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Società di comodo: no a diniego rimborso IVA

Una società immobiliare si è vista negare un ingente rimborso IVA perché considerata fiscalmente una “società di comodo” a causa di ricavi insufficienti. La Corte di Cassazione, applicando una recente sentenza della Corte di Giustizia UE, ha cassato la decisione. Ha stabilito che il diritto alla detrazione IVA non può essere negato solo sulla base del mancato superamento di una soglia di ricavi presunta, a condizione che l’impresa svolga un’effettiva attività economica e non vi siano frodi o abusi.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di comodo: la Cassazione adegua la normativa interna ai principi UE in materia di IVA

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione interviene con forza sulla disciplina delle società di comodo, stabilendo un principio fondamentale: la qualifica di società non operativa, basata su presunzioni di ricavi, non può automaticamente comportare la perdita del diritto al rimborso o alla detrazione dell’IVA. Questa decisione, allineandosi a una pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ridefinisce i confini tra presunzioni fiscali e diritti fondamentali del contribuente.

I Fatti del Caso

Una società immobiliare unipersonale aveva richiesto il rimborso di un cospicuo credito IVA relativo all’anno d’imposta 2015. L’Agenzia delle Entrate rigettava la richiesta, emettendo un provvedimento di diniego. La motivazione dell’Ufficio si basava sul fatto che la società era da considerarsi ‘di comodo’ o ‘non operativa’.

Secondo l’amministrazione finanziaria, la società non aveva superato il cosiddetto ‘test di operatività’ previsto dall’art. 30 della legge 724/1994. In particolare, avendo locato solo una piccola parte (8 su 41) degli immobili costruiti e destinati alla vendita, ed essendo rimasta sostanzialmente inattiva per un lungo periodo, non avrebbe raggiunto la soglia minima di ricavi presunti in base al valore dei suoi beni patrimoniali. La società, dal canto suo, sosteneva di essere pienamente operativa, sebbene in difficoltà a causa della crisi del mercato immobiliare, e di aver correttamente classificato gli immobili come ‘beni-merce’ nell’attivo circolante, destinati alla vendita e non a produrre una rendita patrimoniale a lungo termine.

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale davano ragione al Fisco, confermando il diniego del rimborso. La società decideva quindi di ricorrere in Cassazione.

L’impatto della normativa sulle società di comodo

La disciplina italiana sulle società di comodo è stata introdotta per contrastare l’uso di strutture societarie per la mera gestione di patrimoni personali (come immobili o imbarcazioni) al fine di beneficiare di un regime fiscale più vantaggioso. La legge presume che una società sia ‘non operativa’ quando i suoi ricavi sono inferiori a una certa soglia, calcolata applicando dei coefficienti al valore dei beni in bilancio. Le conseguenze sono penalizzanti, inclusa la perdita del diritto alla detrazione e al rimborso del credito IVA.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto i motivi di ricorso della società, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa a un’altra sezione della Corte di giustizia tributaria di secondo grado. Il cuore della decisione risiede nell’applicazione dei principi sanciti dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella causa C-341/22 (Feudi di San Gregorio).

Le motivazioni

I giudici di legittimità hanno chiarito che la normativa europea sull’IVA (Direttiva 2006/112/CE) non consente di negare la qualità di soggetto passivo IVA, né tantomeno il diritto alla detrazione, sulla sola base del mancato raggiungimento di una soglia di ricavi fissata da una norma nazionale. Il diritto alla detrazione è un pilastro del sistema IVA e può essere limitato solo in casi di frode o abuso.

La presunzione su cui si basa la normativa italiana sulle società di comodo è, secondo la Corte, ‘estranea alla disciplina IVA’. Essa si fonda su una ‘supposizione’ (il mancato raggiungimento di ricavi presunti) e non sulla ‘realtà effettiva’ dell’attività economica. Di conseguenza, l’art. 30 della legge 724/1994 deve essere disapplicato nella parte in cui prevede la perdita automatica del diritto alla detrazione IVA.

Il diritto al rimborso, pertanto, va riconosciuto se vengono soddisfatte tre condizioni:

1. Esercizio effettivo di un’attività economica: l’impresa, nel periodo d’imposta, ha svolto un’attività di produzione, commercializzazione o prestazione di servizi per ricavarne introiti stabili, a prescindere dal risultato economico finale. Sono incluse anche le attività preparatorie.
2. Inerenza degli acquisti: i beni e servizi per cui si chiede la detrazione sono stati impiegati per le operazioni soggette a imposta.
3. Assenza di frode o abuso: le operazioni non si inseriscono in un contesto fraudolento o in una costruzione di puro artificio volta a ottenere un vantaggio fiscale indebito.

Il giudice del rinvio dovrà quindi effettuare queste verifiche di merito, non potendosi più limitare a osservare il mancato superamento del test di operatività.

Le conclusioni

Questa ordinanza rappresenta un punto di svolta fondamentale per le imprese, specialmente quelle che operano in settori soggetti a ciclicità come l’immobiliare. Viene riaffermata la prevalenza del diritto europeo e del principio di sostanza sulla forma. Non è più sufficiente un calcolo presuntivo per qualificare una società come ‘di comodo’ ai fini IVA e negarle un diritto fondamentale. Sarà sempre necessario verificare l’esistenza di una reale attività economica, anche se in perdita o con ricavi temporaneamente bassi, e l’assenza di intenti elusivi o fraudolenti. La decisione offre maggiore tutela alle imprese in difficoltà, garantendo che le crisi di mercato non si traducano automaticamente in sanzioni fiscali improprie.

Una società può perdere il diritto al rimborso IVA solo perché è considerata una ‘società di comodo’ secondo la legge italiana?
No. Secondo la Corte di Cassazione, che applica i principi del diritto dell’Unione Europea, la qualifica di ‘società di comodo’ basata su presunzioni di ricavi insufficienti non può, da sola, giustificare il diniego del diritto alla detrazione o al rimborso dell’IVA. È necessario valutare l’effettività dell’attività economica.

Qual è l’impatto del diritto europeo sulla disciplina delle società di comodo?
Il diritto europeo, e in particolare la Direttiva IVA, impone di disapplicare la norma nazionale (art. 30, L. 724/1994) nella parte in cui fa derivare automaticamente la perdita del diritto alla detrazione IVA dal mancato superamento di un test di ricavi presunti. Il diritto alla detrazione è un principio cardine del sistema IVA e può essere limitato solo in caso di frode o abuso.

Cosa deve dimostrare un’impresa per vedersi riconosciuto il diritto alla detrazione IVA anche con ricavi bassi?
L’impresa deve dimostrare di aver esercitato effettivamente un’attività economica (anche preparatoria), che i beni e servizi acquistati fossero inerenti a tale attività e che le operazioni non facessero parte di un disegno fraudolento o abusivo. La prova si concentra sulla realtà sostanziale dell’attività d’impresa, non sul mero risultato economico di un singolo periodo d’imposta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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