Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 30607 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 30607 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 28/11/2024
Ires Irap Società di comodo
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 3870/2017 R.G. proposto da:
FIRENZE INDIRIZZO RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME presso il cui studio in Roma, INDIRIZZO è elettivamente domiciliata,
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del direttore pro tempore ,
-resistente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LAZIO, N. 7897/2016, depositata il 02/12/2016;
sul ricorso iscritto al n. 9526/2019 R.G. proposto da:
FIRENZE INDIRIZZO RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME presso il cui studio in Roma, INDIRIZZO è elettivamente domiciliata,
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato,
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LAZIO, N. 8801/2018, depositata il 13/12/2018;
sul ricorso iscritto al n. 8481/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata ex lege,
-ricorrente –
contro
FIRENZE INDIRIZZO RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME presso il cui studio in Roma, INDIRIZZO è elettivamente domiciliata,
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LAZIO, N. 4243/2021, depositata il 22/09/2021;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 2 ottobre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
dato atto che il Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME ha concluso, quanto ai primi due ricorsi, per l’inammissibilità o in subordine per il rigetto e quanto al terzo ricorso per l’accoglimento.
sentito l’ Avv. dello Stato NOME COGNOME per l’Agenzia delle entrate e l’Avv. NOME COGNOME per la società;
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate rigettava l’istanza avanzata dalla Firenze Via Ponte RAGIONE_SOCIALE – volta alla disapplicazione della disciplina dettata per le società non operative dall’art. 3 0 legge n. 724 del 1994 – proposta ai sensi del comma
4bis del medesimo articolo ; per l’effetto notificava alla contribuente, per gli anni di imposta 2008, 2009 e 2010, avvisi di accertamento con i quali recuperava a tassazione il reddito imponibile minimo di cui all’art. 30 cit. ai fini Ires ed Irap, oltre sanzioni ed interessi.
Con l’istanza la società aveva allegato che nel 2005 aveva subito un provvedimento di scioglimento forzato con la nomina di un liquidatore giudiziario sino a tutto il 2007; che negli anni successivi, dopo essere tornata in bonis, tutto il suo patrimonio immobiliare era stato assoggettato a procedura esecutiva, con conseguente nomina di un custode giudiziario al quale era stata attribuita la gestione esclusiva dei beni, con la finalità di procedere alla loro vendita all’asta.
Secondo l’Ufficio, tuttavia, non vi era una situazione oggettiva impeditiva del raggiungimento dei ricavi determinabili con l’applicazione dei coefficienti di cui all’art. 30 cit. in quanto il pignoramento non comportava la sottrazione della disponibilità dei beni, il custode giudiziario agiva pur sempre in sostituzione del debitore, i beni, ancorché pignorati, risultavano dal bilancio, nel quale confluivano pure i componenti positivi e negativi del reddito ad essi inerenti.
La società contribuente con separati ricorsi impugnava i tre atti impositivi.
Con riferimento all’anno di imposta 2008, oggetto del primo giudizio, la C.t.p. accoglieva il ricorso con sentenza riformata in appello.
Avverso detta ultima ricorre la società contribuente, mentre l’ Agenzia delle entrate ha depositato nota, intestata «atto di costituzione», dando atto di non aver proposto tempestivo controricorso, ai soli fini dell’eventuale partecipazione alla discussione orale. In data 31 agosto 2024, tuttavia, ha depositato telematicamente un controricorso, pure notificato alla controparte, per il quale, tuttavia, non risulta il tempestivo deposito in Cancelleria.
5 . Per l’anno 2009 la C.t.p. rigettava il ricorso con sentenza confermata in appello.
Anche avverso detta sentenza ricorre la società contribuente e l’Ufficio si difende a mezzo rituale controricorso.
6 . Per l’anno 2010, invece, l’esito del giudizio era favorevole alla contribuente in quanto la C.t.p. accoglieva il ricorso con sentenza confermata in appello.
