Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25689 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 25689 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 19/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29529/2017 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA LOMBARDIA n. 1906/2017, depositata il 4 maggio 2017;
udita la relazione svolta nell’adunanza camerale dell’11 settembre 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
In data 2 luglio 2014 la RAGIONE_SOCIALE, avente per oggetto principale l’assunzione e la gestione in proprio di partecipazioni in imprese e società, presentava al Direttore Regionale della Lombardia dell’Agenzia delle Entrate, per il tramite della Direzione Provinciale I di Milano, istanza ex artt. 37bis , comma 8, del D.P.R. n. 600 del 1973 e 30, comma 4bis , della L. n. 724 del 1994 per la disapplicazione delle disposizioni antielusive in tema di società di comodo, assumendo di trovarsi nell’impossibilità di conseguire nell’anno d’imposta 2013 ricavi, incrementi di rimanenze e proventi nella misura minima normativamente prevista.
Con provvedimento n. 904-1366/2014 la formulata istanza veniva accolta limitatamente alla non computabilità, ai fini del cd. test di operatività di cui al comma 1 del precitato art. 30, delle immobilizzazioni iscritte in bilancio relative a marchi e attrezzature, nonché delle partecipazioni detenute dalla contribuente in alcune delle società da essa controllate (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE).
La RAGIONE_SOCIALE impugnava il provvedimento di diniego parziale davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, che, nella resistenza della Direzione Regionale della Lombardia e della Direzione Provinciale I di Milano dell’Agenzia delle Entrate, entrambe ritenute munite di legittimazione passiva, dichiarava inammissibile il ricorso, perché proposto avverso un atto non rientrante fra quelli elencati nell’art. 19 del D. Lgs. n. 546 del 1992. La decisione veniva, però, in sèguito riformata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, la quale, con sentenza n. 1906/2017 del 4 maggio 2017, riconosciuta l’ammissibilità dell’originario ricorso della parte privata, accoglieva l’appello dalla stessa proposto e annullava «in toto» l’impugnato provvedimento di diniego.
Contro questa sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono denunciate la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 10 e 18 del D. Lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 30, comma 4bis , della L. n. 724 del 1994, dell’art. 37 -bis , comma 8, del D.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 1 del D.M. 19 giugno 1998, n. 259.
1.1 Si censura la sentenza d’appello per aver erroneamente affermato la concorrente legittimazione passiva della Direzione Provinciale I di Milano dell’Agenzia delle Entrate rispetto all’azione giudiziaria esperita dalla contribuente, pur avendo quest’ultima impugnato un provvedimento emesso dalla Direzione Regionale della Lombardia della medesima Agenzia in materia riservata alla sua competenza esclusiva.
1.2 Il motivo è infondato.
1.3 Per costante giurisprudenza di legittimità, gli uffici periferici dell’Agenzia delle Entrate hanno la capacità di stare in giudizio in via concorrente e alternativa al direttore regionale, in quanto la legittimazione processuale è riferibile all’Agenzia fiscale quale unitario soggetto di diritto, il che rende irrilevante ogni questione concernente l’articolazione organizzativa interna o la redistribuzione territoriale degli uffici.
Infatti, siccome gli uffici periferici non hanno una soggettività autonoma e distinta da quella dell’Agenzia fiscale nella cui struttura sono organicamente inseriti, le sentenze pronunciate nelle controversie tributarie producono i loro effetti direttamente nella sfera giuridica dell’Agenzia e non dell’ufficio periferico presente in
giudizio (cfr. Cass. n. 15191/2025, Cass. nn. 5634-5635-56365637/2015, Cass. n. 22000/2013).
Con il secondo motivo, proposto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., è lamentata la violazione dell’art. 100 c.p.c., dell’art. 37 -bis , comma 8, del D.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 30, comma 4bis , della L. n. 724 del 1994 e dell’art. 19 del D. Lgs. n. 546 del 1992.
2.1 Si rimprovera alla Commissione regionale di aver a torto ritenuto autonomamente impugnabile dinanzi al giudice tributario il parere negativo espresso dal Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate in ordine all’istanza di disapplicazione presentata dal contribuente ai sensi dell’art. 37 -bis , comma 8, del D.P.R. n. 600 del 1973, pur trattandosi di atto non avente natura provvedimentale e non immediatamente lesivo della sfera giuridica del privato.
2.2 Viene, al riguardo, sollecitata la rimeditazione dell’orientamento giurisprudenziale di legittimità formatosi sul tema in oggetto, ove occorra previa rimessione della questione alle Sezioni Unite.
