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Società di comodo: no al blocco della detrazione IVA

Una società era stata qualificata come “società di comodo” dall’Amministrazione Finanziaria, con conseguente negazione del diritto a detrarre il credito IVA. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’azienda, stabilendo un principio fondamentale: la normativa nazionale che si basa su criteri meramente presuntivi per identificare una società di comodo e negare la detrazione IVA è in contrasto con il diritto europeo. Citando una sentenza della Corte di Giustizia UE, la Cassazione ha chiarito che per negare tale diritto, l’autorità fiscale deve fornire la prova concreta di un’operazione fraudolenta o abusiva, non potendosi basare solo su un reddito insufficiente.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di comodo: la Cassazione adegua la legge italiana al diritto UE sulla detrazione IVA

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha segnato un punto di svolta fondamentale per la disciplina delle società di comodo. Allineandosi ai principi del diritto europeo, la Corte ha stabilito che non è più possibile negare automaticamente il diritto alla detrazione dell’IVA a una società solo perché non supera i test di operatività previsti dalla normativa nazionale. È necessaria una prova concreta di abuso o frode da parte dell’Amministrazione Finanziaria.

I Fatti del Caso

Una società a responsabilità limitata, proprietaria di un’azienda alberghiera, si è vista recapitare un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate. L’accusa era quella di essere una “società di comodo” per l’anno d’imposta 2006. Secondo l’Amministrazione, la società non aveva superato il cosiddetto “test di operatività”, in quanto i ricavi derivanti dall’affitto della sua unica azienda non raggiungevano la soglia minima presunta dalla legge rispetto al valore dei propri beni patrimoniali.

Di conseguenza, l’ufficio fiscale aveva negato alla società il diritto di utilizzare un credito IVA, recuperando l’importo che era stato indebitamente compensato. La società ha impugnato l’atto, vincendo in primo grado ma perdendo in appello davanti alla Commissione Tributaria Regionale. Quest’ultima aveva ritenuto che il canone di locazione fosse incongruo rispetto ai prezzi di mercato e che la società non avesse fornito giustificazioni economiche valide, avvalorando così la tesi della non operatività.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla società di comodo

La Corte di Cassazione ha ribaltato completamente la decisione di appello, accogliendo il ricorso della società. Il punto centrale della decisione è l’impatto di una recente e dirimente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (causa C-341/22).

I giudici supremi hanno chiarito che la normativa italiana sulle società di comodo (art. 30 della Legge n. 724/1994), nella parte in cui esclude il diritto alla detrazione dell’IVA basandosi su dati meramente quantitativi e presuntivi, si pone in contrasto con i principi fondamentali del diritto europeo, in particolare con il principio di neutralità dell’IVA.

La Corte ha quindi affermato che tale normativa nazionale deve essere disapplicata. Per poter legittimamente negare a un’impresa il diritto alla detrazione dell’IVA, non è sufficiente classificarla come “di comodo” sulla base di un test automatico. L’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di dimostrare, sulla base di elementi oggettivi e concreti, che il soggetto passivo ha commesso un’evasione, una frode o un abuso del diritto.

Le Motivazioni della Sentenza

La motivazione della Cassazione si fonda sul primato del diritto dell’Unione Europea. La direttiva IVA (2006/112/CE) e i principi di neutralità e proporzionalità sono chiari: il diritto alla detrazione è un pilastro del sistema comune dell’IVA e può essere limitato solo in circostanze eccezionali.

La normativa italiana, invece, introduceva una presunzione quasi assoluta di non operatività, che portava alla rottura del principio di neutralità. Collegare il diritto alla detrazione a dati puramente quantitativi (i ricavi presunti) senza un accertamento concreto di un comportamento elusivo o fraudolento è contrario alla logica del sistema IVA.

La Corte di Giustizia UE aveva specificato che, sebbene la lotta a frodi ed abusi sia un obiettivo legittimo, le misure nazionali non devono andare oltre quanto necessario per raggiungerlo. Negare la detrazione basandosi su una presunzione legale, senza verificare se la società abbia effettivamente agito come soggetto passivo (cioè abbia svolto, anche in minima parte, un’attività economica) o se abbia posto in essere uno schema abusivo, è una misura sproporzionata.

In questo caso, le contestazioni mosse alla società si basavano interamente sul meccanismo presuntivo dell’art. 30, senza che l’Amministrazione Finanziaria avesse mosso accuse specifiche e provate di assenza della qualifica di soggetto passivo, di abuso del diritto o di evasione dell’IVA.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza ha implicazioni di vasta portata. Di fatto, depotenzia significativamente l’automatismo della normativa sulle società di comodo ai fini IVA. Le imprese non potranno più vedersi negare la detrazione o il rimborso del credito IVA solo perché i loro ricavi sono inferiori a una soglia di legge.

L’onere della prova si sposta in modo netto sull’Amministrazione Finanziaria, che dovrà condurre indagini approfondite e dimostrare, con prove concrete, l’esistenza di un intento fraudolento o abusivo. Questo rafforza le garanzie per i contribuenti e allinea la prassi italiana agli standard europei, tutelando il principio fondamentale della neutralità dell’imposta sul valore aggiunto. La sentenza impugnata è stata quindi cassata con rinvio a un’altra sezione della Corte di giustizia di secondo grado, che dovrà riesaminare il caso attenendosi a questi principi.

Una società può essere definita ‘di comodo’ ai fini IVA solo perché i suoi ricavi sono inferiori a una soglia presunta dalla legge?
No. Secondo la Corte di Cassazione, alla luce del diritto europeo, i criteri meramente presuntivi e quantitativi non sono sufficienti. È necessario un accertamento concreto del comportamento della società.

È legittimo negare la detrazione dell’IVA a una società qualificata come ‘di comodo’ sulla base di un test automatico?
No. La Corte ha stabilito che negare il diritto alla detrazione IVA basandosi unicamente sul mancato superamento di un test di operatività presuntivo è contrario al principio di neutralità dell’IVA e al diritto dell’Unione Europea. La norma nazionale che prevede ciò deve essere disapplicata.

Cosa deve dimostrare l’Amministrazione Finanziaria per negare legittimamente il diritto alla detrazione IVA a una società?
L’Amministrazione Finanziaria deve dimostrare, sulla base di elementi oggettivi e concreti, che la società ha agito in modo fraudolento o abusivo, oppure che non possiede la qualifica di soggetto passivo IVA. La semplice insufficienza dei ricavi non costituisce una prova sufficiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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