Avverso la sentenza della C.t.r. ricorre, di conseguenza, l’Agenzia delle entrate e la società si difende a mezzo rituale controricorso.
In tutti i giudizi la società contribuente ha versato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Nel giudizio n. 3870 del 2017 la società contribuente propone sei motivi.
1.1. Con il primo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per mancanza dei contenuti di cui all’art. 3 6, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546.
Censura la sentenza impugnata per non aver riportato gli esatti termini del contendere, il contenuto della sentenza di primo grado ed i motivi di appello e per aver reso motivazione incomprensibile e, in parte, inesistente. Rileva, in particolare, che la questione controversa era se la sussistenza, incontestata, di un pignoramento su tutti i beni sociali costituisse o meno ragione oggettiva di disapplicazione delle disposizioni sulle c.d. società di comodo o rientrasse, in via diretta o «per assimilazione», tra le situazioni contemplate dal Provvedimento del Direttore dell’Agenzia del 14 febbraio 2008 per la disapplicazione automatica.
1.2. Con il secondo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
Censura la sentenza impugnata per aver omesso di pronunciarsi su tutti i tre motivi dell’appello spiegato dall’Agenzia delle entrate.
1.3. Con il terzo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero se il pignoramento creditizio di tutti i beni sociali costituisse o meno oggettiva ragione di disapplicazione delle disposizioni sulle società di comodo o rientrasse tra le fattispecie di disapplicazione automatica individuate con provvedimento del Direttore dell’Agenzia.
1.4. Con il quarto denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. la violazione dell’art. 30, comma 4 -bis , legge 23 dicembre 1994, n. 724.
Censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che l’Agenzia delle entrate avesse legittimamente emesso l’atto impositivo in assenza di una delle situazioni oggettive contemplate dal provvedimento del 14 febbraio 2008 per la disapplicazione automatica ed ignorando che al contribuente è sempre consentito contestare nel merito il provvedimento di diniego.
1.5. Con il quinto denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 30, comma 4 -ter , legge n. 724 del 1994 e del provvedimento del 14 febbraio 2008 del Direttore dell’Agenzia delle entrate lett. d).
Assume che sussistevano i presupposti per l’esclusione di diritto dall ‘ applicazione della disciplina sulle società di comodo
1.6. Con il sesto motivo denuncia violazione degli artt. 53 e 57, comma 2, d.lgs. n. 31 dicembre 1992, n. 546.
Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che non erano state apportate argomentazioni nuove in appello , così ignorando che l’art. 53 cit. fa onere all’appellante di individuare specifici motivi di impugnazione e che, viceversa, è esclusa per l’appellato la possibilità di proporre nuove eccezioni.
Nel giudizio n. 9526/2019 la contribuente propone tre motivi.
2.1. Con il primo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. la nullità della sentenza per motivazione apparente.
Censura la sentenza impugnata per vizio della motivazione non essendo chiare le ragioni sottese al decisum e, in particolare, per non aver dato alcuna spiegazione delle ragioni per le quali la società sarebbe stata costituita strumentalmente per usufruire di indebiti vantaggi fiscali al solo fine di gestire il patrimonio nell’interesse dei soci e non per esercitare realmente un’attività economica.
2.2. Con il secondo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. la violazione dell’art. 30, comma 4 -bis , legge 23 dicembre 1994, n. 724.
Censura la sentenza impugnata per aver escluso che la gestione degli immobili della società da parte di custodi – nominati in sede giudiziale nell’ambito di procedure esecutive immobiliari potesse essere un’ oggettiva situazione di
impossibile conseguimento dei ricavi presunti e per aver dato rilievo al fatto che i canoni di locazione degli immobili pignorati confluivano comunque nel bilancio societario.
2.3. Con il terzo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. la violazione dell’art. 30, comma 4 -ter , legge n. 724 del 1994 e del provvedimento del 14 febbraio 2008 del Direttore dell’Agenzia delle entrate lett. d).