2.3 Il motivo è infondato.
2.4 In base all’orientamento ormai consolidato di questa Corte regolatrice, il rigetto da parte del direttore regionale delle Entrate dell’istanza di disapplicazione di disposizioni antielusive presentata dal contribuente ai sensi dell’art. 37 -bis , comma 8, del D.P.R. n. 600 del 1973 è un atto amministrativo definitivo e recettizio con immediata rilevanza esterna, integrante un’ipotesi di diniego di agevolazione e come tale impugnabile innanzi al giudice tributario a norma dell’art. 19, comma 1, lettera h), del D. Lgs. n. 546 del 1992 (cfr. Cass. n. 28300/2024, Cass. n. 28197/2024, Cass. n. 28097/2024, Cass. n. 32425/2019).
2.5 Alla stregua del surriferito insegnamento giurisprudenziale di legittimità, che va qui ulteriormente ribadito, deve escludersi che la
CTR sia incorsa in «error in procedendo» nel momento in cui ha ritenuto ammissibile l’impugnazione proposta dalla Lops s.p.a..
2.6 Al cospetto di un indirizzo interpretativo stabilizzatosi con le più recenti pronunce e in assenza di un perdurante contrasto giurisprudenziale «in subiecta materia» , non si ravvisano i presupposti per l’invocata trasmissione degli atti al Primo Presidente, ai fini dell’eventuale assegnazione della questione alle Sezioni Unite.
2.7 Giova soggiungere, per completezza, che l’interpello disapplicativo di cui trattasi è stato rigettato con provvedimento emesso nell’anno 2014, ovvero anteriormente all’entrata in vigore della norma di cui all’art. 6, comma 1, del D. Lgs. n. 156 del 2015 -poi abrogata dall’art. 2, comma 4, lettera e), del D. Lgs. n. 219 del 2023-, a mente della quale non sono impugnabili le risposte alle istanze di interpello ex art. 11 della L. n. 212 del 2000.
2.8 Ne discende che alla fattispecie di causa non è applicabile la norma in discorso, in quanto essa opera soltanto per l’avvenire, ai sensi dell’art. 11, comma 1, delle preleggi, risultando priva delle caratteristiche tipiche dell’interpretazione autentica o dell’innovazione retroattiva (cfr. Cass. n. 27922/2023, Cass. n. 23469/2017).
Con il terzo, subordinato, motivo, ricondotto al paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., viene nuovamente dedotta la violazione dell’art. 100 c.p.c., dell’art. 37 -bis , comma 8, del D.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 30, comma 4 -bis , della L. n. 724 del 1994 e dell’art. 19 del D. Lgs. n. 546 del 1992.
3.1 Il motivo, con il quale viene riproposta sotto diverso profilo censorio – e cioè come «error in iudicando» , anziché come «error in procedendo» – la questione giuridica appena trattata, deve essere disatteso sulla scorta delle medesime argomentazioni che hanno condotto al rigetto del secondo mezzo di gravame.
Con il quarto motivo, inquadrato nello schema dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., viene fatta valere la violazione degli artt. 112, 115, 116 e 132, comma 2, n. 4) c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c., nonché degli artt. 36, comma 2, n. 4), 53, 54 e 61 del D. Lgs. n. 546 del 1992.
4.1 Si assume che la gravata decisione sarebbe priva di un reale apparato motivazionale, avendo i giudici di appello apoditticamente affermato la sussistenza, nel caso di specie, dei presupposti per la totale disapplicazione della disciplina antielusiva in tema di società di comodo dettata dall’art. 30 della L. n. 724 del 1994.
4.2 Il motivo è infondato.
4.3 A sèguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. disposta dall’art. 54, comma 1, lettera b), del D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione della sentenza è ormai da ritenere ristretto alla verifica dell’osservanza del cd. «minimo costituzionale» imposto dall’art. 111, comma 6, della Carta fondamentale, da intendersi violato nei soli casi di «mancanza assoluta di motivi sotto il profilo materiale e grafico», di «contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili» e di motivazione «perplessa od incomprensibile» o «apparente», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della stessa.
4.4 Simili anomalie si tramutano in vizio di nullità della decisione per difetto del requisito di cui all’art. 132, comma 2, n. 4) c.p.c., norma che nel processo tributario trova il suo corrispondente nell’art. 36, comma 2, n. 4) del D. Lgs. n. 546 del 1992.
4.5 Per produrre il descritto effetto invalidante, esse devono emergere dal testo stesso della sentenza, a prescindere dal confronto con le emergenze processuali (cfr. Cass. Sez. Un. 80538054/2014; id. , ex permultis , Cass. Sez. Un. 19881/2014, Cass. Sez. Un. n. 17564/2019, Cass. Sez. Un. n. 23746/2020, Cass. Sez. Un. n. 32000/2022, Cass. n. 20598/2023).
4.6 Tanto premesso, va notato che nel caso di specie la motivazione dell’impugnata sentenza non soltanto esiste sotto il profilo materiale e grafico, ma appare perfettamente intelligibile, nè si presenta affetta da manifesta illogicità o da irriducibile contraddittorietà.
