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Società di comodo: motivazione apparente annulla la sentenza

L’Agenzia delle Entrate ha contestato a una società lo status di ‘società di comodo’. Sebbene i giudici di merito avessero dato ragione all’azienda, la Corte di Cassazione ha annullato la loro decisione. Il motivo è una ‘motivazione apparente’: i giudici hanno elencato i fatti (società inattiva e in liquidazione) senza spiegare perché questi giustificassero la disapplicazione delle norme antielusive. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Società di comodo: La Cassazione chiarisce i doveri di motivazione del giudice

L’ordinanza in esame offre un importante spunto di riflessione sulla disciplina della società di comodo e, soprattutto, sul dovere del giudice tributario di fornire una motivazione completa e logicamente coerente. La Corte di Cassazione ha annullato una decisione di merito non perché errata nel suo esito finale, ma perché le ragioni a sostegno di tale esito erano solo apparenti, incapaci di illustrare il percorso logico-giuridico seguito.

I Fatti del Caso

Una società a responsabilità limitata, posta in liquidazione, riceveva due avvisi di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate per gli anni d’imposta 2010 e 2011. L’amministrazione finanziaria contestava alla società lo status di società di comodo ai sensi dell’art. 30 della legge 724/1994, accertando un reddito d’impresa presunto superiore a quello dichiarato (o alla perdita dichiarata).

La società impugnava gli atti, e sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale le davano ragione, annullando gli avvisi. I giudici di secondo grado, in particolare, ritenevano che la società avesse fornito prove sufficienti a giustificare la disapplicazione della normativa antielusiva. Tali prove consistevano nel fatto che la società era inattiva dal 1997, era stata messa in liquidazione a causa di gravi perdite ed era mantenuta in vita solo per definire alcuni contenziosi con la pubblica amministrazione.

Contro questa decisione, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per Cassazione.

La Disciplina della Società di Comodo e la sua Ratio

La normativa sulla società di comodo è uno strumento antielusivo volto a contrastare l’utilizzo di società come meri contenitori di beni (immobili, partecipazioni, etc.) senza che venga svolta una reale attività d’impresa. La legge presume un reddito minimo imponibile per queste entità, per evitare che vengano usate al solo scopo di godere di vantaggi fiscali indebiti. Tuttavia, la stessa legge prevede delle cause di disapplicazione, qualora il contribuente dimostri l’esistenza di situazioni oggettive che hanno impedito il raggiungimento dei ricavi minimi richiesti.

L’Ordinanza della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato i tre motivi di ricorso dell’Agenzia. Ha dichiarato inammissibile il primo, relativo alla presunta violazione di un giudicato esterno, poiché l’eccezione non era stata sollevata correttamente nei gradi di merito. Ha invece accolto il secondo motivo, centrato sulla nullità della sentenza per ‘motivazione apparente’, assorbendo il terzo motivo.

Secondo la Cassazione, la Commissione Tributaria Regionale si era limitata a un’elencazione di fatti (inattività dal 1997, stato di liquidazione, pendenza di contenziosi) senza però spiegare il ragionamento che l’aveva portata a considerarli come cause oggettive sufficienti a giustificare la disapplicazione della disciplina sulle società di comodo.

Le Motivazioni

Il cuore della decisione risiede nella distinzione tra elencare delle circostanze e motivare una decisione. La Corte Suprema ha stabilito che la motivazione dei giudici regionali era, di fatto, ‘apparente’. Non basta affermare che una società è in liquidazione o inattiva per escluderla automaticamente dal regime delle società di comodo. Il giudice ha l’obbligo di spiegare in che modo e per quali ragioni specifiche quelle circostanze di fatto integrano i presupposti di legge per la disapplicazione della norma antielusiva.

Il percorso logico-motivazionale era mancante. La sentenza impugnata non chiariva il nesso causale tra le ‘gravi perdite di gestione’ e lo stato di liquidazione, né spiegava perché l’attesa della risoluzione di contenziosi costituisse un impedimento oggettivo allo svolgimento di un’attività economica. Questa omissione rende la motivazione un guscio vuoto, incapace di superare il vaglio di legittimità. Di conseguenza, la Corte ha cassato la sentenza e rinviato la causa a un’altra sezione della Commissione Tributaria Regionale per un nuovo esame che tenga conto di questi principi.

Le Conclusioni

Questa ordinanza è un monito fondamentale per i giudici di merito e un’indicazione preziosa per i contribuenti e i loro difensori. Per i primi, riafferma che la motivazione deve essere effettiva, trasparente e logicamente argomentata, non potendosi risolvere in una mera parafrasi delle allegazioni di parte o in un elenco di fatti. Per le società, chiarisce che per sottrarsi alla disciplina della società di comodo non è sufficiente invocare una situazione di crisi o di liquidazione, ma è necessario dimostrare – e convincere il giudice a esplicitare in sentenza – come tale situazione abbia concretamente e oggettivamente impedito di produrre i ricavi presunti dalla legge.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza favorevole all’azienda?
La sentenza è stata annullata per ‘motivazione apparente’. I giudici regionali si sono limitati a elencare le condizioni della società (in liquidazione, inattiva, con contenziosi in corso) senza spiegare il percorso logico-giuridico che collega questi fatti alla disapplicazione della normativa sulle società di comodo.

Una società in liquidazione è automaticamente esclusa dalla disciplina delle società di comodo?
No. Secondo quanto emerge dall’ordinanza, lo stato di liquidazione non è una causa automatica di esclusione. Il contribuente deve dimostrare, e il giudice deve spiegare nella sua motivazione, come tale stato abbia costituito un impedimento oggettivo al raggiungimento dei ricavi minimi previsti dalla legge.

Cosa si intende per ‘motivazione apparente’ di una sentenza?
Si ha una motivazione apparente quando la sentenza contiene delle argomentazioni che, pur esistendo formalmente, sono talmente generiche, contraddittorie o tautologiche da non rendere comprensibile il ragionamento seguito dal giudice per arrivare alla sua decisione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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