Assume che sussistevano i presupposti per escludere di diritto l’ applicazione della disciplina sulle società di comodo in quanto la gestione dei custodi nominati dal Tribunale nell’ambito della procedura esecutiva immobiliare era situazione che poteva rientrare in via analogica nella casistica di cui al provvedimento del Direttore dell’Agenzia.
Nel giudizio n. 8481 del 2022 l’Agenzia delle entrate propone due motivi .
3.1. Con il primo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. la nullità della sentenza per motivazione apparente.
Censura la sentenza impugnata per non aver considerato che la società era ritornata in bonis, essendo cessato lo stato di liquidazione, e per aver ritenuto che per l’anno 2010 sussiste ssero i presupposti per fruire della disapplicazione della disciplina per le società non operative senza fornire argomentazioni logicogiuridiche e senza valutare che in caso di pignoramento giudiziale il custode agisce in sostituzione della società.
3.2. Con il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. la violazione dell’art. 30, commi 4 -bis e 4ter , legge 23 dicembre 1994, n. 724 e del provvedimento del 14 febbraio 2008 del Direttore dell’Agenzia delle entrate lett. d).
Assume che, essendo cessato in data 17 dicembre 2007 lo stato di liquidazione, la società non poteva beneficiare della disapplicazione della disciplina delle società di comodo, non sussistendone i presupposti; che, in particolare, detti ultimi non potevano ravvisarsi nel pignoramento immobiliare in quanto il custode continuava ad operare per conto della società alla quale facevano capo diritti ed obblighi.
4. In via preliminare, va disposta la riunione per connessione dei tre giudizi. Questi, infatti, oltre a pendere fra le stesse parti, sono correlati ad un’unica vicenda – il pignoramento immobiliare di tutti beni subito dalla contribuente – e pongono la medesima questione della sussistenza, per i tre anni di imposta oggetto di accertamento, dei presupposti per invocare la disapplicazione della disciplina in tema di società di comodo.
Va rammentato in proposito che la riunione delle impugnazioni – che è obbligatoria, ai sensi dell’art. 335 cod. proc, civ. ove investano lo stesso provvedimento – può essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimità, ove esse siano proposte contro provvedimenti diversi ma fra loro connessi, quando la loro trattazione separata prospetti l’eventualità di soluzioni contrastanti, come di fatto accaduto nelle fasi di merito, e siano ravvisabili ragioni di economia processuale ovvero appaiano configurabili profili di unitarietà sostanziale e processuale delle controversie (cfr. Cass. 10/05/2021, n. 12268, Cass. 30/10/2018 n. 27550; Cass., Sez. Un., 23/01/2013, n. 1521, Cass. sez. U, 04/08/2010 n. 18050).
5. E’ utile premettere il quadro normativo in materia di società di comodo, con riferimento agli anni d’imposta (2008, 2009 e 2010) sub iudice .
La disciplina di riferimento è contenuta nell’art. 30 legge n. 724 del 1994 .
Il comma 1, nel testo applicabile ratione temporis, stabilisce che le società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato, si considerano non operativi se l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico, ove prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando le percentuali ivi espressamente previste.
I commi 3 e 3bis , prevedono, poi, che, fermo l’ordinario potere di accertamento, ai fini dell’imposta sul reddito e dell’Irap si presume che la base imponibile non sia inferiore ai valori determinati anch’essi secondo criteri predeterminati.
Il successivo comma 4bis, sempre nel testo applicabile ratione temporis, prevede, tuttavia, che «in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4, la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni ant ielusive ai sensi dell’art. 37 bis, comma 8, del decreto del presidente Repubblica 29 settembre 1973, n. 600» . Originariamente la disposizione faceva riferimento a oggettive situazioni «di carattere straordinario», ma detta ultima locuzione non è più presente dal 1° gennaio 2007, a seguito dell’art. 1, comma 109, lett. h, legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria del 2007).
Infine, il comma 4ter , (inserito dall’art. 1, comma 128 , lett. f) legge 24 dicembre 2007, n. 244) prevede che con provvedimento del Direttore dell’Agenzia possono essere individuate «determinate situazioni oggettive», in presenza delle quali non trovano applicazione le disposizione dettate per le società di comodo.
Il Direttore dell’Agenzia, con decreto n. 23681 del 2008 , in attuazione di detta ultima disposizione, ha previsto la disapplicazione automatica per le seguenti ipotesi: a) società in stato di liquidazione, b) società in stato di fallimento, assoggettate a procedure di liquidazione giudiziaria e di liquidazione coatta amministrativa; società in concordato preventivo e in amministrazione straordinaria. c) società sottoposte a sequestro penale o a confisca nelle fattispecie di cui agli articoli 2-sexies e 2-nonies della legge 31 maggio 1965 n. 575 o in altre fattispecie analoghe in cui il Tribunale in sede civile abbia disposto la nomina di un amministratore giudiziario. d) società che dispongono di immobilizzazioni costituite da immobili concessi in locazione ad enti pubblici ovvero locati a canone vincolato in base alla legge 9 dicembre 1998 n. 431 o ad altre leggi regionali o statali. e) società che detengono partecipazioni in: 1) società considerate non di comodo ai sensi dell’articolo 30 della legge n. 724 del 1994; 2) società escluse dall’applicazione della disciplina di cui al citato articolo 30 anche in conseguenza di accoglimento dell’istanza di disapplicazione; 3)
società collegate residenti all’estero cui si applica il regime dell’articolo 168 t.u.i.r. La disapplicazione opera limitatamente alle predette partecipazioni; f) società che hanno ottenuto l’accoglimento dell’istanza di disapplicazione in relazione ad un precedente periodo di imposta sulla base di circostanze oggettive puntualmente indicate nell’istanza che non hanno subito modificazioni nei periodi di imposta successivi.
Nel medesimo provvedimento si prevede che costituiscono, inoltre, situazioni oggettive che consentono la disapplicazione della disciplina sulle società di comodo per il periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2007, senza necessità di presentare istanza di interpello, anche le nuove fattispecie di esclusione individuate dall’articolo 1, comma 128, lettere b) e c), della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008).
Per completezza va aggiunto che detto provvedimento, nel 2012, è stato integrato con la previsione di ulteriori cause di esclusione automatica (Provv. Direttore Agenzia delle entrate n. 2012/87956).
6. In sintesi, l’applicazione della disciplina delle società di comodo è subordinata all’esito negativo di un test basato su specifici coefficienti matematici, finalizzato ad accertare la condizione di non operatività. Detta ultima si ritiene sussistente quando l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi ordinari, imputati al conto economico, è inferiore a quello dei ricavi figurativi. Si tratta, dunque, di una mera operazione matematica incentrata sull’applicazione di un coefficiente stabilito per legge sul valore di taluni cespiti. La determinazione dell’imponibile è effettuata sulla base di precisi criteri di legge, che escludono qualsiasi discrezionalità deduttiva, imponendosi sia in sede di accertamento, sia di determinazione giudiziale, salva la prova contraria da parte del contribuente. Dal possesso di alcuni beni, che costituisce il fatto noto, si risale al reddito, che rappresenta il fatto ignoto, ascrivibile al contribuente (Cass. 23/11/2021, n. 36365Cass.05/07/2016, n. 13699).
Il mancato superamento della c.d. soglia di operatività fissata dall’art. 30 costituisce presunzione legale, relativa, della natura non operativa della società contribuente e comporta, pertanto, l’applicazione della disciplina ivi dettata. In
particolare, al ricorrere della presunzione sancita dall’art. 30, comma 1, cit. il legislatore correla, con il comma 3, una seconda presunzione, anch’essa relativa, di reddito minimo fondata su coefficienti medi di redditività degli elementi patrimoniali di bilancio (Cass. 24/01/2022, n. 1898).