4.7 Invero, i giudici di secondo grado, dopo aver diffusamente indicato le ragioni per le quali doveva ritenersi, per un verso, sussistente la legittimazione passiva sia della Direzione Regionale che di quella Provinciale dell’Agenzia delle Entrate, per altro verso, ammissibile l’esperita azione giudiziaria, hanno così argomentato l’accoglimento dell’appello della RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE: -l’art. 30 della L. n. 724 del 1994 è norma antielusiva, «risultando la sua finalità quella di evitare la presenza nel nostro ordinamento di persone giuridiche non operative, utilizzate non a fini d’impresa, ma solo per l’intestazione di beni in realtà utilizzati dai loro soci, così da aggirare la corretta applicazione del relativo regime fiscale» ; – il provvedimento di rigetto dell’istanza di disapplicazione «non può essere diretto» ad «escludere aprioristicamente dal nostro ordinamento la configurabilità di società in situazioni di crisi momentanea, incapaci di raggiungere le soglie di ricavi normativamente previste, ma la cui sopravvivenza sia comunque compatibile con progetti imprenditoriali volti al risanamento e al miglioramento delle condizioni di tali soggetti» , giacchè «una differente lettura… porterebbe alla chiara violazione della libertà di iniziativa economica, riconosciuta e protetta dalla nostra Norma fondamentale ex art. 41 Cost.» ; -d’altro canto, «l’automatica presunzione di reddito in capo a delle società ‘in perdita’, ma effettivamente operative, risulterebbe in contrasto con un altro principio costituzionale, quello della capacità contributiva ex art. 53 Cost.» ; – nella fattispecie concreta, doveva «darsi atto di quanto dimostrato dalla contribuente circa la sua effettiva operatività e, soprattutto, dell’impossibilità di ricondurre i beni oggetto del
provvedimento di diniego a fini differenti rispetto a quelli dell’attività d’impresa, così da escludere la configurabilità di qualsivoglia fenomeno elusivo» ; -in particolare, «quanto alla partecipazione al capitale e ai crediti vantati nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, d (o) ve (va) considerarsi come il patrimonio di tale soggetto giuridico (fos) s (e) composto da un fabbricato ad uso alberghiero, la cui natura e (ra) tale da escludere po (te) ss (e) essere destinato al consumo personale dei soci» ; -«natura elusiva d (o) ve (va) inoltre essere scartata anche in relazione ai finanziamenti infruttiferi erogati nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE diretti al sostenimento dei costi delle immobilizzazioni di tale persona giuridica e pienamente confacenti all’attività di impresa svolta dalla RAGIONE_SOCIALE» , apparendo «anche in questo caso … difficile ipotizzare… l’esistenza di beni o crediti destinati al consumo personale dei soci» ; – nel descritto scenario, era ravvisabile «la necessità della piena disapplicazione dell’art. 30 l. n. 724/1994 in relazione alla società… appellante» .
4.8 A prescindere da ogni considerazione circa l’esattezza giuridica degli enunciati sopra trascritti, aspetto non rilevante ai fini della verifica del vizio processuale qui in esame, è fuor di dubbio che la decisione sia sostenuta da un impianto motivazionale rispettoso del «minimo costituzionale» di cui si è detto.
Con il quinto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è denunciata la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 30 della L. n. 724 del 1994.
5.1 Si addebita alla Commissione regionale di aver erroneamente ritenuto configurabile nella fattispecie in esame la situazione eccezionale di oggettiva impossibilità di conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze, dei proventi e del reddito determinati ai sensi dell’art. 30, comma 1, della L. n. 724 del 1994,
in presenza della quale può essere richiesta dalla società interessata la disapplicazione delle disposizioni antielusive contenute nel medesimo articolo.
5.2 Viene, in proposito, obiettato che, a differenza di quanto sostenuto dai giudici «a quibus» , , bensì, .
5.3 Il motivo è fondato.
5.4 Come ripetutamente affermato da questo Supremo Collegio, il mancato raggiungimento degli standards minimi di ricavi di cui all’art. 30, comma 1, della L. n. 724 del 1994, riconducibili agli assetti patrimoniali della struttura societaria, funge da elemento sintomatico di selezione e individuazione degli enti non operativi (v., ad es., Cass. n. 7006/2024, Cass. n. 4850/2020).
5.5 Il non avvenuto superamento della soglia di operatività costituisce, dunque, presunzione legale «iuris tantum» della natura non operativa della società contribuente e comporta, conseguentemente, l’applicazione della disciplina antielusiva.
