Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7813 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7813 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17920/2016 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE EMAIL
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE I DI NAPOLIAGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE I DI NAPOLI
-intimati-
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-resistente- avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA n. 853/2016 depositata il 02/02/2016. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/01/2025
dalla Consigliera NOME COGNOME
Rilevato che:
La Commissione Tributaria Regionale della Campania ( hinc: CTR), con la sentenza n. 853/2016 depositata in data 02/02/2016, ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza n. 14093/2014 della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli. Il giudice di prime cure aveva accolto il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE contro l’avviso di accertamento IVA per l’anno 2006, per l’importo di Euro 1.563,00, emesso successivamente all’esito negativo dell’interpello ex art. 37 bis, comma 8, d.P.R. 29/09/1973, n. 600 proposto dalla contribuente per vedersi riconosciuta la possibilità di essere esonerata dall’obbligo di dichia rare il reddito minimo desunto dal calcolo degli indici, secondo quanto previsto dall’art. 30 legge 23/12/1994, n. 724.
1.1. Diversamente dal giudice di primo grado la CTR ha ritenuto che la società contribuente non avesse superato il test di verifica dell’operatività in base ai dati dichiarati, né che si fosse adeguata al risultato reddituale calcolato. Per l’anno 2006 era stato , quindi, emesso l’avviso di accertamento relativo alla determinazione del reddito presunto ed era stato rilevato che, nello stesso periodo, la
società avesse maturato un credito IVA indebitamente compensato nel corso dell’anno 2007, per un importo di Euro 1.563,00 , che aveva indotto l’ufficio a recuperare l’importo indebitamente compensato oggetto della presente controversia, in quanto alle società di comodo che non hanno superato il test di verifica dell’operatività è preclusa la possibilità di compensare il credito IVA emergente dalla dichiarazione annuale ai sensi dell’art. 30, comma 4, legge n. 724 del 1994.
1.2. La CTR, partendo dalle vicende storiche della società contribuente (che aveva concesso in locazione alla RAGIONE_SOCIALE l’intera azienda con l’immobile situato in Forio d’Ischia), ha evidenziato l’omogeneità della compagine sociale delle due società (in quanto il sig. NOME COGNOME già amministratore di RAGIONE_SOCIALE era anche socio e amministratore di RAGIONE_SOCIALE), il mancato riscontro del canone del contratto di locazione (rinnovato in data 29/05/2006 per ulteriori sei anni) con i prezzi di mercato e la circostanza che la contribuente avesse risposto ai rilievi dell’ufficio, limitandosi a evocare la libertà di gestione imprenditoriale, senza opporre valide argomentazioni alle motivazioni economiche.
1.3. Il giudice di secondo grado ha, quindi, ritenuto verosimile che il canone di locazione concordato non corrispondesse ai prezzi di mercato, così come ha ritenuto non spiegabile la circostanza che al momento del rinnovo del contratto di locazione, dopo nove anni, non fosse stato concordato un canone effettivamente corrispondente ai prezzi di mercato. Con riferimento alla libertà economica -evocata dalla società contribuente a giustificazione delle sue scelte -la CTR ha evidenziato come « libertà di iniziativa» non significhi « libertà assoluta », nel senso che ciascuno può agire arbitrariamente, perché devono ritenersi sempre consentite opportune limitazioni, soprattutto quando i risvolti sociali siano oggetto di tutela
costituzionale, come nel caso della contribuzione fiscale in ragione della capacità contributiva ex art. 53 Cost. Nel caso in esame la condotta della contribuente è in palese contrasto con i normali criteri di economicità dell’attività imprenditoriale, co n il comune buon senso e con le regole basilari della ragionevolezza, risultando, quindi, priva di una giustificazione razionale che non sia quella di eludere il precetto tributario.
Contro la sentenza della RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso in cassazione con due motivi.
L’Agenzia delle Entrate non ha depositato il controricorso, limitandosi a costituirsi al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza.
…
Considerato che:
Con il primo motivo è stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 30, comma 1, legge 23/12/199 4, n. 724, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, c.p.c.
1.1. La ricorrente rileva che l’art. 30 cit. si fonda sul fatto che alcuni beni patrimoniali siano in grado di generare, oggettivamente, un livello minimo di reddito. Si tratta, quindi, di un metodo presuntivo di determinazione del reddito imponibile, applicato alle società commerciali indicate nella norma.
La disciplina opera, quindi, su due livelli. Il primo livello definisce la non operatività, che si verifica attraverso il confronto tra i proventi di impresa risultanti dalla contabilità e quelli individuati applicando specifici coefficienti al valore di beni immobili, partecipazioni e altre immobilizzazioni della società. Il secondo livello -per chi abbia superato il test di operatività -attiene alla presunzione di un reddito minimo, determinato in rapporto al valore dei beni sopra citati, cui non sono applicabili altri coefficienti. Tale reddito minimo è, poi, alla
base dell’ulteriore presunzione di un imponibile minimo ai fini IRAP, mentre per quanto riguarda l’IVA si prevedono limitazioni all’uso dell’eccedenza di credito. La finalità della disciplina è quella di colpire l’uso dello schermo societario per l’intesta zione di beni non funzionali allo svolgimento dell’attività d’impresa e, quindi, per il possesso e/o la gestione passiva, in particolare di beni immobili, con finalità antielusiva e antievasiva. In tale quadro normativo l’interpello disapplicativo consente al contribuente di esplicitare situazioni oggettive, come ad es. l’impossibilità di modificare i contratti di locazione in corso.
1.2. La ricorrente ha, quindi, contestato la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’obbligo di motivazione su un punto fondamentale della controversia, con particolare riferimento alla parte in cui la CTR ha ritenuto RAGIONE_SOCIALE come società non operativa o di comodo. Sul punto il giudice di prime cure -nonostante si fosse espresso nel senso della piena operatività della società contribuente e dell’assenza di intenti fraudolenti sottesi all’operazione contrattuale non ha statuito alcunch é sull’art. 30 legge n. 724 del 1994, sebbene oggetto di uno specifico motivo di appello. La CTR avrebbe, invece, dovuto valutare, in via preliminare, il presunto abuso della persona giuridica e precisare, quindi, perché il contratto di affitto d’azienda RAGIONE_SOCIALE consentisse di ritenere che l’immobile adibito ad albergo non fosse funzionale all’attività d’impresa svolta, ma al godimento, diretto o indiretto, dei soci.
Nel caso in esame RAGIONE_SOCIALE aveva concesso già da nove anni (prima del 2006) l’azienda a terzi e la circostanza che il sig. COGNOME detenesse una partecipazione nella società di gestione non toglie che la disponibilità dell’immobile e dell’azienda fo sse in capo alla società stessa e non al socio, essendo, peraltro, circostanza non contestata
che l’Hotel fosse in funzione. La corretta verifica delle condizioni di non operatività ex art. 30 legge n. 794 del 1994 avrebbe, quindi, richiesto il confronto tra i componenti positivi effettivamente realizzati dall’impresa nell’ultimo triennio e i compo nenti positivi minimi determinati in base ai coefficienti previsti dalla norma. Peraltro, l’interpello disapplicativo è stato introdotto dal d.l. n. 223 del 2006, che ha innalzato proprio i coefficienti per determinare la non operatività. Tale norma è successiva alla contrattualizzazione del nuovo canone di affitto rinnovato nel maggio 2006, per cui la valutazione di non operatività da parte dell’Agenzia delle Entrate è stata fatta secondo il vecchio canone non aggiornato, poiché la decorrenza contrattuale è successiva al primo trimestre 2006 e il periodo di riferimento, per quanto non ne sia stato dato conto nell’accertamento , avrebbe dovuto essere il triennio 2004-2006. La CTR si appiattisce, quindi, sulle considerazioni svolte dall’Agenzia delle Entrate, senza precisare perché la RAGIONE_SOCIALE fosse da considerare una società a schermo.
Con il secondo motivo è stata censurata la violazione e falsa applicazione dell’art. 30, comma 4 bis, legge n. 724 del 1994, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. e quale omessa motivazione in relazione all’art. 2697 c.c. e 116 c.p.c.
2.1. La ricorrente denuncia che la sentenza impugnata non abbia fornito un iter argomentativo che porti a giustificare il superamento delle prove contrarie offerte dalla contribuente rispetto alle ipotesi normativamente predeterminate. Rileva, poi, che il d.l. n. 223 del 2006 ha completamente stravolto la procedura di accertamento prevista dall’art. 30 legge n. 724 del 1994. Prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 223 del 2006 il quarto comma dell’art. 30 cit. prevedeva che l’accertamento del reddito delle società non operative dovesse avvenire, pena la nullità, previa richiesta al contribuente di
chiarimenti da inviare per iscritto entro sessanta giorni dalla data di ricezione della richiesta. Gli uffici dovevano, quindi, attivare un contraddittorio preventivo. Diversamente il comma 4bis dell’art. 30 cit. introdotto dal d.l. n. 223 del 2006 prevede che, in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi, nonché del reddito determinati ai sensi dell’art. 30 stesso ovvero n on hanno consentito di eseguire operazioni rilevanti ai fini IVA, il soggetto interessato può chiedere la disapplicazione delle disposizioni antielusive ai sensi dell’art. 37 bis, comma 8, d.P.R. n. 600 del 1973.