La disciplina, pertanto, opera su due diversi livelli. Ad un primo livello, fornisce la definizione di non operatività degli enti (c.d. test di operatività), attraverso un confronto tra i proventi derivanti dall’attività d’impresa, emergenti dalla contabilità, e quelli individuati applicando specifici coefficienti al valore dei beni immobili, delle partecipazioni e delle altre immobilizzazioni della società; ad un secondo livello, per i soggetti che non hanno superato il test, fa scattare la presunzione di un reddito minimo, che viene determinato in rapporto al valore dei beni della società, ai quali sono applicati altri coefficienti (Cass. n. 1898 del 2022 cit.).
Come detto, il contribuente ai sensi dell’art. 30, comma 4 -bis, può provare, con onere a suo carico, l’impossibilità, per situazioni oggettive, di conseguire il reddito presunto secondo il meccanismo di determinazione di cui all’art. 30 cit. Se, invece, ricorre una delle situazioni di impossibilità oggettiva predeterminate dal Direttore dell’Agenzia delle entrate con il provvedimento di cui al successivo comma 4ter il contribuente può invocare la disapplicazione automatica.
L ‘interpello disapplicativo di cui al comma 4 -bis non esclude, che lo stesso, come accaduto nella fattispecie in esame, possa proporre comunque la questione sia per la prima volta direttamente in giudizio, senza la previa proposizione dell’interpello, sia dopo che questo sia stato respinto, impugnando direttamente l’atto impositivo. Si è chiarito, infatti, che l’interpello non è una condizione di procedibilità né comporta l’elisione della facoltà per il contribuente di superare la presunzione legale di non operatività sancita dall’art. 30, comma 1, cit. (Cass 23/05/2022, n. 16472).
Sempre in tema di prova contraria, si è chiarito che l’onere probatorio può essere assolto dal contribuente non solo dimostrando che, nel caso concreto, l’esito quantitativo del test di operatività è erroneo o non ha la valenza sintomatica che gli ha attribuito il legislatore, giacché il livello inferiore dei ricavi
è dipeso invece da situazioni oggettive che ne hanno impedito una maggior realizzazione; ma anche dando direttamente la prova proprio di quella circostanza che, nella sostanza, dal livello dei ricavi si dovrebbe presumere inesistente, ovvero dimostrando la sussistenza di un’attività imprenditoriale effettiva, caratterizzata dalla prospettiva del lucro obiettivo e della continuità aziendale, e dunque l’operatività reale della società (cfr Cass. 23/05/2022, n. 16472 Cass. Cass.2/09/2021, n. 26219, Cass. 24/02/2021, n. 4946, cit., in motivazione). Tale conclusione, infatti, è coerente con la formula «salvo prova contraria», inserita già nell’art. 30, comma 1 (applicabile ratione temporis ), a prescindere dal successivo comma 4bis . ed appare logicamente indotta anche dalla considerazione che, se è rilevante la prova contraria rappresentata dalla necessaria dimostrazione della carenza indiziaria degli elementi sintomatici (l’esito quantitativo del test) sui quali la presunzione legale di un fatto (l’inoperatività della società) si fonda, non può non essere rilevante anche la prova contraria che dimostri proprio l’inesistenza dello stesso fatto presunto (ovvero che provi l’operatività della società e l’effettività dell’impresa) (Cass. n. 16472 del 2022 cit.).
Venendo alle questioni oggetto dei tre ricorsi riuniti, non è controverso in fatto che, a decorrere dalla data del 17 dicembre 2007 -e quindi in data antecedente agli anni di imposta dal 2008 al 2010 oggetto di accertamento -la società contribuente non era più in stato di liquidazione. E’ ugualmente incontestato, tuttavia, che tutto il suo patrimonio immobiliare era soggetto a pignoramento da parte di terzi creditori e che era stato nominato un custode giudiziario.
