LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Società di comodo: prova contraria e disapplicazione

Una holding ha richiesto la disapplicazione della normativa sulle società di comodo, sostenendo di non poter raggiungere i ricavi minimi previsti per il 2013. Dopo una decisione favorevole in appello, l’Amministrazione Finanziaria ha presentato ricorso. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, stabilendo che la società non aveva fornito prove specifiche e oggettive per giustificare il mancato raggiungimento dei ricavi, ma solo argomentazioni generiche. La sentenza è stata cassata con rinvio per un nuovo esame.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di comodo: la Cassazione sulla prova per la disapplicazione

L’ordinanza n. 25689/2025 della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale per molte imprese: la disciplina delle società di comodo. Questa pronuncia chiarisce quali prove un’azienda debba fornire per dimostrare di non essere una mera “scatola vuota” e ottenere così la disapplicazione della penalizzante normativa antielusiva. Analizziamo insieme la vicenda e i principi di diritto affermati dai giudici.

I Fatti di Causa

Una società holding, il cui oggetto sociale è la gestione di partecipazioni in altre imprese, presentava un’istanza all’Amministrazione Finanziaria per chiedere la disapplicazione delle norme antielusive previste per le società di comodo. La società sosteneva di trovarsi nell’oggettiva impossibilità di conseguire, per l’anno d’imposta 2013, i ricavi e i proventi minimi stabiliti dalla legge.

L’Amministrazione Finanziaria accoglieva solo parzialmente l’istanza. La società impugnava quindi il provvedimento di diniego parziale. Mentre il primo grado di giudizio dichiarava il ricorso inammissibile, la Commissione Tributaria Regionale ribaltava la decisione, accogliendo le ragioni della società e annullando completamente il provvedimento. Contro questa sentenza, l’Amministrazione Finanziaria proponeva ricorso in Cassazione.

La Decisione della Cassazione sulla normativa per le società di comodo

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, cassando la sentenza della Commissione Tributaria Regionale. Il cuore della decisione risiede nel quinto motivo di ricorso, che lamentava un’errata valutazione delle prove da parte dei giudici di appello.

I giudici di legittimità hanno ribadito che il mancato raggiungimento degli standard minimi di ricavi previsti dalla legge (il cosiddetto “test di operatività”) crea una presunzione legale (iuris tantum) che la società sia non operativa. Per superare questa presunzione, non è sufficiente addurre motivazioni generiche, ma è necessario fornire la prova di situazioni oggettive e straordinarie, indipendenti dalla volontà dell’imprenditore, che abbiano reso impossibile il raggiungimento di tali soglie.

Le motivazioni

La Corte ha ritenuto che la Commissione Tributaria Regionale avesse basato la sua decisione su considerazioni generiche e inconferenti. I giudici di appello avevano giustificato la disapplicazione della norma citando il fatto che la società controllata possedesse un fabbricato a uso alberghiero e che la holding avesse erogato finanziamenti infruttiferi ad altre controllate per sostenere i costi di immobilizzazione. Secondo la Cassazione, queste argomentazioni non spiegano in alcun modo perché, a fronte di tali investimenti e partecipazioni, la holding si sia trovata nell’impossibilità oggettiva di conseguire il reddito minimo presunto dalla legge. In sostanza, la motivazione della sentenza d’appello è stata giudicata apparente e non idonea a dimostrare la sussistenza delle condizioni eccezionali richieste per disapplicare la disciplina delle società di comodo.

Le conclusioni

Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale: per vincere la presunzione di non operatività, il contribuente ha l’onere di dimostrare, con fatti specifici e concreti, le ragioni oggettive che hanno impedito la produzione di un reddito adeguato. Non bastano considerazioni generali sulla natura degli investimenti o sulla struttura del gruppo societario. È necessario provare l’esistenza di un impedimento effettivo, non dipendente da scelte imprenditoriali, che ha reso materialmente impossibile rispettare i parametri di legge. La causa è stata quindi rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, che dovrà riesaminare il caso attenendosi a questo rigoroso principio di diritto.

Come può una società superare la presunzione legale di essere una “società di comodo”?
Per superare la presunzione, la società deve dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive, specifiche e straordinarie, indipendenti dalla propria volontà, che le abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito previsto dalla normativa.

È possibile impugnare davanti al giudice tributario un provvedimento che nega la disapplicazione delle norme antielusive?
Sì, secondo l’orientamento consolidato della Corte di Cassazione citato nella sentenza, il rigetto dell’istanza di disapplicazione è un atto amministrativo definitivo che può essere impugnato davanti al giudice tributario in quanto costituisce un diniego di agevolazione.

Le motivazioni generiche sugli investimenti effettuati sono sufficienti a giustificare il mancato raggiungimento dei ricavi minimi?
No. La Corte ha stabilito che argomentazioni generiche, come il fatto di possedere partecipazioni in società con immobili o di aver concesso finanziamenti infruttiferi, non sono sufficienti. È necessario spiegare in modo specifico e circostanziato per quale oggettiva ragione tali investimenti non abbiano prodotto il reddito minimo presunto dalla legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati