stagionale. Vi è, poi, un’erronea valutazione delle prove offerte nella parte in cui la CTR afferma come non sia comprensibile perché, alla scadenza del primo contratto, non fosse stato pattuito un nuovo contratto di locazione a condizioni più vantaggiose. Tanto più che mentre il primo contratto aveva un canone di cinquanta milioni di lire, corrispondenti a Euro 25.822,84, il secondo canone era pari a Euro 33.000, con un adeguamento mensile da Euro 2.152 a Euro 2.750.
Inoltre, tra le ipotesi indicate nella circolare n. 5 del 02/02/2007 dell’Agenzia delle Entrate e invocate nell’istanza disapplicativa del contribuente vi è anche quella relativa alla dimostrata impossibilità di modificare i contratti di locazione in corso.
La CTR avrebbe dovuto, quindi, affrontare non tanto l’astratto mancato rispetto dei parametri quantitativi o delle condizioni formali poste dal legislatore, quanto la concreta verifica, alla luce delle risultanze probatorie acquisite, del perché gli elementi sostanziali addotti dalla società ricorrente non fossero idonei a dimostrare l’effett iva sussistenza delle circostanze esimenti.
Ad avviso della ricorrente, quindi, il controllo di logicità del giudizio ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. non può far ritenere che la sentenza impugnata sia motivata. In particolare, non è motivata la circostanza oggettiva del come e perché la società RAGIONE_SOCIALE, avendo concesso in affitto l’intera azienda, comprensiva dell’immobile, possa consentire di fatto ai soci di usare il bene per proprie finalità personali, non è motivato il parametro ulteriore per cui deve ritenersi incongruo il canone di affitto in relazione alle zone e alla tipologia concreta di hotel.
2.3. Rileva, inoltre, che una corretta valutazione dei fatti avrebbe dovuto portare a considerare che la società non poteva ricadere nella situazione elusiva che caratterizza la società di comodo, proprio perché aveva affittato l’azienda a terzi: la stessa Agenzia delle Entrate (circolare 7/E/2013, par. 6) afferma che, indipendentemente dall’oggetto sociale adottato , la disciplina è stata concepita per contrastare società che, a prescindere dall’oggetto sociale adottato, gestiscono il proprio patrimonio ess enzialmente nell’interesse dei soci, senza esercitare un’effettiva attività d’impresa. Difatti, chi affitta l’azienda perde il possesso dei beni e non si può sospettare che questi ultimi siano fruiti surrettiziamente dai soci, ipotesi che si
verifica, invece, per le società che detengono immobili usati quali abitazioni o per le vacanze.
L’affitto dell’unica azienda a terzi rende, inoltre, inapplicabili alla fattispecie gli Studi di Settore che, attraverso il meccanismo delle società di comodo ritornano in considerazione quali ricavi presunti. Con riferimento alla contestazione relativa alla pattuizione di un canone inferiore a supposti parametri di mercato la ricorrente obietta che questi sono ragguagliati alle locazioni immobiliari e non al l’affitto d’azienda. Quest’ultimo non è parametrabile ai valori di mercato, poiché comprende assets diversi oltre all’immobile e i criteri di scelta dell’impresa operano valutazioni che prescindono dal mero ricavo economico.
I motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente e sono, in parte, infondati e, in parte, anche inammissibili.
3.1. È da ritenere infondata la censura relativa al vizio di motivazione articolata, in entrambi i motivi di ricorso, evocando l’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.
Questa Corte ha, infatti, precisato che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza
impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., 03/03/2022, n. 7090).
È stato, inoltre, precisato che, nella nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., il sindacato di legittimità sulla motivazione è ridotto al “minimo costituzionale”, restando riservata al giudice del merito la valutazione dei fatti e l’apprezzamento delle risultanze istruttorie, ma la Corte di cassazione può verificare l’estrinseca correttezza del giudizio di fatto sotto il profilo della manifesta implausibilità del percorso che lega la verosimiglianza delle premesse alla probabilità delle conseguenze e, pertanto, può sindacare la manifesta fallacia o non verità delle premesse o l’intrinseca incongruità o contraddittorietà degli argomenti, onde ritenere inficiato il procedimento inferenziale ed il risultato cui esso è pervenuto, per escludere la corretta applicazione della norma entro cui è stata sussunta la fattispecie (Cass., 05/07/2017, n. 16502).
3.2. Nel caso in esame la CTR ha rilevato che: « La parte appellata non ha fornito concreti ed idonei elementi probatori per dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive tali da giustificare l’impossibilità di conseguire ricavi per l’anno 2006, con conseguente diritto a fruire dell’invocata disapplicaz ione della norma antieleusiva sulle società non operative. In particolare, la RAGIONE_SOCIALE non ha dimostrato che il canone applicato era rispondente ai prezzi di mercato, tenuto conto anche della consistenz a dell’albergo, della sua ubicazione in una nota località turistica e del fatto che l’attività di ricezione non è di tipo stagionale, bensì è risultata attiva tutto l’anno (circostanza questa non contestata dall’appellata). Inoltre, non si comprende la rag ione per cui la RAGIONE_SOCIALE, alla scadenza novennale del primo contratto, non abbia pattuito un canone più adeguato e rispondente alle reali condizioni di mercato.»
