LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Società di comodo: prova contraria e interpello

L’Amministrazione Finanziaria ha contestato a un’impresa immobiliare la qualifica di società di comodo. La Corte di Cassazione, pur ribadendo che la prova contraria può essere fornita in giudizio senza preventivo interpello, ha accolto il ricorso dell’Ufficio. Ha stabilito che la prova dell’impossibilità oggettiva di conseguire i ricavi minimi deve essere rigorosa e non può basarsi unicamente su scelte imprenditoriali che si sono rivelate infruttuose. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di comodo: la prova contraria va oltre le scelte imprenditoriali

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla disciplina delle società di comodo, fornendo chiarimenti cruciali sui limiti dell’onere della prova a carico del contribuente per superare la presunzione di non operatività. La decisione sottolinea la distinzione tra ‘impossibilità oggettiva’ di produrre reddito e semplici scelte imprenditoriali rivelatesi infruttuose.

Il caso: un accertamento fiscale su una società immobiliare

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato dall’Amministrazione Finanziaria a una società immobiliare per l’anno d’imposta 2015. L’Ufficio, applicando la normativa sulle società di comodo, aveva rideterminato un reddito minimo presunto, significativamente superiore a quello dichiarato, con conseguente recupero di maggiori imposte (IRES e IRAP), sanzioni e interessi.

La società aveva impugnato l’atto, ma il ricorso era stato respinto in primo grado. In appello, invece, i giudici regionali avevano dato ragione al contribuente. Contro questa decisione, l’Amministrazione Finanziaria ha proposto ricorso per cassazione, basato principalmente su due motivi: un vizio procedurale relativo a presunte nuove domande in appello e una violazione di legge sull’applicazione della disciplina delle società non operative e sulla ripartizione dell’onere della prova.

I motivi del ricorso e l’onere della prova per la società di comodo

Il cuore della controversia ruotava attorno alla possibilità per il contribuente di superare la presunzione legale di non operatività. L’Ufficio lamentava che la corte d’appello avesse erroneamente ritenuto sufficienti, a tal fine, giustificazioni che non integravano le ‘oggettive situazioni’ richieste dalla legge.

La prova contraria: interpello preventivo e sede giudiziale

La Corte ha innanzitutto ribadito un principio consolidato: l’interpello disapplicativo non è una condizione di procedibilità per la tutela giurisdizionale. Il contribuente che non ha presentato l’istanza, o che ha ricevuto una risposta negativa, non perde il diritto di dimostrare in giudizio la sussistenza delle condizioni oggettive che hanno impedito il raggiungimento dei ricavi minimi. La tutela in sede processuale rimane piena e non subisce preclusioni.

La natura della prova richiesta al contribuente

Il punto cruciale, su cui si è fondata la decisione, riguarda la qualità della prova che la società è tenuta a fornire. Per vincere la presunzione, il contribuente deve dimostrare l’esistenza di ‘situazioni oggettive’, di carattere straordinario e indipendenti dalla propria volontà, che abbiano reso impossibile il superamento del test di operatività. Queste prove devono riguardare le effettive condizioni di mercato o altri fattori esterni non controllabili dall’imprenditore.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, ritenendo fondato il secondo motivo. I giudici di legittimità hanno censurato la sentenza d’appello perché non aveva valutato con il necessario rigore le prove fornite dalla società contribuente.

Nel caso specifico, la società aveva addotto, a propria difesa, la fatiscenza degli immobili di proprietà, le difficoltà amministrative incontrate per ottenere le autorizzazioni necessarie e, in generale, il fallimento di un progetto di investimento socio-assistenziale rivelatosi troppo oneroso. Secondo la Cassazione, tali elementi attengono più a scelte imprenditoriali e alla gestione del rischio d’impresa che a cause di forza maggiore oggettivamente insuperabili. L’imprenditore, anche collettivo, ha l’obbligo di predisporre i mezzi adeguati per il raggiungimento del lucro e della continuità aziendale. Di conseguenza, il fallimento di un progetto a causa di un’errata valutazione della sua sostenibilità economica non può automaticamente costituire una causa giustificativa ai fini della disapplicazione della normativa sulle società di comodo.

La Corte ha quindi cassato la sentenza impugnata, rinviando la causa al giudice d’appello affinché proceda a un nuovo e più approfondito esame dei fatti. Questo nuovo esame dovrà verificare se le difficoltà incontrate dalla società integrino effettivamente quelle ‘situazioni oggettive’ richieste dalla legge, indipendenti dalla volontà dell’imprenditore, che hanno reso impossibile il conseguimento del reddito presunto.

Le conclusioni: implicazioni pratiche per le imprese

La pronuncia in esame rappresenta un importante monito per le imprese. Per evitare l’applicazione del regime penalizzante delle società di comodo, non è sufficiente dimostrare di aver affrontato difficoltà economiche o che un piano aziendale non ha avuto successo. È necessario fornire una prova rigorosa di circostanze esterne, straordinarie e non imputabili, che abbiano oggettivamente precluso la possibilità di generare i ricavi minimi previsti dalla legge. La distinzione tra rischio d’impresa e impossibilità oggettiva diventa, quindi, il discrimine fondamentale per la disapplicazione della normativa antielusiva.

È obbligatorio presentare un interpello disapplicativo per poter contestare in giudizio la qualifica di società di comodo?
No, la Corte di Cassazione conferma che l’interpello non è una condizione di procedibilità. Il contribuente può dimostrare direttamente in sede di giudizio la sussistenza delle condizioni oggettive che giustificano la disapplicazione della norma, anche in assenza di un preventivo interpello o in presenza di un diniego da parte dell’Amministrazione.

Quale tipo di prova deve fornire un contribuente per dimostrare di non essere una società di comodo?
Il contribuente deve fornire la prova di ‘situazioni oggettive’ di carattere straordinario, indipendenti dalla sua volontà e legate alle effettive condizioni del mercato, che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi o del reddito minimo previsto dalla legge. Non sono sufficienti generiche difficoltà economiche.

Un progetto imprenditoriale fallito a causa di un’errata valutazione economica è una prova sufficiente per disapplicare la normativa?
No, secondo la Corte non è automaticamente sufficiente. Le difficoltà derivanti da scelte imprenditoriali che si rivelano infruttuose, come un investimento troppo oneroso, rientrano nel normale rischio d’impresa e non costituiscono, di per sé, quella ‘oggettiva situazione’ impeditiva richiesta dalla norma per superare la presunzione di non operatività.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati