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Società di comodo: onere della prova e burocrazia

Una società edile, classificata come ‘società di comodo’ dal Fisco per mancato raggiungimento dei ricavi minimi, si era difesa adducendo ritardi burocratici nel rilascio di permessi. La Corte di Cassazione, ribaltando le decisioni di merito, ha stabilito che la semplice scusa della lentezza amministrativa non è sufficiente. Il contribuente ha l’onere di dimostrare con prove specifiche e oggettive le cause, non imputabili alla propria volontà, che hanno impedito l’operatività, rinviando il caso per un nuovo esame.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di Comodo: Burocrazia Non Basta a Giustificare l’Inattività

La disciplina sulla società di comodo rappresenta uno strumento cruciale per l’amministrazione finanziaria nella lotta all’elusione fiscale. Tuttavia, cosa succede quando una società non raggiunge le soglie di operatività a causa di ostacoli oggettivi come la lentezza della burocrazia? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fornisce chiarimenti fondamentali sull’onere della prova che grava sul contribuente in queste situazioni, stabilendo che un generico riferimento a ritardi amministrativi non è sufficiente a superare la presunzione di non operatività.

I Fatti di Causa

Una società a responsabilità limitata operante nel settore edile e i suoi soci si vedevano notificare diversi avvisi di accertamento. L’Agenzia delle Entrate, per gli anni d’imposta 2006 e 2007, aveva classificato l’impresa come società di comodo, poiché non aveva superato i test di operatività previsti dalla legge. Di conseguenza, il Fisco aveva determinato presuntivamente un reddito minimo sia ai fini IRAP per la società, sia ai fini IRPEF per i soci (in regime di trasparenza fiscale).

La società si era difesa sostenendo che la sua inattività era dovuta a cause di forza maggiore: l’impossibilità di avviare un’attività edificatoria su un terreno acquistato anni prima a causa del mancato rilascio delle necessarie autorizzazioni amministrative. Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano accolto le ragioni del contribuente, annullando gli atti impositivi.

L’Agenzia delle Entrate, non soddisfatta, ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando l’errata applicazione della normativa sulle società non operative.

La Prova Contraria nelle Società di Comodo

La normativa sulle società di comodo (art. 30 della L. n. 724/1994) nasce per contrastare l’uso distorto dello strumento societario, utilizzato non per svolgere un’attività d’impresa ma come mero schermo per la gestione di patrimoni personali, al fine di beneficiare di un regime fiscale più favorevole. La legge presume che una società sia “non operativa” quando i suoi ricavi sono inferiori a una soglia minima calcolata in percentuale sul valore dei suoi beni patrimoniali.

Questa presunzione, tuttavia, è relativa (iuris tantum). Il contribuente può fornire la “prova contraria”, dimostrando l’esistenza di “oggettive situazioni” che hanno reso impossibile raggiungere il livello di ricavi e reddito richiesto. È proprio sulla natura e sulla qualità di questa prova che si è concentrata la Corte di Cassazione.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza regionale con rinvio. Il punto centrale della decisione risiede nella critica alla motivazione del giudice di secondo grado, definita “anapodittica” e tautologica. Secondo la Cassazione, la Commissione Tributaria Regionale si è limitata ad accettare la tesi dei contribuenti senza condurre un’effettiva e approfondita disamina delle cause del ritardo.

I giudici di legittimità hanno chiarito che per superare la presunzione di non operatività non è sufficiente addurre genericamente “le lungaggini” dell’iter amministrativo. Il contribuente ha un onere probatorio molto più stringente e deve dimostrare in modo specifico:

1. L’esistenza di vincoli oggettivi: Bisogna accertare se sul suolo edificabile gravassero specifici vincoli (urbanistici, paesaggistici, ecc.) che impedivano l’avvio dei lavori.
2. La consapevolezza dell’imprenditore: Era necessario verificare se tali vincoli fossero già noti alla società al momento dell’acquisto del terreno. Una scelta imprenditoriale consapevole di acquistare un terreno con problemi edificatori non può essere usata come scusante per la successiva inattività.
3. Le azioni intraprese: La società doveva dimostrare quali iniziative concrete aveva messo in atto per superare la situazione di stallo burocratico.

In assenza di queste verifiche, la decisione di merito risulta viziata, poiché non accerta se l’inattività sia effettivamente dipesa da “fattori estranei alla propria sfera di volontà” o, al contrario, da un comportamento non sufficientemente diligente o da una scelta imprenditoriale consapevole.

Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la prova contraria per disapplicare la normativa sulle società di comodo deve essere rigorosa, circostanziata e specifica. Non basta lamentare la lentezza della pubblica amministrazione. L’imprenditore deve dimostrare di aver agito con la diligenza richiesta, provando che l’impossibilità di produrre reddito deriva da situazioni oggettive e non prevedibili o non imputabili a proprie scelte o inerzie. La decisione della Cassazione serve da monito per tutte le imprese che si trovano in situazioni simili, sottolineando la necessità di documentare attentamente ogni passo compiuto per superare gli ostacoli burocratici e di non poter fare affidamento su giustificazioni generiche per sfuggire alla presunzione di non operatività.

Quando una società è presunta ‘di comodo’ dalla legge fiscale?
Una società è presunta ‘di comodo’ quando i suoi ricavi effettivi sono inferiori a una soglia minima determinata dalla legge, calcolata in percentuale sul valore dei beni patrimoniali che possiede. Questo fa scattare la presunzione che non stia svolgendo una reale attività d’impresa.

Cosa deve dimostrare un’impresa per superare la presunzione di essere una società di comodo?
L’impresa deve fornire la ‘prova contraria’, dimostrando l’esistenza di situazioni oggettive, specifiche e indipendenti dalla propria volontà che le hanno impedito di raggiungere le soglie di reddito e ricavi previste dalla legge. Non basta una giustificazione generica.

Perché, nel caso specifico, la semplice lentezza burocratica non è stata considerata una giustificazione valida?
La Corte di Cassazione ha ritenuto insufficiente il generico riferimento alle ‘lungaggini burocratiche’ perché la società non ha fornito prove specifiche. Non ha dimostrato quali fossero gli specifici vincoli sul terreno, se ne fosse a conoscenza al momento dell’acquisto e quali azioni concrete avesse intrapreso per risolvere la situazione di stallo amministrativo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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