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Società di comodo: no al test per meno di 3 anni

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di un contribuente contro il diniego di un rimborso IVA. L’Agenzia delle Entrate considerava la società cedente il credito una ‘società di comodo’. La Corte ha stabilito che il test di operatività per le società di comodo non si applica a imprese con meno di tre esercizi sociali di vita, poiché mancano i presupposti temporali richiesti dalla legge. La sentenza è stata cassata con rinvio.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di comodo: il test di operatività non si applica alle società con meno di tre anni di vita

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione interviene sulla delicata questione delle società di comodo, stabilendo un principio fondamentale riguardo ai presupposti per l’applicazione del cosiddetto ‘test di operatività’. La pronuncia chiarisce che tale meccanismo presuntivo non può essere utilizzato nei confronti di società che abbiano una vita operativa inferiore ai tre anni. Questa decisione rafforza le garanzie per i contribuenti, limitando l’applicazione di una normativa fiscale penalizzante.

I Fatti del Caso: La Richiesta di Rimborso IVA Negata

La vicenda trae origine dalla richiesta di rimborso di un cospicuo credito IVA da parte di una contribuente. Tale credito le era stato assegnato da una società in nome collettivo, posta in liquidazione dopo meno di tre anni dalla sua costituzione. L’Agenzia delle Entrate aveva negato il rimborso, basando la sua decisione sulla presunzione che la società originaria fosse una società di comodo, in quanto non aveva compiuto operazioni attive rilevanti ai fini IVA per diversi anni d’imposta.

La Decisione della Commissione Tributaria Regionale

In secondo grado, la Commissione Tributaria Regionale (CTR) aveva dato ragione all’Amministrazione Finanziaria. I giudici regionali avevano ritenuto applicabile la disciplina delle società di comodo prevista dall’art. 30 della Legge n. 724/1994. Secondo tale normativa, se i ricavi effettivi di una società sono inferiori a un determinato importo minimo presunto, la società si considera ‘non operativa’ e subisce diverse limitazioni, tra cui l’impossibilità di ottenere rimborsi IVA.

Il Ricorso in Cassazione e la questione delle società di comodo

La contribuente ha impugnato la decisione della CTR dinanzi alla Corte di Cassazione, sollevando due motivi principali. Il secondo motivo, risultato decisivo, contestava l’errata applicazione della normativa sulle società di comodo. La difesa sosteneva che il presupposto temporale per l’applicazione del test di operatività non era stato rispettato. La società, infatti, era stata costituita a fine 2005 e messa in liquidazione a metà 2007, avendo quindi operato per un periodo inferiore ai tre esercizi sociali richiesti dalla norma per effettuare il confronto tra ricavi effettivi e presunti.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della contribuente, ritenendo fondato il secondo motivo. Gli Ermellini hanno chiarito un punto cruciale: il ‘periodo di osservazione’ per il test di operatività comprende l’esercizio in verifica e i due precedenti. La legge, quindi, presuppone che la società abbia chiuso almeno due esercizi sociali completi prima di quello oggetto di accertamento.

Nel caso specifico, la società aveva avuto una vita troppo breve per poter essere sottoposta a tale verifica. La CTR ha commesso un errore nel calcolare il triennio basandosi sugli anni d’imposta invece che sugli ‘esercizi sociali’, come richiesto dalla norma. Poiché il presupposto temporale non era soddisfatto, l’intero impianto presuntivo su cui si basava il diniego dell’Agenzia delle Entrate è venuto meno.

La Corte ha inoltre rafforzato la propria decisione richiamando una recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (causa C-341/22), la quale ha stabilito che la normativa nazionale non può negare la qualità di soggetto passivo IVA, e quindi il diritto al rimborso, solo perché le operazioni svolte non raggiungono una determinata soglia economica. Questo principio europeo milita contro un’applicazione eccessivamente restrittiva delle norme nazionali come quella sulle società di comodo.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La decisione della Cassazione ha importanti implicazioni pratiche. Viene ribadito che le norme fiscali che introducono presunzioni legali a svantaggio del contribuente devono essere interpretate in modo rigoroso. Il test per le società di comodo non può essere applicato ‘creativamente’ dall’Amministrazione Finanziaria, ma richiede la sussistenza di tutti i presupposti di legge, incluso quello temporale.

Di conseguenza, per le società di nuova costituzione, la qualifica di ‘società di comodo’ non potrà essere presunta fino al completamento del terzo esercizio sociale. Fino a quel momento, se l’Agenzia delle Entrate intende contestare la non operatività di una società, dovrà farlo fornendo prove concrete, senza potersi avvalere del comodo meccanismo presuntivo previsto dalla legge.

Una società può essere considerata di comodo se ha operato per meno di tre anni?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il test di operatività previsto per le società di comodo non è applicabile se l’impresa non ha completato almeno due esercizi sociali anteriori a quello oggetto di accertamento. Pertanto, una società con meno di tre anni di vita non può essere soggetta a tale presunzione legale.

Cosa succede se il test per le società di comodo non è applicabile per mancanza del requisito temporale?
Se il test non è applicabile, l’Amministrazione Finanziaria non può avvalersi del meccanismo presuntivo che qualifica automaticamente la società come ‘di comodo’. Per contestare la non operatività e negare diritti come il rimborso IVA, l’Agenzia dovrà fornire prove concrete e specifiche dell’assenza di un’effettiva attività economica.

La normativa europea sull’IVA influenza la disciplina nazionale delle società di comodo?
Sì. La Corte di Cassazione ha richiamato una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale afferma che i principi di neutralità e proporzionalità dell’IVA ostano a normative nazionali che privano un soggetto del diritto alla detrazione o al rimborso solo perché le sue operazioni sono considerate economicamente insufficienti. Questo principio europeo supporta un’interpretazione meno restrittiva delle norme sulle società di comodo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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