5.6 In tale contesto, il contribuente può vincere la presunzione dimostrando all’Amministrazione, attraverso l’interpello finalizzato alla disapplicazione delle disposizioni antielusive, ovvero, in caso di contrasto, nella competente sede giudiziaria, le oggettive situazioni che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito determinato secondo i predetti parametri normativi
(cfr., ex plurimis , Cass. n. 11470/2025, Cass. n. 23096/2024, Cass. n. 16631/2024, Cass. n. 7006/2024, cit.)
5.7 È stato, inoltre, precisato – e a tale complessivo principio di diritto il giudice di rinvio dovrà uniformarsi – che la prova contraria in parola deve risolversi nell’offerta di elementi di fatto consistenti in situazioni oggettive (‘di carattere straordinario’, in base all’originario testo della norma vigente anteriormente alle modifiche apportate dalla L. n. 296 del 2006, non applicabile «ratione temporis» alla presente controversia), indipendenti dalla volontà del contribuente, che rendano impossibile conseguire il reddito presunto, avuto riguardo alle concrete condizioni del mercato, e che facciano desumere l’erroneità dell’esito quantitativo del test di operatività, ovvero la sussistenza di un’attività imprenditoriale effettiva, caratterizzata da una prospettiva di lucro obiettivo e di continuità aziendale, e dunque la reale operatività della società; con l’ulteriore puntualizzazione che detta impossibilità deve essere intesa non in senso assoluto, bensì in termini economici, identificandosi con uno specifico fatto, non dipendente dalla scelta consapevole dell’imprenditore, che impedisca lo svolgimento dell’attività produttiva con risultati reddituali conformi agli standards minimi legali ovvero ne ritardi l’avvio oltre il primo periodo d’imposta (cfr. Cass. n. 35816/2023, Cass. n. 34399/2019, Cass. n. 16204/2018, Cass. n. 5080/2017).
5.8 Non si è poi mancato di chiarire che l’affermazione, da parte del giudice di merito, dell’attitudine o meno dei fatti accertati a integrare una situazione oggettiva rilevante agli effetti dell’art. 30, comma 4bis , della L. n. 724 del 1994 può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità per vizio cd. di sussunzione, riconducibile al paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c. (cfr. Cass. n. 30627/2023, Cass. n. 13336/2023, Cass. n. 6459/2023).
5.9 Alla luce delle suenunciate «regulae iuris» , la decisione in scrutinio si appalesa affetta dal prospettato «error in iudicando» , in
quanto, lungi dall’individuare specifiche situazioni oggettive atte a giustificare il mancato superamento da parte della Lops s.p.a. del test di operatività previsto dall’art. 30, comma 1, della L. n. 724 del 1994, la Commissione regionale lombarda ha incentrato il proprio ragionamento decisorio su considerazioni generiche, inconferenti e inidonee a sorreggere la soluzione accolta, trascritte nel sottoparagrafo 4.7 in occasione della disamina del precedente mezzo di gravame.
5.10 Segnatamente, la circostanza che il patrimonio della partecipata RAGIONE_SOCIALE fosse composto da un fabbricato a uso alberghiero e che i finanziamenti infruttiferi erogati alla Mercati Alimentari s.p.a. fossero «diretti al sostenimento dei costi delle immobilizzazioni di tale persona giuridica e pienamente confacenti all’attività di impresa svolta dalla RAGIONE_SOCIALEp.RAGIONE_SOCIALE» appare priva di attinenza con il tema controverso e non può, pertanto, reputarsi idonea ai fini dell’assolvimento dell’onere della prova contraria posto a carico della contribuente.
5.11 Non viene, infatti, minimamente spiegato nella sentenza impugnata per quale oggettiva ragione, a fronte della partecipazione pressoché totalitaria a diverse società – una delle quali proprietaria di un albergo (che dal controricorso si apprende essere stato concesso in locazione a terzi) -e dell’erogazione di finanziamenti infruttiferi in favore di alcune di queste, la RAGIONE_SOCIALE s.p.aRAGIONE_SOCIALE si sarebbe venuta a trovare nell’impossibilità di conseguire nell’anno 2013 il reddito minimo presunto «ex lege» .
6. Per le ragioni illustrate, va disposta, ai sensi degli artt. 383, comma 1, e 384, comma 2, prima parte, c.p.c. e 62, comma 2, del D. Lgs. n. 546 del 1992, la cassazione della gravata pronuncia, in relazione alla censura accolta, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, la quale, uniformandosi al principio di diritto dianzi
espresso con riferimento al quinto motivo, procederà a un nuovo esame della questione devoluta.
6.1 Al giudice del rinvio viene demandata anche la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità, a norma degli artt. 385, comma 3, seconda parte, c.p.c., e 62, comma 2, del D. Lgs. cit.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso e respinge i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria della Corte Suprema di Cassazione, in data 11 settembre 2025.
Il Presidente
NOME COGNOME