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Società di comodo: no al diniego rimborso IVA

Una società in liquidazione si è vista negare un rimborso di credito IVA perché considerata una ‘società di comodo’ per non aver superato il test di operatività. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, stabilendo che, in base ai principi del diritto dell’Unione Europea, la qualifica di ‘società di comodo’ non è sufficiente a negare il diritto alla detrazione o al rimborso dell’IVA. Tale diritto può essere limitato solo in caso di frode o abuso, che devono essere provati dall’amministrazione finanziaria.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di comodo: la Cassazione conferma il diritto al rimborso IVA

La qualifica di società di comodo non può, da sola, giustificare il diniego del rimborso di un credito IVA. Questo è il principio cardine riaffermato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 2752/2025, che si allinea pienamente alla più recente giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. La pronuncia chiarisce che il diritto alla detrazione e al rimborso dell’IVA è un pilastro del sistema fiscale europeo e può essere compresso solo in presenza di frodi o abusi, non sulla base di presunzioni legali come il mancato superamento del test di operatività.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla richiesta di rimborso di un credito IVA avanzata da una società in liquidazione per l’anno d’imposta 2014. L’Agenzia delle Entrate respingeva la richiesta, sostenendo che la società fosse da considerarsi ‘non operativa’ ai sensi dell’art. 30 della Legge n. 724/1994, non avendo superato il cosiddetto ‘test di operatività’.

La società contribuente impugnava il diniego e otteneva ragione sia in primo grado (Commissione Tributaria Provinciale) sia in appello (Commissione Tributaria Regionale). I giudici di merito avevano riconosciuto l’esistenza e l’inerenza del credito IVA all’attività svolta, ritenendo irrilevante la questione della non operatività. L’Agenzia delle Entrate, insoddisfatta, proponeva quindi ricorso per Cassazione.

La disciplina delle Società di Comodo e la supremazia del Diritto UE

La normativa italiana sulle società di comodo prevede che le imprese che non raggiungono un determinato livello di ricavi, presunto in base al valore dei loro beni patrimoniali, subiscano un regime fiscale penalizzante. Una delle conseguenze più significative è l’impossibilità di chiedere a rimborso o utilizzare in compensazione l’eccedenza di credito IVA.

La Corte di Cassazione, esaminando i motivi del ricorso, ha rigettato la tesi dell’Agenzia delle Entrate facendo leva sull’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia UE (sentenza C-341/22). Secondo i giudici europei, la normativa di uno Stato membro non può negare la qualità di soggetto passivo IVA, né il conseguente diritto alla detrazione, a un’impresa solo perché questa non raggiunge una soglia di ricavi predeterminata a livello nazionale.

Il Principio di Neutralità dell’IVA

Il fulcro della decisione risiede nel principio fondamentale di neutralità dell’IVA. Tale principio garantisce che l’imprenditore possa detrarre l’IVA assolta sugli acquisti di beni e servizi necessari alla sua attività, trasferendo così il carico fiscale unicamente sul consumatore finale. Negare questo diritto sulla base di una presunzione di non operatività viola questo principio cardine.

La Corte UE ha chiarito che il diritto alla detrazione può essere negato solo se le autorità fiscali dimostrano, sulla base di elementi oggettivi, che tale diritto è invocato in modo fraudolento o abusivo. Il semplice fatto di non raggiungere una soglia di reddito non costituisce, di per sé, prova di abuso o evasione.

Le Motivazioni

La Cassazione ha concluso che l’articolo 30 della Legge n. 724/1994 si pone in conflitto con gli articoli 9 e 167 della Direttiva IVA europea. Di conseguenza, il giudice nazionale ha il dovere di disapplicare la norma interna contrastante.

Nel caso specifico, era pacifico che il credito IVA fosse esistente e inerente all’attività economica effettivamente svolta dalla società, anche se in fase di liquidazione. La Corte ha ritenuto irrilevante la questione del mancato superamento del test di operatività e la mancata presentazione dell’istanza di interpello disapplicativo. Era sufficiente accertare che la società fosse un soggetto passivo che esercitava un’attività economica e che vi fosse un nesso diretto e immediato tra gli acquisti che avevano generato il credito e l’attività stessa. Pertanto, il giudice di appello aveva correttamente riconosciuto il diritto della società al rimborso dell’IVA.

Le Conclusioni

L’ordinanza rappresenta un punto fermo a tutela dei contribuenti. Stabilisce che le presunzioni legali previste dalla normativa sulle società di comodo non possono prevalere sui principi fondamentali del diritto europeo in materia di IVA. Per l’amministrazione finanziaria, ciò significa che non è più possibile negare automaticamente rimborsi IVA basandosi sul test di operatività; sarà invece necessario dimostrare concretamente l’esistenza di un’operazione fraudolenta o abusiva. Questa decisione offre maggiore certezza giuridica alle imprese, specialmente a quelle che attraversano fasi particolari della loro vita, come start-up, ristrutturazioni o liquidazioni, durante le quali è plausibile non raggiungere soglie di ricavi predefinite.

Una società qualificata come ‘società di comodo’ può vedersi negato il rimborso di un credito IVA?
No. Secondo la Corte di Cassazione, in linea con la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, il mancato superamento del test di operatività non è di per sé una ragione sufficiente per negare il diritto al rimborso IVA. Tale diritto può essere negato solo se l’amministrazione finanziaria prova l’esistenza di una frode o di un abuso.

L’istanza di interpello è obbligatoria per superare la presunzione di non operatività ai fini IVA?
No. La Corte ha chiarito che l’interpello disapplicativo è una facoltà e non una condizione di procedibilità. Il contribuente può sempre dimostrare in sede giudiziaria la sussistenza delle condizioni per disapplicare la normativa antielusiva e ottenere il rimborso, senza aver preventivamente presentato l’interpello.

Qual è l’impatto della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE sulla normativa italiana delle società di comodo?
L’impatto è determinante. La Corte di Cassazione ha stabilito che la normativa italiana (in particolare l’art. 30 della Legge n. 724/1994) è in conflitto con la Direttiva IVA europea. Di conseguenza, i giudici nazionali devono disapplicare la legge italiana che prevede il diniego automatico del rimborso IVA per le società di comodo, in quanto viola i principi di neutralità e proporzionalità dell’imposta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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