2.2. Rileva che la motivazione sul punto è assente e che costituisce una mera petizione di principio l’affermazione secondo cui la RAGIONE_SOCIALE non avrebbe dimostrato che il canone applicato fosse rispondente ai prezzi di mercato, tenuto conto anche della consistenza dell’albergo, della sua ubicazione in una nota località turistica e del fatto che l’attività recettiva non fosse stagionale. Vi è, poi, un’erronea valutazione delle prove offerte nella parte in cui la CTR afferma come non sia comprensibile perché, alla scadenza del primo contratto, non fosse stato pattuito un nuovo contratto di locazione a condizioni più vantaggiose. Tanto più che mentre il primo contratto aveva un canone di cinquanta milioni di lire, corrispondenti a Euro 25.822,84, il secondo canone era pari a Euro 33.000, con un adeguamento mensile da Euro 2.152 e Euro 2.750.
Considerato anche che, tra le ipotesi indicate nella circolare n. 5 del 02/02/2007 dell’Agenzia delle Entrate e invocate nell’istanza disapplicativa del contribuente, vi è anche quella relativa alla dimostrata impossibilità di modificare i contratti di locazione in corso, la CTR, ad avviso della parte ricorrente, avrebbe dovuto non tanto affrontare l’astratto mancato rispetto dei parametri quantitativi o delle condizioni formali poste dal legislatore, quanto piuttosto
verificare, alla luce delle risultanze probatorie acquisite, perché gli elementi sostanziali addotti dalla società ricorrente non fossero idonei a dimostrare l’effettiva sussistenza delle circostanze esimenti.
2.3. La stessa Agenzia delle Entrate (circolare 7/E/2013, par. 6) afferma che la disciplina è stata concepita per contrastare società che, indipendentemente dall’oggetto sociale adottato, gestiscono il proprio patrimonio essenzialmente nell’interesse dei soci, senza esercitare un’effettiva attività d’impresa. Difatti, chi affitta l’azienda perde il possesso dei beni e non si può sospettare che questi ultimi siano fruiti surrettiziamente dai soci, ipotesi che si verifica, invece, per le società che detengono immobili usati quali abitazioni o per le vacanze.
L’affitto dell’unica azienda a terzi rende, inoltre, inapplicabili alla fattispecie gli Studi di Settore che, attraverso il meccanismo delle società di comodo ritornano in considerazione quali ricavi presunti. Con riferimento alla contestazione relativa alla pattuizione di un canone inferiore a supposti parametri di mercato, la parte ricorrente obietta che questi sono ragguagliati alle locazioni immobiliari e non all’affitto d’azienda. Quest’ultimo non è parametrabile ai valori di mercato, poiché comprende assets diversi oltre all’immobile e i criteri di scelta dell’impresa operano valutazioni che prescindono dal mero ricavo economico.
I motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente e sono, solo in parte, fondati.
3.1. È da ritenere infondata la censura relativa al vizio di motivazione articolata, in entrambi i motivi di ricorso, evocando l’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.
Questa Corte ha, infatti, precisato che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono
più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., 03/03/2022, n. 7090).
È stato, inoltre, precisato che, nella nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., il sindacato di legittimità sulla motivazione è ridotto al “minimo costituzionale”, restando riservata al giudice del merito la valutazione dei fatti e l’apprezzamento delle risultanze istruttorie, ma la Corte di cassazione può verificare l’estrinseca correttezza del giudizio di fatto sotto il profilo della manifesta implausibilità del percorso che lega la verosimiglianza delle premesse alla probabilità delle conseguenze e, pertanto, può sindacare la manifesta fallacia o non verità delle premesse o l’intrinseca incongruità o contraddittorietà degli argomenti, onde ritenere inficiato il procedimento inferenziale ed il risultato cui esso è pervenuto, per escludere la corretta applicazione della norma entro cui è stata sussunta la fattispecie (Cass., 05/07/2017, n. 16502).
3.2. In relazione alla contestazione inerente alla violazione dell’art. 30 legge n. 724 del 1994 nel caso di specie viene in rilievo una ripresa a titolo di IVA. In sostanza, dalla lettura del ricorso (pag. 4) risulta che Pechino s.r.lRAGIONE_SOCIALE a seguito del rigetto dell’istanza disapplicativa ex art. 30, comma 4-bis, legge n. 724 del 1994, non si è adeguat a e ha utilizzato il suo credito IVA per l’anno di
riferimento nel quale l’amministrazione finanziaria ha emesso l’avviso di accertamento impugnato.
Sul punto occorre rilevare, in via preliminare, che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza 07/03/2024, (C341/22, RAGIONE_SOCIALE ), ha stabilito in sede pregiudiziale che: 1) l’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che esso non può condurre a negare la qualità di soggetto passivo dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) al soggetto che, nel corso di un determinato periodo d’imposta, effettui operazioni rilevanti ai fini dell’IVA il cui valore economico non raggiunga la soglia fissata da una normativa nazionale, la quale soglia corrisponde ai ricavi che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui tale persona dispone; 2) l’articolo 167 della direttiva 2006/112 nonché i principi di neutralità dell’IVA e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale in forza della quale il soggetto passivo è privato del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte, a causa dell’importo, considerato insufficiente, delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA effettuate da tale soggetto passivo a valle.