Le contestazioni relative ai vizi motivazionali della sentenza impugnata sono quindi sia infondate (dal momento che quest’ultima è conforme alla giurisprudenza di questa Corte in materia di motivazione), sia inammissibili, nella parte in cui tendono a ottenere una nuova rivalutazione dei fatti.
3.3. Passando all’esame delle censure relative alla violazione dei commi 1 e 4 bis dell’art. 30 legge n. 724 del 1994 occorre richiamare, in via preliminare, il testo delle disposizioni poste a fondamento dei motivi di ricorso con cui è stata denunciata la violazione di legge in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
L’art. 30, primo comma, legge n. 724 del 1994 prevede, infatti, che: « Agli effetti del presente articolo le società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, si considerano, salvo prova contraria, non operativi se l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico, ove prescritto è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando le seguenti percentuali: …»
Deve precisarsi che -trattandosi di contestazione relativa al periodo di imposta 2006 -non trova applicazione la formulazione della norma risultante dall’eliminazione dell’inciso « salvo prova contraria » ad opera dell’art. 1, comma 109, lett. a), legge 27/12/2006, n. 296. Lo stesso è a dirsi (con riferimento alle modifiche apportate dall’art. 1, comma 109, lett. h), legge n. 296 cit. ) in relazione al comma 4 bis dell’art. 30 legge n. 724 del 1994, introdotto dall’art. 35, comma 15, d.l. 04/07/2006, n. 223, convertito, con modificazioni dalla legge 04/08/2006, n. 248 (applicabile al periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del d.l. n. 223 del 2006, in base all’art. 35,
comma 16 del medesimo testo normativo), il quale -nella versione applicabile ratione temporis al caso in esame – prevede che: « In presenza di oggettive situazioni di carattere straordinario che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4, la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.»
In sostanza, l’art. 30, comma 1, legge n. 724 del 1994 nel testo vigente ratione temporis -stabilisce una presunzione relativa di non operatività delle società che presentino un ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi (esclusi quelli straordinari) risultanti dal conto economico sia inferiore agli importi risultanti dall’applicazione delle percentuali indicate nella norma in esame. Il comma 4bis consente al contribuente di proporre un interpello disapplicativo al fine di provare situazioni di carattere straordinario che abbiano reso impossibile il conseguimento dei ricavi, dell’incremento delle rimanenze e dei proventi risultati dall’applicazione dell e percentuali previste nello stesso art. 30 cit.
3.4. Questa Corte ha precisato che, in tema di società di comodo, l’interpello disapplicativo conseguente al mancato superamento del test di operatività previsto dall’art. 30 della l. n. 724 del 1994 (vigente “ratione temporis”), non presenta natura di una condizione di procedibilità e di limitazione della tutela giurisdizionale del contribuente, né comporta l’elisione della facoltà, per quest’ultimo, di superare la presunzione legale di non operatività sancita dal primo comma della disposizione citata, assumendo
all’uopo rilievo i principi costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), per effetto dei quali non è impedito al contribuente sia di discostarsi dalla risposta negativa all’interpello resa dalla Amministrazione – senza doverla necessariamente impugnare per evitarne la cristallizzazione, potendo comunque impugnare gli atti successivi di applicazione delle disposizioni antielusive – sia di esperire la piena tutela in sede giurisdizionale nei confronti dell’atto tipico impositivo che gli venga successivamente notificato, dimostrando in tale sede, senza preclusioni di sorta, la sussistenza delle condizioni per fruire della disapplicazione della norma antielusiva (Cass., 15/10/2021, n. 28251).
In merito all’articolazione della prova contraria da parte del contribuente è stato precisato che, in materia di società di comodo, l'”impossibilità”, per situazioni oggettive di carattere straordinario, di conseguire il reddito presunto secondo il meccanismo di determinazione di cui all’art. 30 della l. n. 724 del 1994, la cui prova è a carico del contribuente, non va intesa in termini assoluti bensì economici, aventi riguardo alle effettive condizioni del mercato (Cass., 20/06/2018, n. 16204).
Deve essere, poi, data continuità all’orientamento (Cass., 03/03/2023, n. 6459) secondo il quale fa parte del sindacato di legittimità, riferibile al paradigma di cui all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., il controllare se la fattispecie concreta come ricostruita dal giudice di merito (e, dunque, senza che si debba procederne ad un nuovo apprezzamento) è stata da questi correttamente ricondotta alla fattispecie giuridica astratta individuata come idonea a dettarne la disciplina (v., fra le altre, Cass. n. 29/08/2019, n. 21772; Cass. n. 31/05/2018, n. 13747).
La sentenza impugnata non incorre nel vizio di violazione di legge, avendo dato rilievo a elementi (ammontare del canone di locazione, ubicazione dell’albergo in una nota località turistica e continuità dell’attività ricettiva) che non fuoriescono dall’amb ito applicativo dell’art. 30 cit. Sotto tale profilo, i due motivi di ricorso sono infondati nella parte in cui contestano la violazione dell’art. 30, commi 1 e 4 -bis, legge n. 724 del 1994. Gli stessi motivi sono altresì inammissibili nella parte in cui tendono a veicolare attraverso la contestazione della violazione di legge una diversa valutazione delle istanze istruttorie.
Alla luce di quanto sin qui evidenziato il ricorso è infondato e deve essere rigettato, senza disporre alcuna statuizione sulle spese di lite, considerata la mancata costituzione mediante controricorso ad opera dell’Agenzia delle Entrate.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
a i sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo uni ficato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 30/01/2025.