La società, in ragione di tale ultima situazione fattuale, vanta il diritto ad essere esonerata per detti anni dalla disciplina delle società di comodo e a tal fine sostiene la sussistenza dei presupposti di esclusione automatica di cui al provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate di cui al comma 4ter o, comunque, l ‘i mpossibilità di conseguire il reddito per una situazioni oggettive come previsto dal comma 4bis.
Va in primo luogo evidenziato che le situazioni oggettive previste dal Direttore dell’Agenzia , nel provvedimento richiamato dal comma 4ter per la
disapplicazione automatica della disciplina delle società non operative, non possono essere soggette ad un’interpretazione estensiva, o addirittura analogica, delle fattispecie contemplate dal decreto.
E’ la stessa disposizione di cui all’art. 30 cit. che impedisce la disapplicazione automatica per fattispecie diverse da quelle espressamente contemplate dal Direttore dell’Agenzia in quanto dette ultime si pongono in rapporto di specialità rispetto alla regola generale che non prevede alcun automatismo bensì il vaglio dell’Ufficio sulla sussistenza di cause oggettive.
La tesi della società contribuente, volta ad equiparare il pignoramento immobiliare, ancorché di tutto il patrimonio, al sequestro penale o alla confisca, espressamente contemplati nel provvedimento del Direttore dell’Agenzia, va, pertanto, disattesa. Per altro, si tratta , all’evidenza, di situazioni ontologicamente differenti.
10. La questione rilevante si concentra, pertanto, sulla sussistenza delle oggettive situazioni (evidentemente diverse da quelle tipizzate dal Direttore dell’Agenzia delle entrate) contemplate dal comma 4bis che si collocano nell’ambito della prima presunzione di cui all’art. 30 cit. ; infatti, fornendo la relativa prova, la società si sottrae alla classificazione di società non operativa (e quindi all’eventuale applicazione della successiva e concatenata presunzione di reddito minimo), nonostante l’esito, inferiore alla soglia legale di operatività, del test condotto con il criterio quantitativo (Cass. 23/05/2022, n. 16472).
10.1. Sul punto questa Corte ha chiarito che la prova contraria che il contribuente è tenuto a fornire deve essere intesa, non in termini assoluti, quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni di mercato (Cass. 14/06/2024, n. 16600, Cass. 16/05/2023, n. 13328, Cass. 20/06/2018 n. 16204; Cass. 12/02/2019, n. 4019; Cass. 05/04/12/2019, n. 31626; Cass. 01/02/2019, n. 3063; Cass. 28/05/2020, n. 10158).
La stessa può riguardare, oltre che il mancato raggiungimento della soglia di operatività, anche il reddito minimo presunto normativamente, ben potendo la società evidenziare le circostanze che hanno impedito il raggiungimento della soglia minima di componenti presuntivi e che, pertanto, giustificano la minore entità di componenti positivi dichiarati e risultanti dalla contabilità, nonché
contestare le ulteriori presunzioni poste dalla normativa, indicando eventuali condizioni che hanno reso impossibile conseguire l’imponibile minimo (in tal senso, anche la circolare dell’Agenzia delle entrate n. 5/E del 2007).
Ne consegue che «ogni situazione in grado di giustificare la divergenza tra il quantum dichiarato dal contribuente ed il quantum determinato applicando i parametri di legge deve essere presa in considerazione al fine di verificare il superamento delle presunzioni di legge. La caratteristica di «oggettività» delle situazioni che il contribuente può far valere, nella ratio del comma 4-bis dell’art. 30, non ha, infatti, la funzione di distinguere tra cause esterne, che si impongono al soggetto, e cause che derivano (anche solo in parte) da libere determinazioni di quest’ultimo, ma quella di richiedere che quest’ultimo sia in grado di dimostrare oggettivamente la non fittizietà di quanto dichiarato» (Cass. 23/05/2022, n. 16472, Cass. 13/05/2021, n. 12862).
Ciò posto, può passarsi all’esame dei singoli ricorsi, evidenziando , sin da ora, che nelle tre sentenze la C.t.r. non ha fatto buon governo dei principi sopra esposti ed ha reso, comunque, motivazione del tutto inadeguata.