La CGUE cit. (§§ 32, 33 e 34) ha rilevato che: « In secondo luogo, occorre tuttavia osservare che il diritto alla detrazione dell’IVA può essere negato al soggetto passivo qualora sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che esso è invocato fraudolentemente o abusivamente. Occorre infatti ricordare che la lotta contro frodi, evasione fiscale ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva IVA e che la Corte ha dichiarato in più occasioni che i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto
dell’Unione. Pertanto, quand’anche siano soddisfatte le condizioni sostanziali del diritto a detrazione, le autorità e i giudici nazionali devono negare il beneficio di tale diritto se è dimostrato, sulla base di elementi obiettivi, che detto diritto viene invocato in modo fraudolento o abusivo . Poiché il diniego del diritto a detrazione è un’eccezione all’applicazione del principio fondamentale che tale diritto costituisce, incombe alle autorità tributarie dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo ha commesso un’evasione dell’IVA o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in una tale evasione. Spetta poi ai giudici nazionali verificare se le amministrazioni finanziarie interessate abbiano dimostrato l’esistenza di detti elementi oggettivi . »
3.3. A seguito dell’intervento della CGUE questa Corte ha recentemente precisato che, in tema di società di comodo, l’art. 30 della l. n. 724 del 1994, nell’escludere il diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte per le società i cui introiti siano inferiori ad una determinata soglia (presumendone il carattere non operativo), si pone in contrasto con gli artt. 9, par. 1, e 167 della dir. 2006/112/CE e va, quindi, disapplicato da parte del giudice nazionale, in conformità ai principi espressi dalla sentenza della Corte di giustizia UE n. 341 del 7 marzo 2024, secondo cui le misure adottate dagli Stati membri per la lotta contro frodi, evasione fiscale
ed abusi non devono eccedere quanto necessario per raggiungere tale obiettivo ed essere utilizzate in modo da mettere in discussione il principio di neutralità dell’IVA (Cass., 06/08/2024, n. 22249, v. anche Cass., 11/09/2024, n. 24442).
3.4. In base alle coordinate fornite dalla giurisprudenza unionale deve ritenersi, quindi, che il diritto alla detrazione dell’IVA non può essere ricollegato a dati meramente quantitativi, come quelli derivanti dall’applicazione dei coefficienti previsti nell’art. 30, comma 4, legge n. 724 del 1994, pena la rottura del principio di neutralità che caratterizza l’imposta. È pertanto necessario non sovrapporre il piano della ratio legis che presiede alla disciplina contenuta nell’art. 30 legge n. 794 del 1994, funzionale ad assicurare la repressione di possibili situazioni di abuso ed elusione, con la necessità che queste ultime -per poter disconoscere il diritto alla detrazione dell’IVA ed evitare criticità con il principio di neutralità che caratterizza l’imposta – siano accertate in concreto (e non meramente presunte).
Di conseguenza, il diritto alla detrazione, nel caso di società di comodo, può essere escluso solo qualora si verifichi che le stesse non assumano la qualifica di soggetto passivo ai sensi e per gli effetti del d.P.R. n. 633 del 1972 (e siano, quindi, i soggetti sui quali si debba ripercuotere , in via definitiva, il pagamento dell’imposta sui consumi) oppure si accerti che la costituzione della società abbia assolto alla finalità di ottenere un risparmio di imposta indebito (detraendo l’IVA che sarebbe, altrimenti, dovuta ricadere per intero sui consumatori finali) o si riscontri, infine, il difetto di inerenza.
3.5. Nel caso di specie le contestazioni alla società contribuente sono incentrate sul meccanismo presuntivo di determinazione del reddito ai sensi dell’art. 30 legge n. 724 del 1994, senza tradursi in contestazioni puntuali in relazione all’assenza di qua lifica di soggetto passivo o in punto di abuso del diritto o di evasione dell’IVA o del
difetto di inerenza. Non ricorrono, quindi, i presupposti per disconoscere -alla luce dell’interpretazione dell’art. 30 legge n. 724 del 1994 conforme al diritto europeo -il diritto del contribuente alla detrazione del credito IVA.
Alla luce di quanto sin qui rilevato il ricorso deve essere accolto nei termini di cui in motivazione e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte di giustizia di secondo grado della Campania che, in diversa composizione deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
…
P.Q.M.
accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione;
cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia di secondo grado della Campania, in diversa composizione per l’ulteriore esame alla luce dei principi affermati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea di cui al punto 3.2., oltre che per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 30/01/2025.