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Società di comodo: no al diniego IVA senza frode

La Corte di Cassazione ha annullato il diniego di un rimborso IVA a un contribuente, cessionario del credito di una società di comodo. Applicando una sentenza della Corte di Giustizia UE, ha stabilito che la qualifica di ‘società non operativa’, basata solo su ricavi insufficienti, non può giustificare la perdita del diritto alla detrazione o al rimborso IVA, a meno che non sia provata una frode o un abuso.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di comodo e rimborso IVA: la Cassazione applica i principi UE

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale in materia fiscale, stabilendo che la qualifica di società di comodo non è sufficiente per negare automaticamente il diritto al rimborso del credito IVA. La decisione, in linea con il diritto dell’Unione Europea, impone all’amministrazione finanziaria di provare l’esistenza di una frode o di un abuso, non potendosi basare su semplici presunzioni legate a ricavi insufficienti.

Il caso: un diniego di rimborso IVA basato su presunzioni

Il caso ha origine dalla richiesta di rimborso di un credito IVA da parte di un contribuente, che aveva acquisito tale credito da una S.r.l. in liquidazione. L’Agenzia delle Entrate aveva negato il rimborso, sostenendo che la società cedente fosse una “società non operativa” o “in perdita sistematica” per un quinquennio, rientrando così nella categoria delle società di comodo secondo la normativa nazionale. Tale qualifica, secondo l’Ufficio, comportava la perdita del diritto al rimborso del credito IVA. Sia in primo che in secondo grado, i giudici tributari avevano dato ragione all’amministrazione finanziaria. Il contribuente ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

La disciplina delle società di comodo e il contrasto con il diritto UE

La legislazione italiana (in particolare l’art. 30 della Legge n. 724/1994) presume che una società sia “di comodo” quando i suoi ricavi sono inferiori a una certa soglia calcolata sul valore dei suoi beni. Questa presunzione legale ha conseguenze fiscali molto pesanti, tra cui l’impossibilità di utilizzare o chiedere a rimborso l’eccedenza di credito IVA. Tuttavia, questa impostazione si scontra con i principi fondamentali del sistema IVA dell’Unione Europea, come il principio di neutralità fiscale e di proporzionalità.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (con la sentenza C-341/22) ha chiarito che la qualità di soggetto passivo IVA e il conseguente diritto alla detrazione non possono essere negati solo perché un’impresa non raggiunge una determinata soglia di reddito. L’unico presupposto è l’effettivo esercizio di un’attività economica, indipendentemente dal suo volume o dai suoi risultati. Limitare questo diritto è possibile solo in presenza di prove concrete di frode o abuso.

Le motivazioni della Cassazione: la disapplicazione della norma nazionale

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del contribuente, annullando la sentenza precedente e rinviando la causa a un’altra sezione della Corte di giustizia tributaria. Il ragionamento della Suprema Corte si fonda interamente sull’applicazione dei principi sanciti dalla Corte di Giustizia UE.

I giudici hanno stabilito che la norma nazionale, nella parte in cui prevede una perdita automatica del credito IVA basata su una presunzione di non operatività legata ai ricavi, deve essere disapplicata perché contraria alla Direttiva IVA 2006/112/CE. Il diritto alla detrazione dell’IVA è un pilastro del sistema comune e non può essere compresso da una presunzione legale che non sia idonea a dimostrare un comportamento fraudolento o abusivo.

La Cassazione ha quindi specificato che il giudice del rinvio dovrà effettuare una nuova valutazione dei fatti, verificando non più la sufficienza dei ricavi, ma se:
1. La società ha effettivamente esercitato un’attività economica (produzione, commercializzazione, prestazione di servizi) per ricavarne introiti stabili.
2. I beni e servizi per cui è stata assolta l’IVA sono stati impiegati per operazioni soggette a imposta.
3. L’operazione non si inserisce in un contesto di frode o abuso, inteso come “realizzazione di una costruzione artificiosa”.

In sostanza, si sposta l’onere della prova sull’amministrazione finanziaria, che non potrà più limitarsi a invocare la disciplina delle società di comodo, ma dovrà dimostrare l’intento elusivo o fraudolento.

Le conclusioni: cosa cambia per le società di comodo?

Questa ordinanza rappresenta una vittoria significativa per i diritti dei contribuenti. Afferma con chiarezza che lo status di società di comodo, determinato secondo i criteri presuntivi della legge italiana, non può di per sé giustificare il disconoscimento del credito IVA. Per negare il diritto al rimborso, al riporto o alla compensazione del credito, l’Agenzia delle Entrate deve fornire la prova concreta e oggettiva di un comportamento fraudolento o abusivo da parte della società. Viene così ripristinato il primato della sostanza sulla forma e della realtà effettiva dell’attività economica sulle presunzioni legali, in piena conformità con il diritto europeo.

Una società può perdere il diritto al rimborso IVA solo perché è qualificata come “società di comodo” per scarsi ricavi?
No. Secondo la Corte di Cassazione, che applica i principi del diritto dell’Unione Europea, la qualifica di “società di comodo” basata unicamente su un livello di ricavi insufficiente non è una ragione valida per negare automaticamente il diritto al rimborso o alla detrazione dell’IVA.

In quali casi può essere negato il diritto alla detrazione dell’IVA a una società?
Il diritto alla detrazione dell’IVA, un principio fondamentale del sistema comune europeo, può essere limitato solo se l’amministrazione finanziaria dimostra, sulla base di elementi oggettivi, che tale diritto è stato invocato in un contesto di frode o di abuso.

Cosa deve fare il giudice quando una legge nazionale sull’IVA è in contrasto con una direttiva europea?
Il giudice nazionale ha l’obbligo di disapplicare la legge interna che contrasta con i principi del diritto dell’Unione Europea. Nel caso specifico, la norma italiana che prevede la perdita automatica del credito IVA per le società di comodo deve essere disapplicata in favore dei principi della direttiva IVA europea.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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