Va ricordato sul punto che l’anomalia motivazionale si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, allorché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia può ravvisarsi oltre che nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», anche nella «motivazione apparente» o in quella «obiettivamente incomprensibile (Cass. Sez. U. 07/04/2014, nn. 8053 e 8054).
Ricorso n. 3870/2017.
12.1. In via preliminare va dichiarato inammissibile il secondo motivo – che denuncia error in procedendo per omessa pronuncia sui motivi di appello proposti dalla controparte -stante l’evidente difetto di interesse.
12.2. E’ fondato, invece, il primo motivo, con cui si denuncia omessa motivazione, restando assorbiti gli ulteriori.
Quanto all’anno 2008, la C.t.p., la cui sentenza è riportata nel ricorso in cassazione (pag. 8 ss.) aveva affermava che la limitazione dell’esclusione automatica nelle sole ipotesi previste nel provvedimento del Direttore
dell’Agenzia non rispondesse a criteri di logica o equitativi perché disciplinava in modo difforme situazioni simili. Di conseguenza, il giudice del primo grado affermando che alle fattispecie espressamente contemplate fosse equiparabile l’ipotesi in cui i beni immobili fossero «sottoposti a sequestro con la finalità della vendita per il soddisfacimento dei debiti sociali» – riteneva che la società dovesse essere esclusa dall’applicazione della disciplina di cui all’art. 30.
La C.t.r. ribaltava detta decisione, limitandosi a rilevare che la società, sino al 2007, era stata sottoposta a sequestro giudiziario ed amministrata da professionisti delegati, ma che nel 2008 era tornata in bonis sicché non era più soggetta «al regime speciale» ed erano applicabili le norme ordinarie di cui agli artt. 2308 e 2484 cod. civ.
La questione controversa, tuttavia, era altra, ovvero, come detto, se la condizione di pignoramento immobiliare, pacificamente esistente, potesse porsi a fondamento della disapplicazione della disciplina dettata per le società di comodo.
La motivazione della C.t.r., per altro, è incomprensibile laddove richiama, ai fini dell’applicabilità delle «norme tributarie ordinarie» , la disciplina degli art. 2308 e 2484 cod. civ., che, invece, riguarda le cause di scioglimento della società e che non è attinente alla fattispecie di giudizio. La stessa, poi, è meramente apparente laddove assoggetta la società al regime delle società di comodo sulla base del ritorno in bonis, senza motivare sulla specifica situazione di fatto allegata dalla contribue nte, ovvero il pignoramento dell’intero patrimonio immobiliare, al fine di escludere la sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta di cui ai commi 4bis dell’art. 30 cit. (Resta, esclusa, invece, per le ragioni già esposte la ricorrenza di una delle ipotesi tipiche contemplate nel provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate ).
Ricorso n. 9526 del 2019.
13.1. Sono fondati il primo ed il secondo motivo, mentre va rigettato il terzo.
Per l’anno di imposta 2009 la C.t.r. ha ritenuto che la situazione rappresentata – descritta in sentenza come «una normale opposizione della società ad alcuni crediti vantati da terzi» – non rientrasse in alcuna delle fattispecie di esclusione o disapplicazione dei coefficienti di reddito minimo di cui
all’art. 30 cit. Ha evidenziato, poi, che il custode nominato dal giudice della esecuzione agisce comunque in sostituzione della società alla quale continuano a far capo tutte le poste attive e passive.
Tali considerazioni – se possono apparire sufficienti a dar conto della insussistenza di una delle fattispecie tipiche di disapplicazione automatica delle disposizioni di cui all’art. 30 cit. previste dal Direttore dell’Agenzia delle entrate con il provvedimento di cui al comma 4ter, in quanto la circostanza prospettata dal contribuente è diversa da quelle ivi contemplate – non appaiono determinanti ai fini di ritenere insussistenti anche i presupposti di cui al comma 4bis. La C.t.r., esclusa la disapplicazione automatica, avrebbe dovuto valutare se la società immobiliare, trovatasi nella condizione di avere tutti gli immobili soggetti a pignoramento, fosse o meno nell’impossibilità (economica come detto) di raggiungere i parametri fissati dalla legge per il test di operatività.
La sentenza, inoltre, appare contraddittoria laddove, nel fare riferimento alla gestione del custode in sostituzione della società, sembra implicitamente confermare l’operatività della società .
Ricorso n. 8481 del 2022.
14.1. Va disattesa l’eccezione di inammissibilità dei motivi di ricorso che la società ha sollevato nel proprio controricorso.
Le Sezioni Unite della Corte hanno chiarito che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ. quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza della Corte EDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 -non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (Cass. Sez. U. 18/03/2022, n. 8950).
Il ricorso dell’Agenzia contiene tutto quanto necessario a porre il giudice di legittimità in condizione di avere completa cognizione della controversia e del
suo oggetto, nonché di cogliere il significato delle censure che, come detto, attengono alla portata della disciplina in materia di società di comodo, con particolare riferimento alle situazioni di fatto che ne giustificano la disapplicazione.
14.2. Entrambi i motivi sono fondati.
La C.t.r. per l’anno di imposta 2010 , muovendo dalla stessa considerazione spesa nella sentenza re lativa all’anno 2009 – ovvero che il patrimonio sociale era amministrato dai custodi giudiziali ai fini della liquidazione -è giunta a conclusioni opposte ed ha speso come unico argomento che, in ragione della gestione dei custodi, non era ravvisabile «alcuna esigenza di tutela dell’occultamento patrimoniale attraverso lo schermo societario» .
Anche detta motivazione non coglie la questione rilevante e si sofferma su un dato di per sé neutro, tanto da essere stato utilizzato dalle due sentenze per sostenere conclusioni opposte.
E’ indubbio che il legislatore, con l’art. 30 cit. ha inteso disincentivare la costituzione di società «di comodo», ovvero il ricorso all’utilizzo dello schema societario per il raggiungimento di scopi eterogenei rispetto alla normale dinamica degli enti collettivi commerciali e che detta disposizione ha la finalità di evitare il dilagare di società spesso prive di un vero e proprio scopo lucrativo e talvolta strutturalmente in perdita, al fine di eludere la disciplina tributaria». L’effetto deterrente vien e perseguito, tuttavia, attraverso la determinazione di standard minimi di ricavi e proventi, correlati al valore di determinati beni aziendali, salva la possibilità per il contribuente di fornire prova contraria.
La C.t.r., invece, sembra sostenere che la presenza di un custode chiamato a gestire gli immobili pignorati faccia , di per sé, venir meno l’esigenza di tutela sottesa a lla disciplina di cui all’art. 30 cit.; comunque la C.t.r., omettendo qualsiasi valutazione di tipo economico, rinviene nella sottoposizione dell’i ntero patrimonio a pignoramento una causa di esclusione automatica che, invece, opera per le sole ipotesi tipiche di cui al provvedimento del diret tore dell’Agenzia delle entrate.
15. In conclusione, le tre sentenze vanno annullate con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, che
dovrà accertare, fornendo congrua motivazione, la sussistenza dei presupposti di cui a ll’art. 30, comma 4 -bis, per disapplicare la disciplina delle società di comodo, restando, viceversa escluso, che il pignoramento immobiliare, ancorché dell’intero patrimonio, possa integrare un’ipotesi di disapplicazione automatica per ricorrenza di una delle fattispecie tipiche individuate dal Direttore dell’Agenzia delle entrate con il provvedimento richiamato nell’art. 30, comma 4ter .
La C.t.r. provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, previa riunione, accoglie i tre ricorsi, nei limiti di cui in motivazione, cassa le sentenze impugnate e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, 2 ottobre 2024.